
Al di là della centralità della filosofia dell’educazione, espressa soprattutto nella riflessione e nello studio delle opere dei principali filosofi, che hanno quasi tutti scritto ampiamente anche a proposito di educazione, da Platone ai giorni nostri, a partire dagli anni Cinquanta circa si sono promosse e affermate nuove tendenze di ricerca, più autonome rispetto alla filosofia o, in alcuni casi, completamente innovative.
Si è cominciato a parlare, così, di storia “sociale” dell’educazione, in analogia con l’affermarsi di una storia sociale e materiale che in ambito storiografico voleva ridimensionare l’importanza della storia politica e diplomatica. In questo ambito di studi è stato molto importante il rilievo assunto da ricerche promosse da studiosi di campi diversi, per esempio da economisti e storici dell’economia (in particolare, si potrebbe qui citare Carlo Cipolla, autore di testi fondamentali sia nel campo della storia economica europea sia nel campo della storia dell’alfabetizzazione).
La “vecchia” storia della filosofia si è vista, peraltro, limitare il proprio campo d’indagine da una nuova disciplina (affine, per certi versi) che i suoi fondatori hanno chiamato “storia delle idee” (mi riferisco, in particolare, a studiosi come A. Lovejoy e I. Berlin), influenzando, nell’ambito storico-educativo, un nuovo modo di concepire le stesse idee pedagogiche.Per questo motivo, io, che sono, peraltro, di formazione filosofica, ho pensato, in questi anni d’insegnamento alla “Sapienza” di Roma, di improntare i miei corsi all’ambito della storia delle idee, e questo libro cerca di rendere conto di una possibile visione delle idee pedagogiche e della loro storia, che spero possa essere utile sia nell’ambito della ricerca e nell’ambito della didattica, della formazione degli insegnanti e degli educatori. Si tratta, come indica il titolo, di una proposta “modesta”, di “una storia” tra le tante storie che si possono definire attraverso l’applicazione di metodi e prospettive molteplici.
La storia delle idee è una disciplina oggi a sé stante anche rispetto alla filosofia e alla storia della filosofia; in qualche modo, abbraccia un ambito più ampio, che tenta di cogliere nella realtà sociale, nella cultura di una società, di un’epoca, le mentalità che ispirano anche, nel caso della storiografia pedagogica, le idee e le prassi educative. Da questo punto di vista si potrebbe dire persino che tutta la cultura sia, in qualche modo, oggetto della “storia delle idee”; e, a mio avviso, è proprio qui che sta l’aspetto più interessante di ricerche come questa, nel senso che ampliano la prospettiva, sia del ricercatore sia di coloro che si stanno formando ad una professione così delicata come quella della formazione, in tutti i contesti e le forme in cui essa si svolge.
Quale ruolo assolvono le idee pedagogiche nel novero delle scienze dell’educazione?
Tutta la cultura interviene nella formazione dell’essere umano e, come tale, non ci si può limitare, nello sguardo storiografico (ma, secondo me, nemmeno in quello pratico ed applicativo), alla pura e semplice chiarificazione dei metodi e alla scelta delle buone o delle migliori prassi. È necessario cogliere la profondità delle implicazioni che le stesse scelte pratiche presuppongono. Le idee pedagogiche sono quelle particolari idee, nell’universo delle “idee”, delle presunzioni di significato, degli atteggiamenti, delle attitudini, che costituiscono la mentalità di un’epoca; e sul piano storico è utile ricostruire queste mentalità e scoprire continuità e fratture in un processo d’evoluzione tutt’altro che lineare.
Faccio un esempio: un’idea pedagogica di grande rilievo, che oggi domina la mentalità contemporanea, esercitando una funzione orientatrice da circa un secolo) è l’idea della libera attività del bambino: il bambino deve essere lasciato libero di muoversi fin da quando è molto piccolo, per sviluppare quella capacità di movimento, quell’esplorazione dell’ambiente che da tutti gli studiosi è considerata la base dello sviluppo mentale e della personalità. Questa idea si è formata in età moderna, e possiamo dire che coincida con il sorgere stesso della pedagogia, a partire da un grande scrittore come Rousseau.
