“Introduzione al diritto giapponese” a cura di Giorgio Fabio Colombo

Introduzione al diritto giapponese, Giorgio Fabio ColomboProf. Giorgio Fabio Colombo, Lei ha curato con Jun Ashida, Matteo Dragoni, Marco Giorgi, Masao Kotani, Giuliano Lemme, Takeshi Matsuda, Andrea Ortolani, Michela Riminucci, Masaki Sakuramoto, Toshiyasu Takahashi e Keiko Tanimoto l’edizione del libro Introduzione al diritto giapponese pubblicato da Giappichelli: quali tappe hanno segnato l’evoluzione storica del diritto giapponese?
L’evoluzione storica del diritto giapponese è caratterizzata da tre momenti fondamentali in cui il sistema locale ha subito l’influenza di modelli stranieri. A partire dal VI secolo, con l’introduzione nel paese della scrittura cinese, della religione buddista, e della filosofia confuciana, la legge giapponese ha tratto ispirazione dalle codificazioni imperiali cinesi. Le produzioni normative del VII e VIII secolo, note come ritsuryō, in materia penale e amministrativa sono modellate sulle omologhe legislazioni cinesi.

L’influenza confuciana rimarrà dominante nel paese anche nei secoli in cui il potere imperiale sarà eclissato – non nella sovranità formale ma nell’esercizio effettivo del controllo – da quello dei capi militari noti come shōgun.

Nella seconda metà del XIX secolo, l’apertura forzata all’Occidente provocata dalla pressione americana porterà il Giappone a confrontarsi con l’esigenza di modernizzare il più in fretta possibile il proprio diritto. A tale scopo saranno di ispirazione i modelli dell’Europa Continentale, e più precisamente quello francese prima e quello tedesco poi. In questa fase il sistema giuridico giapponese assume le proprie caratteristiche strutturali, che sono ancora visibili ai giorni nostri.

Infine, dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Giappone subirà l’influenza del diritto statunitense: il paese sarà occupato per un periodo di sette anni dopo la fine del conflitto, e durante questa fase verranno poste in essere numerose riforme. Dal punto di vista giuridico, il “prodotto” più significativo dell’occupazione è la Costituzione, fortemente ispirata al modello americano.

Il fatto che il diritto giapponese sia in qualche modo la risultanza di svariati momenti di ispirazione straniera non deve però trarre in inganno: le varie influenze sono state rielaborate e sintetizzate alla luce della cultura giuridica locale, e la mescola ottenuta costituisce senza dubbio un modello originale.

Quali sono le caratteristiche salienti della Costituzione giapponese vigente?
Come detto, la Costituzione del 1947 è un “prodotto” dell’occupazione americana, e tuttavia la sua approvazione definitiva è stata l’esito di un procedimento condotto dalle autorità giapponesi.

I capisaldi attorno ai quali ruota il diritto costituzionale giapponese sono principalmente tre: il mantenimento della figura dell’Imperatore, il pacifismo, e il rispetto dei diritti individuali.

Per quanto riguarda l’Imperatore, esso aveva, nella Costituzione Meiji del 1889 (ispirata al modello prussiano), un ruolo centrale nello Stato. La Costituzione vigente ha mantenuto l’Imperatore, ma lo ha drasticamente ridimensionato, e lo definisce “il simbolo dello Stato e di unità del popolo”.

La Costituzione giapponese inoltre ha una clausola pacifista estremamente forte, il famoso Art. 9: esso non solo sancisce la rinuncia alla guerra, ma al possesso stesso di forze armate. La presenza nel paese di un contingente militare, noto come le “Forze di autodifesa”, è giustificata – da parte del Governo – dal fatto che ad ogni stato sovrano è consentita, in base al diritto internazionale, l’autodifesa: e tuttavia, i limiti di azione imposti ad esse sono da tempo oggetto di dibattito costituzionale.

Un dato notevole è che la Costituzione giapponese è al momento la più longeva vigente nella sua forma originale: dalla sua entrata in vigore nel 1947 non è mai stata cambiata.

Quali sono gli organi costituzionali del Giappone?
La Costituzione del Giappone sancisce la separazione dei poteri, e affida il legislativo all’Assemblea Nazionale (comunemente nota come Dieta), l’esecutivo al Governo, e il giudiziario alla Corte Suprema e ai tribunali. La sovranità è, come specificato nel Preambolo, in capo al popolo, e l’Imperatore è sì un organo costituzionale, dotato di poteri e prerogative, ma la maggior parte di essi sono di natura formale e simbolica.

