
di Maria Arioti
Laterza
«Il testo che presento in una forma ampiamente riveduta, corretta e aggiornata è stato scritto come testo di riferimento per gli studenti dell’Università di Perugia, dove ho insegnato Etnologia per molti anni, dando sempre ampio spazio all’antropologia della parentela. Risultato dei corsi tenuti in anni precedenti, il libro fornisce le conoscenze di base in un settore specializzato dell’antropologia che da sempre ha occupato nella disciplina un posto centrale e che da alcuni anni è in forte espansione. Possiamo dire anzi che l’antropologia della parentela è oggi un settore trainante della disciplina, che vede una ripresa delle teorie forti, del metodo comparativo e degli approcci metodologici di tipo quantitativo: dalla teoria dell’alleanza di Lévi-Strauss ai metodi statistici di Murdock e più in generale della tradizione americana. Questo rafforzamento teorico e metodologico del campo della parentela è andato di pari passo innanzitutto con uno slancio etnografico rinnovato, che ha visto l’antropologia misurarsi con tipi di società nuovi e complessi, compresi i paesi occidentali moderni, non più considerati come campi marginali, e in secondo luogo con una rivisitazione critica dei grandi classici della parentela e delle etnografie coloniali. Da tutto questo escono confermate la solidità delle basi e la continuità del discorso antropologico sulla parentela. […]
I dibattiti principali, in rapporto ai temi trattati in questo volume, vertono innanzitutto sulla teoria dell’alleanza, che continua a tenere il campo e costituisce il principale canale di comunicazione fra l’antropologia sociale britannica e quella francese. Una figura centrale in questo dibattito è sempre quella di Héritier, che guida da tempo gli studi sulle strutture semicomplesse e complesse di parentela. Ma l’interesse per le strutture elementari è tutt’altro che morto: basta vedere la fioritura di studi sulle terminologie cosiddette dravidiane e i sistemi matrimoniali associati. Lo studio delle terminologie in generale, rimasto in questi ultimi anni alquanto ai margini del settore per il suo carattere più tecnico e specializzato, è in grande ripresa, in parte proprio perché le terminologie sono collegate allo scambio matrimoniale. Lo stesso interesse si nota per la discendenza e i gruppi unilineari, non solo perché anch’essi collegati alle transazioni matrimoniali, ma anche perché costituiscono il principio organizzativo di molte società non occidentali del presente e del passato. Sempre vivace è l’interesse per le società cognatiche, messo in moto da Lévi-Strauss intorno agli anni Ottanta (1979), che ha prodotto però più etnografie che ipotesi teoriche. Il dibattito sul genere e il sesso (cultura e natura) è attivo da almeno vent’anni, quando Yanagisako e Collier (1987) proposero di riconfigurare il campo della parentela fondendolo con quello degli studi di genere, e divide gli antropologi in sostenitori delle basi biologiche della parentela (e del modello genealogico associato), e in fautori del suo carattere esclusivamente culturale. Per quanto riguarda la famiglia e i gruppi domestici in generale, la famiglia nucleare sembra oggi interessare gli antropologi che si occupano di società extraeuropee in particolare nei suoi aspetti produttivi e nelle società di cacciatori; gli antropologi che la studiano nei paesi occidentali tendono invece a sottolineare gli aspetti non biologici dei legami al suo interno, come quelli di adozione. Il dibattito sull’incesto, centrale in antropologia fin dalle sue origini, sembrava in esaurimento, come se si fosse avverata la vecchia ipotesi, quasi una profezia, di Cohen, che con l’espandersi del mercato i divieti di incesto avrebbero perso di intensità. Invece l’incesto ha trovato un nuovo terreno vitale nelle tecnologie riproduttive, fornendo, secondo Edwards (2004), un linguaggio nel quale esprimere certe possibilità che si presentano quando si interviene a modificare il processo biologico della nascita, dalla fecondazione all’allattamento. In questi casi l’incesto si configura non più come rapporto sessuale illecito, ma come contiguità fisica illecita. Si tratta di un fenomeno piuttosto interessante, che sembra avere una forte risonanza nell’opinione pubblica dei paesi occidentali, certamente nel nostro. […]
Infine, l’interdisciplinarietà sempre attiva dell’antropologia americana, che non ha mai tracciato un confine netto fra biologia, primatologia, antropologia fisica e antropologia sociale e culturale, si è fatta particolarmente intensa e ha prodotto alcuni dibattiti ai quali vale la pena accennare. Uno di questi riguarda la presenza o meno di cultura nelle società di primati non umani, con tutte le perplessità che può suscitare l’attribuzione sempre più massiccia di cultura agli scimpanzé, mentre si vuole riportare il comportamento dell’uomo alla natura dei suoi geni. Per quanto riguarda l’interdisciplinarietà con la genetica, si avverte una tendenza quantomeno prematura al riduzionismo biologico nella disinvolta appropriazione dell’evoluzione culturale da parte dei genetisti. Anche l’invito alla quantificazione e alla standardizzazione dei metodi in antropologia per renderli comparabili con quelli primatologici è positivo, ma solo se non implica l’abbandono dei metodi etnografici nello studio dei primati. Alcune nuove tecniche di ricerca rappresentano comunque delle ottime acquisizioni anche per gli antropologi e c’è da aspettarsi molto da una collaborazione non prevaricante con le discipline biologiche.
Tutti i dibattiti si alimentano dei dati di nuove etnografie, esotiche e domestiche. A questo proposito le novità più interessanti sono due. La prima è rappresentata da alcuni lavori — pochi ancora, ma che si spera aumentino presto — sulla Cina, un terreno fino ad oggi assai poco esplorato, che hanno portato in primo piano le società matrilineari. La seconda è costituita dalla sempre più frequente rivisitazione sul campo di popolazioni già studiate, come i Nuer da parte di Hutchinson. Le vecchie etnografie, aggiungendosi alle nuove, costituirebbero oggi un supporto prezioso per nuovi approcci diacronici, che stentano tuttavia a decollare. Più spesso passato e presente vengono semplicemente accostati nell’eterno presente etnografico. L’approccio storico si ritrova piuttosto nelle ricerche condotte su documenti, soprattutto di archivi coloniali. […] È curioso che una prospettiva diacronica, a metà fra storia (per l’uso di vecchi lavori etnografici come fonti), ed evoluzione (per le macroipotesi di partenza), sia applicata soprattutto alle terminologie di parentela.»