Quando fu formulata per la prima volta, tuttavia, suscitò scandalo e discussioni vivacissime, tanto che i suoi primi sostenitori (lo stesso Rousseau quasi tre secoli fa, ma anche, più di recente, Maria Montessori, John Dewey, e molti altri) furono oggetto di controversie che portarono solo faticosamente all’affermazione di quest’idea, alla sua diffusione nell’opinione pubblica, all’accettazione, da parte della maggioranza degli esperti e degli educatori, di tutto ciò che implica – non senza un animato confronto che si può dire non essersi del tutto sopito nemmeno al presente, tanto che troviamo ancora oggi i sostenitori di pratiche educative e di un’organizzazione scolastica che non corrispondono all’ideale regolativo della libera attività del bambino, del rispetto della sua spontaneità, del cosiddetto “puerocentrismo”.
Quest’idea è un esempio di ciò che si può intendere per idea “pedagogica”, inserita in una visione del mondo e dell’uomo, che diviene, a sua volta, essenziale per uno studio in prospettiva storiografica per comprendere le stesse pratiche educative nel loro significato profondo. Intendere a questo modo le idee pedagogiche implica una continuazione di ciò che in passato, ma ancora oggi, si è inteso come filosofia dell’educazione; tuttavia, a mio avviso, non si tratta soltanto di “filosofia” nel senso stretto del termine, ma piuttosto di un insieme di atteggiamenti e attitudini, basati su quelle che sono le credenze e gli assunti, di carattere antropologico ed etico, su cui si fondano le pratiche educative di tutte le società storiche, anche ovviamente di quella “globalizzata”, “postmoderna”, “liquida”, contemporanea.
È in questa prospettiva, allora, che è possibile svolgere una riflessione di carattere epistemologico e metodologico sul rapporto tra queste idee, e la loro storia, da un lato, e le scienze dell’educazione, dall’altro. Io mi limito, comunque, a intendere questo rapporto in una prospettiva “didattica”: secondo me, nel bagaglio culturale degli educatori e degli insegnanti è necessario, oggi, che vi sia un’adeguata conoscenza della storia, non soltanto di quella specifica delle pratiche educative, delle istituzioni educative, ma anche della storia tout court, della storia delle idee: una solida formazione culturale, fondata sui “classici”, spesso dimenticati e trascurati anche nel sistema scolastico (e mi riferisco in particolare alla situazione italiana).
Oggi è difficile che uno studente esca da un istituto secondario con un’adeguata conoscenza di quello che è la storia della letteratura europea; spesso la preparazione si limita ad una conoscenza poco più che strumentale ed iniziale di una o due lingue diverse dall’italiano, e manca, comunque, d’una conoscenza d’insieme di quello che sono la storia e la cultura dell’Occidente.
Per questo motivo, nel mio insegnamento propongo agli studenti di trasformare lo studio della storia della pedagogia in un’occasione per uno sguardo d’insieme su quello che è la storia della cultura occidentale nelle sue varie forme, dalla storia letteraria a quella della filosofia, dalla storia delle scienze a quella delle religioni (delle confessioni cristiane, dell’ebraismo, dell’islam); naturalmente, tutto ciò richiede una preparazione, anche da parte degli stessi insegnanti, che io stesso penso di non avere. La mia intenzione è quella d’indicare, se non altro, una strada, peraltro non del tutto nuova, dato che conta, in altri Paesi, soprattutto in quelli anglosassoni, su precisi orientamenti di ricerca e d’insegnamento, posti al centro di un curriculum efficace.
Qual è l’importanza di Viktor Frankl nella storia della pedagogia?
L’importanza di Viktor Frankl nella storia della pedagogia è legata precisamente a questo intento di superare i limiti disciplinari, che spesso fanno perdere le vedute d’insieme a chi studia ambiti specifici della storia e, in particolare, la storia dell’educazione.
