
Rispondere allora alla domanda “come si diventa vecchi oggi” è forse impossibile, poiché ognuno di noi si avvicina all’ultimo periodo della sua vita in maniera differente e non stupisce che negli ultimi mesi, per una casualità, siamo stati pubblicati diversi libri che hanno come oggetto la vecchiaia e che ne parlano con accenni e conclusioni del tutto differenti uno dall’altro. Quello che nel mio caso ho tentato di fare è stato, da un lato, scrivere di cosa significhi diventare vecchio “per me”, tentando contemporaneamente di individuare alcuni punti che descrivano le difficoltà e le opportunità dell’età anziana per il maggior numero di persone possibile. Non credo esistano grandi dubbi sul fatto che la trasformazione digitale nel suo complesso, un fenomeno planetario con il quale facciamo i conti da pochi decenni e che alcuni hanno paragonato in termini di impatto complessivo, all’invenzione dei caratteri mobili di Gutenberg, sia una delle variabili che ha cambiato in maniera più rilevante il nostro diventare vecchi.
Di cosa è fatta la vecchiaia digitale?
La prima opportunità che le reti digitali ci hanno suggerito è stata quella di provare a ritardarla. Improvvisamente la presenza di un diaframma fisico da applicare alle nostre relazioni sociali, lo schermo di un computer prima e quello meno ingombrante di uno smartphone poi, ha aperto nuove inattese possibilità. Ogni adulto che iniziava ad avvicinarsi all’età anziana ha avuto così la possibilità di trasformarsi nel “vecchiogiovane” una figura nuova, uno spazio antropologico inedito nel quale mantenere attive e floride le proprie relazioni sociali, relazioni di ogni tipo, amicali, sentimentali, professionali, culturali, ecc, con persone più giovani di noi senza dover per forza subire e far subire agli altri la nostra distanza anagrafica. Mentre la vita reale seleziona da sempre le relazioni in base all’evidenza anagrafica e alla sua brutalità, la vita digitale consente alcuni margini in più. Da quelle parti sarà possibile quindi scegliere cosa dire e cosa tacere, quali immagini di noi mostrare agli altri e quali no, in quali discussioni addentrarsi e quali tenere a distanza. Sarà possibile insomma sembrare differenti da come effettivamente siamo, e nonostante sia evidente che la “maschera sociale” non è un presupposto unico degli ambienti digitali ma esiste ed è intensamente utilizzata anche nella vita reale, su Internet la nostra vita digitale, le caratteristiche del nostro essere “vecchiogiovane” saranno più facilmente organizzate. Da quelle parti potremo mimetizzarci meglio, sembrare differenti da come siamo e da come ci vediamo quando passiamo di fronte allo specchio di casa, potremo sentirci ancora giovani perché saranno i nostri contatti digitali ad ammetterci in un consesso dal quale temevamo di essere esclusi.
La figura del “vecchiogiovane” è il primo grande cambiamento che gli ambienti digitali hanno suggerito alla nostra nuova vecchiaia. È una figura recente e tutto sommato inedita che nel tempo induce prima grande euforia e poi, abbastanza rapidamente, mostra i segni di un rapido logoramento. Esiste una fatica di sé molto importante che il “vecchiogiovane” sperimenta quotidianamente e questo sforzo continuo, che sulle prime gli è parso così stimabile e prezioso, la possibilità di non invecchiare, non subito almeno, di rimanere con gli adulti (e talvolta nei tentativi più azzardati perfino con i giovani) ed essere alla pari con loro, un po’ alla volta si trasforma in un peso insostenibile. Forse il “vecchiogiovane” è una figura sociale destinata a scomparire, figlia dei nostri iniziali tentativi di comprendere e maneggiare il mondo nella sua nuova versione digitale ma in questa fase, che è una sorta di preistoria del nostro essere uomini e donne connessi, è un abito sociale molto indossato, un passaggio che in molti abbiamo fatto volentieri per poi magari stancarcene.
Così allora la vecchiaia digitale è fatta innanzitutto del tentativo di rimandarla il più possibile, di trovare espedienti per tenerla distante da noi, per continuare ad essere come eravamo prima, Poi, subito dopo, è fatta dell’accettazione tardiva di questo inevitabile cambiamento e della trasformazione del “vecchiogiovane” in un diverso tipo di nuovo vecchio, questa volta vecchio senza appello ma di una vecchiaia ancora una volta, almeno in qualcosa, differente da quella precedente.
«Per ora i luoghi digitali restano impervi e inospitali per qualsiasi persona anziana»: come è destinata a trasformarsi la vecchiaia digitale?
Come nella superstizione di Montfermeil citata da Victor Hugo nei Miserabili, una sorta di piccola leggenda provinciale su cosa ci accadrà se incontreremo il diavolo nel bosco (spoiler: nulla di buono) esistono tre possibili approcci alla nuova vecchiaia digitale.
