
di Giovanni Garbini
Paideia
«Quando si affronta lo studio di una disciplina è naturale chiedersi in primo luogo di che cosa essa si occupi e in via subordinata quali siano i suoi scopi e i suoi metodi. Nel caso della epigrafia semitica una domanda di questo genere assume un’importanza essenziale perché di fatto ci troviamo di fronte a un’epigrafia che non si interessa soltanto di epigrafi e a un uso del termine semitico molto più ristretto rispetto a quello generalmente fatto nell’ambito linguistico: molte lingue semitiche non rientrano infatti nel campo di indagine dell’epigrafia semitica. L’anomalia di questa situazione è il risultato di una prassi che si è progressivamente consolidata negli ultimi centocinquanta anni senza essere accompagnata da un’adeguata riflessione metodologica. […]
In questo dibattito metodologico è intervenuto nel 1977 lo scrivente che, sottolineando il carattere di scienza storica dell’epigrafia semitica, questa trova in tale sua natura il senso del suo progressivo definirsi. «Ad onta del suo nome, l’epigrafia semitica è una scienza che non ha nulla (o ha ben poco) a che vedere con le vere discipline epigrafiche, come l’epigrafia greca, l’epigrafia latina o l’epigrafia islamica. Di fatto, lo studioso di epigrafia semitica è sempre uno specialista che si occupa del Vicino Oriente antico, di volta in volta nella veste di linguista, di storico, di storico delle religioni. È solo la natura della documentazione … che costringe lo studioso della civiltà dei Fenici, degli Aramei, degli antichi Arabi e delle popolazioni sudarabiche a occuparsi prevalentemente o esclusivamente di iscrizioni … È questa sua intima natura di scienza storico-culturale applicata ad antiche culture prive di documentazione letteraria che spiega e giustifica lo sviluppo, apparentemente assurdo, dell’epigrafia semitica … Come disciplina di indagine storica, l’epigrafia semitica ha automaticamente allontanato dal suo seno non soltanto la documentazione meno antica, ma anche quella più antica quando questa non costituiva la fonte principale di informazione: così veramente si spiega l’esclusione del materiale accadico e quella, tanto più significativa in quanto mai giustificata, del materiale ugaritico, mentre le iscrizioni ebraiche ‘quadrate’ e quelle aramaiche palestinesi, nonché le siriache, le mandee e le etiopiche antiche si trovano, sì, trattate più o meno saltuariamente, ma vengono di regola escluse dall’insieme dell’epigrafia semitica. Tale è dunque la vera natura dell’epigrafia semitica: studiare le testimonianze scritte (epigrafi, ma anche ostraca e papiri) delle culture semitiche antiche di cui non possediamo un corpo letterario». La sola eccezione a questa definizione dell’epigrafia semitica è costituita dalle iscrizioni ebraiche antiche, le quali anzi godono attualmente di grande favore, nonostante l’esistenza di una tradizione letteraria costituita dall’Antico Testamento. Il fenomeno merita perciò un esame particolare.
Il grande interesse per le iscrizioni ebraiche è motivato dal desiderio di arricchire ed eventualmente confermare i dati offerti dall’Antico Testamento, al quale ancora oggi quasi tutti gli studiosi assegnano una posizione centrale nella ricerca storica sul Vicino Oriente antico. Alla base di ciò vi è la sensazione, in tutti presente, dell’insufficienza della Bibbia ebraica per una soddisfacente ricostruzione storica dell’ebraismo preesilico: una sensazione che in non pochi studiosi è ormai diventata una certezza critica dopo la constatazione che, nonostante la presenza di scritti antichi, la Bibbia come tale è un prodotto del giudaismo postesilico che ha ripensato e riscritto anche i testi più antichi. In altre parole, lo studio delle iscrizioni ebraiche antiche nell’ambito dell’epigrafia semitica costituisce un’eccezione soltanto in apparenza, perché di fatto tali iscrizioni sono anteriori al corpus letterario che ci è pervenuto.
Definita così l’epigrafia semitica come la scienza che studia le antiche culture semitiche prive di tradizione letteraria (come la fenicia, la nord-arabica e la sudarabica) e la fase preletteraria delle culture aramaica, ebraica, araba ed etiopica, possiamo indicare in linea generale i diversi ambiti del suo dominio.