Frankl è stato una voce molto importante nell’ambito delle scienze umane novecentesche; era psichiatra ed ha legato il suo nome a una celebre teoria, l’analisi esistenziale, a cui è collegata una vera e propria forma di terapia psicologica (la cosiddetta logoterapia). Da questo punto di vista, la sua opera potrebbe sembrare quanto mai lontana dall’interesse di una storia delle idee pedagogiche; a me sembra, invece, che il concetto centrale della sua antropologia e della sua psicoterapia, vale a dire, la ricerca del senso della vita, consenta di studiare in maniera unitaria anche le vicende dell’educazione nelle varie epoche storiche, nell’Occidente, nei circa due millenni e mezzo della storia occidentale.
In realtà, vi sono stati in passato, all’inizio del Novecento, studiosi che hanno cercato in qualcosa di simile all’idea frankliana di “senso della vita” un amalgama per ricerche di carattere storico-filosofico e storico-culturale che hanno conseguito vasta notorietà (penso, per esempio, ad uno studioso come R. Eucken, che fu insignito persino del premio Nobel per i suoi studi sul senso della vita nei grandi pensatori occidentali). Personalmente, senza ricollegarmi direttamente a questi studi, che però considero significativi esempi di un progetto ancora oggi attuale, penso si possa intraprenderne un aggiornamento in prospettiva storico-educativa; per esempio, si può intendere la stessa educazione delle giovani generazioni come una ricerca di senso da parte dei giovani, i quali, nel loro impegno d’assimilazione e rielaborazione della cultura delle generazioni che le hanno precedute, si pongono continuamente una domanda di significato.
Nel rapporto tra genitori e figli come nel rapporto tra insegnanti e allievi, la richiesta di un significato, la proposta da parte degli adulti stessi di questo significato, mi sembra si trovi l’elemento fondamentale che giustifica la stessa volontà di una trasmissione della cultura da una generazione all’altra. Intendo per trasmissione della cultura quella funzione fondamentale, che pedagogisti (e filosofi) come Dewey hanno additato quale fine centrale dell’educazione, tanto di quella informale (vale a dire l’attività educativa spontanea, che avviene in famiglia o tra pari), quanto di quella formale, che richiede istituzioni sociali specifiche e, prima di tutto, la scuola).
In questo senso, l’analisi esistenziale frankliana, ovviamente adattata ad un contesto che non è più quello psicologico o psicoterapeutico, ma piuttosto quello educativo e storico-educativo, aiuta a interpretare i fenomeni storici e a raggiungere una più profonda comprensione di quelli che sono i moventi, le motivazioni più solide, che hanno retto, anche nelle loro contraddizioni, le visioni dell’educazione e della formazione elaborate lungo l’arco della storia e in cui gli uomini hanno creduto a lungo.
Qual è il significato dell’idea di liquidità nel pensiero di Zygmunt Bauman?
Oggi, ci troviamo in una situazione nuova, perché la società contemporanea è caratterizzata da quella che Bauman chiama efficacemente “liquidità”, quella mancanza d’identità e di legami saldi, che rende molto difficile il lavoro educativo e il rapporto tra le generazioni; anche in questa prospettiva, gli studi storici, se non vogliono trasformarsi, sia pure senza intenzione, in una sorta di erudizione fine a se stessa, devono fare i conti con la condizione contemporanea, in cui la ricerca di senso, da parte dei giovani, e l’intenzione di proporre una risposta a questa domanda e a questa ricerca, da parte degli adulti, risultano quantomai problematiche.
Come già accennavo, uno dei protagonisti delle pagine della mia Introduzione è Z. Bauman, un autore, a mio avviso, particolarmente perspicace, che ha proposto nella sua lunga vita e attività di sociologo una visione obiettiva e veritiera di quello che è la condizione autentica dell’uomo contemporaneo. Le idee di Bauman sono esposte in decine di libri, alcuni di notevole complessità, altri con una caratterizzazione più divulgativa, ma nel complesso, il nucleo centrale di questa vasta opera, che rende Bauman stesso uno dei “maestri” del pensiero contemporaneo, senza ombra di dubbio e senza che nemmeno i suoi critici possano negare la sua grandezza, risulta particolarmente utile anche sul piano degli studi pedagogici e delle scienze dell’educazione.