Come si articola il sistema dei diritti fondamentali nell’ordinamento giapponese?
Il Capitolo III della Costituzione è dedicato ai diritti e doveri dei cittadini. In rottura con la Costituzione Meiji del 1889, in base alla quale i doveri dei sudditi in qualche modo parevano prevalere sui loro diritti, l’approccio adottato dal testo vigente è fortemente ispirato alla tutela di diritti e libertà fondamentali. Addirittura l’Art. 13 della Costituzione sancisce il diritto al perseguimento della felicità, un calco fedele della dichiarazione jeffersoniana di chiara ispirazione statunitense. Uguaglianza di fronte alla legge, libertà di parola, di religione, di assemblea, di eleggere i propri rappresentanti, accademica, e molti altri: il campionario dei diritti tutelati dalla Costituzione giapponese è in linea con gli ordinamenti costituzionali delle più avanzate democrazie liberali.

Un punto controverso, tuttavia, è costituito dal fatto che alcuni articoli della Costituzione fanno esplicitamente riferimento ai “cittadini” (kokumin), non includendo dunque nell’applicazione delle tutele coloro che non sono in possesso della cittadinanza giapponese: questa formulazione ha dato adito a numerosi dubbi interpretativi e talvolta a veri e propri trattamenti discriminatori.

Come si articola l’ordinamento giudiziario giapponese?
Al vertice dell’ordinamento giudiziario giapponese si trova una Corte Suprema (Saikō saibansho) composta da 15 giudici e vagamente ispirata all’omologa istituzione statunitense. Da un punto di vista comparatistico, è interessante notare come il Giappone sia uno dei pochi paesi del modello Europeo-continentale a non essere dotato di una Corte Costituzionale: in omaggio all’esperienza americana, il controllo di costituzionalità è diffuso, anche se la Corte Suprema di fatto, avendo l’ultima parola sulla questione, è l’organo in ultima analisi chiamato a decidere in materia.

Sotto la Corte Suprema si trovano otto Alte Corti (o Corti d’Appello – Kōtō saibansho), dislocate nelle principali metropoli del Paese. L’Alta Corte di Tokyo ha una sezione specializzata in materia di proprietà intellettuale.

Seguono i Tribunali distrettuali (Chihō saibansho), nel numero di cinquanta, che hanno giurisdizione generale in materia civile e penale; la stessa organizzazione è seguita dai Tribunali di famiglia (Katei saibansho) i quali, oltre alle controversie appunto in materia di famiglia hanno importanti funzioni per quanto riguarda la giustizia minorile. Infine, numericamente più diffusi, sono i Tribunali semplici (Kan’i saibansho): in maniera non dissimile al Giudice di Pace dell’esperienza italiana hanno giurisdizione su controversie di modico valore, e anche su materie penali in tema di reati lievi.

Quale struttura e quali caratteristiche possiedono il Codice penale giapponese e la procedura penale giapponese?
Il Codice penale giapponese, originariamente ispirato al modello francese, è stato già all’inizio del XX secolo riformato su modello tedesco: l’impianto generale del Codice è sopravvissuto, nei suoi tratti fondamentali, sia alla riforma costituzionale, sia alle varie modifiche che si sono succedute nel tempo.

Il Codice, che adotta i principi del nullun crimen, nulla poena sine lege, nonché quelli di proporzionalità tra il reato e la pena, e quello di non colpevolezza, è piuttosto succinto, semplice, e astratto. Una caratteristica significativa è l’ampio margine delle pene edittali: questo consente ai giudici di poter agire con significativa discrezionalità nell’irrogazione delle sanzioni, in modo da poter commisurare la pena alle caratteristiche del caso specifico.

Per quanto riguarda la procedura penale, il Giappone è noto come il “paradiso dei Pubblici Ministeri” per gli ampi poteri che la legge a essi concede, sia in termini di discrezionalità nel scegliere quali reati perseguire (nel Paese non vige, al contrario dell’Italia, l’obbligatorietà dell’azione penale), sia negli strumenti offerti loro dall’ordinamento per le indagini e nel processo. La maggior parte dei reati minori, in Giappone, non va a processo, ma viene archiviata dopo aver ottenuto una confessione, accompagnata da scuse ed eventuali risarcimenti alle persone offese dal reato: in assenza di pericolosità sociale, dunque, i P.M. sono spesso propensi a sospendere l’azione penale. Qualora si vada a processo, invece, il quadro vede una percentuale di imputati condannati intorno al 99%: decisamente un’anomalia per un ordinamento democratico. I motivi sono dati dal fatto che i P.M. portano a giudizio solo i casi più gravi e quelli in cui sono ragionevolmente sicuri di poter ottenere una condanna.