In primo luogo si tratterà di tutte le iscrizioni provenienti dall’area fenicio-palestinese datate al II millennio a.C., tra le quali presentano una particolare importanza le protosinaitiche e le cosiddette protocananaiche; in tale contesto si colloca inoltre il problema dell’origine della scrittura consonantica, diventato ormai particolarmente arduo. Viene poi la documentazione grafica fenicia in tutte le sue manifestazioni, sia nella madrepatria sia nelle colonie, comprese le iscrizioni in caratteri greci e quelle in caratteri latini; nell’ambito fenicio rientrano anche molte iscrizioni trovate in Palestina e redatte in lingua fenicia, come quelle filistee e quelle ammonitiche, nonché il materiale israelitico in scrittura e lingua fenicia. Vi sono poi le iscrizioni ebraiche, tutte anteriori all’esilio babilonese (fino al 586 a.C.); sono invece escluse le iscrizioni in grafia detta paleoebraica di età tardo-ellenistica e romana e quelle samaritane. Sono inoltre prese in considerazione le iscrizioni palestinesi in altri dialetti o lingue, come quelle in moabitico, edomitico e quella su intonaco trovata a Deir Alla. Passando all’area linguistica aramaica, la cui documentazione non è finora anteriore al X secolo a.C., l’epigrafia semitica si occuperà della fase più antica, compreso il dialetto di Samal, e dell’aramaico detto d’impero o «ufficiale», di qualsiasi provenienza. Per la Palestina si arriverà al 200 a.C. (data ovviamente approssimativa), quando incomincia la produzione letteraria in aramaico giudaico, mentre si scenderà di diversi secoli con il materiale nabateo, palmireno e hatreo. Verrà poi presa in considerazione tutta la produzione epigrafica nordarabica (quella araba preislamica è quantitativamente inconsistente; forme «arabe» sono comunque presenti in testi redatti in altre lingue) in tutte le sue forme grafiche, l’insieme del materiale sudarabico e quello etiopico in scrittura consonantica. L’origine della scrittura sudsemitica è stata rimessa in discussione da scoperte recenti e costituisce un importante capitolo dell’epigrafia semitica, insieme con lo studio delle fasi più antiche della scrittura sudarabica, sottoposte anch’esse a una radicale revisione.
Tutto questo materiale viene trattato, di fatto, nell’ambito di tre diverse specializzazioni: la maggior parte degli epigrafisti attuali si occupa di epigrafia nordsemitica e non di rado di un unico settore di essa; un piccolo gruppo si dedica all’epigrafia sudarabica, con sporadiche incursioni in quella etiopica, mentre le iscrizioni nordarabiche vengono saltuariamente trattate dagli specialisti dei due gruppi precedenti. Sul piano metodologico la distinzione fondamentale tra un’epigrafia semitica settentrionale e una meridionale trova una giustificazione non soltanto nel duplice sistema di scrittura ma anche e specialmente nella sostanziale diversità culturale che divide il mondo siro-palestinese da quello arabico, nonostante le lontane origini comuni e i molti contatti di epoca storica. La nostra totale ignoranza dei processi e delle vicende che portarono certe genti semitiche indubbiamente legate all’area siro-palestinese e alla Mesopotamia a stabilirsi nello Yemen e sull’altopiano etiopico ed altre a trasformarsi in carovanieri lungo le piste di un triangolo che aveva i suoi vertici nel Hegiaz, all’imbocco del Golfo Persico e nello Yemen non facilita certo la comprensione della storia e della cultura parzialmente rivelate dalla documentazione epigrafica sudsemitica.
Un aspetto tutt’altro che trascurabile dell’epigrafia semitica è che essa si sostituisce spesso alla linguistica e alla filologia, rappresentando le iscrizioni i soli documenti scritti esistenti relativi a importanti lingue semitiche quali il fenicio, le fasi più antiche dell’aramaico e il sudarabico antico, tanto per citare le principali delle lingue dette appunto «epigrafiche»; è per questo che nella fase pionieristica della nostra disciplina quasi la metà del manuale del Lidzbarski era dedicata alla descrizione linguistica del fenicio e dell’aramaico antico. Molte sono le benemerenze dell’ormai più che secolare «epigrafia semitica»; la quale meriterebbe un nome più adeguato al suo oggetto.»