Il primo è quello maggiormente rivoluzionario e poetico (e come tale, forse, anche quello meno probabile) dell’anziano che si si impone e si trasforma nel “nuovo ribelle”. La tecnologia che utilizziamo negli ambienti digitali è costituita in larga misura da oggetti anticiclici, progettati per i giovani, perché la retorica americana che li ha imposti al mondo è quella ingenua e affascinante della rottura degli schemi, del superamento dell’esistente attraverso la creazione di un nuovo mondo che sia differente e opposto a quello che gli adulti hanno loro imposto. Tali tecnologie però vengono adottate ed utilizzate sempre più spesso, almeno in Occidente, da adulti ed anziani. Questo paradosso potrà essere contestato e questa tendenza invertita nel momento in cui gli anziani, i nuovi ribelli, pretenderanno una tecnologia che sia pensata a loro misura, magari imponendo una sorta di embargo anche economico, nei confronti della retorica fino ad oggi imperante, del codice scritto da giovani per i giovani. Se mai un giorno la tecnologia diventasse ciclica allora il suo essere pensata per un pubblico anagraficamente ampio porterà con sé alcuni grandi vantaggi che si riveleranno tali per tutti, non solo per gli anziani. Il più importante dei quali è la fine del mito della continua accelerazione.
La velocità è stato il paradigma principale di questi primi decenni di ambienti digitali: sempre più dati, connessioni sempre più veloci, flussi informativi in continuo aggiornamento. In questo vorticoso accelerare la società ha espresso alcune sue scelte di bassa risoluzione, ha preferito la quantità alla qualità, ha scelto la superficie delle cose rispetto alla profondità che esse meritavano (non ce n’era il tempo perché tutto dove trasformarsi con sempre maggior velocità). Ha insomma eletto il PING, la misura della velocità del network, più il Ping sarà breve e maggiore sarà la velocità della rete, a proprio punto di riferimento. La società dei nuovi anziani ribelli sarà invece, necessariamente, una società a PING lungo, un ambiente meno rapido e più persistente nel quale aumenterà il tempo per l’approfondimento e la valutazione delle informazione rispetto alla rapidità della sua sostituzione. Una società mediata dalle esigenze fisiologiche dei vecchi ma nella quale tutti potranno avere dei grandi vantaggi. Una società che saprà pensare di più, ricordare di più ed agitarsi meno.
La seconda possibilità è che la nuova vecchiaia digitale preveda semplicemente l’estensione a macchia d’olio delle tecnologie digitali, quelle immaginate da giovani per altri giovani, a una coorte sempre più ampia di persone tra le quali, per forza di cose gli anziani saranno comunque compresi. È in fondo quello che già adesso accade: chi diventa vecchio oggi, dentro le mille opzioni della società digitale, gode dei vantaggi di tecnologie che pur non essendo scritte per loro creano loro indubbi vantaggi: vantaggi che in passato non esistevano. I vecchi diventano così saprofiti delle tecnologie dominanti, in parte, molto spesso, ne sono vittime sacrificali, si pensi al riguardo alla complessità formidabile delle tecnologie di autenticazione personale per le pratiche amministrative o a quelle per l’home-banking, in molti altri casi ne dispongono e ne godono come tutti gli altri. Ma per ritornare alle parole di Ginzburg, che sono valide cinquant’anni fa esattamente come oggi, essere vecchi significa annoiarsi e non meravigliarsi più di nulla e la meraviglia e la curiosità sono due fattori insostituibili del fascino dell’innovazione tecnologica.
La terza possibilità è quella secondo la quale in fondo non molto sia cambiato dai tempi del saggio di Natalia Ginzburg; che le reazioni degli anziani al mondo che cambia siano sempre le medesime: quelle cioè di un infastidito rifiuto ed un’impossibilità a comprendere le opzioni di un mondo che è cambiato nonostante noi lo volessimo. Oggi come allora gli unici punti di connessione con l’attualità ed il mondo nuovo saranno la fiducia e l’amore che gli anziani avranno per i propri figli ed i propri nipoti. Solo attraverso di loro saranno disposti ad abitare il mondo risvegliandosi ogni tanto, sempre più raramente, dall’immobilità della pietra che prima o dopo li avvolgerà. Rispetto a mezzo secolo la nuova pietra immobile dell’anziano avrà come unica variante il suono attenuato di una notifica digitale in lontananza.
Massimo Mantellini (Forlí, 1961) è uno dei maggiori esperti della rete internet italiana. Negli anni ha collaborato con «Il Sole 24 ore», «L’Espresso», «Il Post» e altre testate giornalistiche. Nel 2014 ha pubblicato per minimum fax La vista da qui. Appunti per un’internet italiana. Per Einaudi ha pubblicato Bassa risoluzione (2018), Dieci splendidi oggetti morti (2020) e Invecchiare al tempo della rete (2023).