Quali peculiarità possiede il diritto civile giapponese?
Il Codice civile giapponese è ispirato al Codice tedesco, e infatti come il suo corrispondente mitteleuropeo dedica una parte ai concetti generali quali il negozio giuridico.

Il principio forse più importante nell’intero diritto civile giapponese è quello di buona fede, contenuto nell’Art. 1 del Codice civile.

Altri principi molto significativi sono quello della libertà contrattuale (con poche eccezioni), e della responsabilità per atto illecito.

In generale, l’osservazione del diritto civile giapponese non presenta particolari elementi di sorpresa per un osservatore proveniente dalla tradizione giuridica europeo-continentale: eventuali aspetti di “esotismo” vanno dunque ricercati altrove.

Come è strutturato il diritto di famiglia giapponese?
Uno degli elementi peculiari del diritto di famiglia giapponese è l’estrema facilità con cui è possibile ottenere un divorzio consensuale: se le parti sono d’accordo, tutto ciò che è richiesto è la presentazione di un semplice modulo (sottoscritto anche da due testimoni) all’ufficio comunale competente. Lo Stato non entra nel merito degli accordi divorzili, e non lo fa nemmeno in presenza di figli minori.

Un altro aspetto anomalo rispetto al panorama internazionale è costituito dal fatto che il Giappone non riconosce l’affido congiunto dei figli minori a seguito di divorzio, i quali vengono affidati o all’uno o all’altro genitore. Ove la maggior parte degli ordinamenti contemporanei identifica il miglior interesse del minore con la bigenitorialità – ossia nel poter mantenere rapporti con entrambi i genitori -, il Giappone ritiene invece che la stabilità sia l’elemento più importante.

Quali sono gli istituti più rilevanti del diritto commerciale e societario giapponese?
Le materie commerciali e societarie nel diritto giapponese sono perlopiù regolate nel Codice di Commercio e nella Legge sulle società del 2005. Quest’ultima normativa è il vero asse portante del diritto societario, e ha per molti versi drasticamente ridotto l’importanza del Codice commerciale.

Il diritto societario giapponese è caratterizzato da un’affascinante ibridazione dei modelli dell’Europa continentale (in particolare tedesco) e statunitense, e dunque si tratta di un vero proprio unicum nel diritto comparato.

Gli attori principali del diritto commerciale e societario sono, non sorprendentemente, le società: il diritto giapponese offre all’operatore economico un’ampia gamma di modelli societari che possono essere utilizzati per lo svolgimento di attività d’impresa. Tra esse, spiccano le kabushiki-gaisha, assimilabili alle S.p.A. italiane, che costituiscono senza dubbio lo strumento societario più articolato e dettagliato offerto dall’ordinamento societario del Giappone, e le gōdō-gaisha, simili alle nostre S.r.l.

Quali principi ispirano il diritto del lavoro giapponese?
Spesso il diritto del lavoro giapponese viene rappresentato dando grande importanza al cosiddetto “impiego a vita”, ossia la permanenza di un lavoratore alle dipendenze dello stesso datore di lavoro, dall’inizio della vita lavorativa sino alla pensione. Questa immagine, già inesatta in passato, è andata via via sempre più indebolendosi in anni recenti.

La vera demarcazione, nel diritto del lavoro giapponese, è tra lavoratori “regolari”, ossia con contratti a tempo pieno, e lavoratori “non regolari”, ossia con contratti più deboli che offrono loro minori tutele.

Il diritto del lavoro giapponese è ragionevolmente protettivo verso i lavoratori, ma non raggiunge le pervasive tutele (ad esempio contro il licenziamento) offerte da alcuni diritti dell’Europa Continentale.

Giorgio Fabio Colombo è professore ordinario di Diritto comparato nell’Università di Nagoya (Giappone) e Visiting Professornell’Università “Ca’ Foscari”, Venezia. Membro del Direttivo dell’Associazione Italiana di Studi Giapponesi (AISTUGIA), dell’Editorial Board del Journal of Japanese Law, e socio fondatore dell’Associazione italo-giapponese per il diritto comparato (Nichi-I hikakuhō kenkyūkai) ha insegnato o fatto ricerca nelle università di Genova (Imperia), Palermo, Pavia, Ritsumeikan (Kyoto), UC Berkeley. È iscritto all’Albo degli Avvocati di Milano.

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