Bauman ha scritto, in fondo, poco sull’educazione, anche se si possono ricordare almeno tre testi specifici e di grande interesse al riguardo; a me sembra che la sua idea di “liquidità” rappresenti in maniera emblematica una condizione che si è venuta a presentare nella società contemporanea, che il sociologo polacco ha saputo descrivere nelle sue origini storiche, risalendo nel tempo quasi fino alle origini dell’età moderna.
Le sue analisi convergono con altre prospettive storiografiche che presento nel libro e che, a mio avviso, fatte le debite distinzioni, anche di carattere disciplinare (in alcuni casi si tratta, infatti, di filosofi e storici della filosofia), presentano tutte un orizzonte, una prospettiva sulla modernità, e sulla postmodernità, che coglie la continuità di idee e atteggiamenti fondamentali, come per esempio l’individualismo e la secolarizzazione, di grande influsso sui costumi dell’Occidente negli ultimi secoli, interpretando efficacemente le grandi contraddizioni presenti nella società e nell’educazione contemporanee.
Così, autori come C. Taylor, il filosofo canadese studioso della nascita dell’idea di Self (io) e della società secolare, o come Girard, attento a costruire un’antropologia mimetica che, in realtà, diviene strumento di ermeneutica letteraria e filosofica, sono accostabili a Bauman e, naturalmente, anche ad altri pensatori e studiosi che hanno cercato di leggere la filigrana del nostro tempo.
Ad esempio, si può accostare lo studio dell’Olocausto e dell’antisemitismo che troviamo in Bauman a quello del totalitarismo compiuto da Hanna Arendt. Si tratta di percorsi, di intrecci, talvolta anche di prospettive centrifughe, che a mio avviso rendono più attraente la complessità del pensiero contemporaneo e mettono in contatto più profondamente la cultura contemporanea con il mondo delle scienze dell’educazione propriamente inteso.
Quali sono i principali motivi conduttori dell’opera di Christopher Lasch?
Ciò che ho detto per Bauman vale anche per un altro sociologo, come C. Lasch. In entrambi i casi si può notare che il mio riferimento è a due visioni teoriche della sociologia e della società moderna e contemporanea, che hanno grande importanza anche sul piano storiografico e sul piano di quella particolare storiografia che è la storia dell’educazione.
Lasch è uno studioso di cui restano in circolazione in Italia, purtroppo, solo alcuni testi, mentre altri, invece, da anni sono fuori commercio. La conoscenza di questo studioso è, quindi, oggi più limitata di quanto, a mio avviso, sarebbe auspicabile; tuttavia, il suo retaggio rimane, a mio avviso, di grande aiuto per la comprensione della modernità e del nostro tempo.
Mi riferisco, in particolare, ad alcune idee felici e feconde che Lasch ha illustrato nelle sue opere maggiori: per esempio, l’idea di una saldatura tra la società e la cultura del “narcisismo”, che legge come uno dei caratteri salienti di un presente moderno risalente a vari secoli addietro e che pervade minacciosamente lo stile di vita occidentale contemporaneo, con quel “minimalismo”, diffuso nelle arti come nella vita quotidiana, che riduce sempre più lo stesso “io” dell’uomo contemporaneo ad un’entità fragile, in balia dei suoi stessi sentimenti, dei suoi affetti, incapace di superare quella chiusura egocentrica in se stesso, che per Lasch, influenzato da una lettura molto personale della cultura psicoanalitica, sarebbe segno della deriva di tutta un’epoca
Lasch pone di fronte allo sguardo dello storico dell’educazione, ma anche del pedagogista, dell’educatore, la questione, centrale per qualsiasi attività educativa, della “maturità” delle persone a cui essa si rivolge. Qual è l’idea di maturità che troviamo oggi, al presente, come ideale regolativo delle pratiche educative stesse? E, d’altra parte, nella storia, quale idea di maturità (appunto, un’altra “idea” pedagogica fondamentale) troviamo nell’antropologia, nell’etica, e nelle credenze diffuse, in società che hanno preceduto la nostra? Quale idea di maturità, quale idea di “sè”, quale idea di “alterità” (penso al legame e al richiamo costante di Bauman a Levinas) si trovano nella riflessione e nell’agire degli educatori del nostro tempo?
Io penso che, anche da questo punto di vista, un approfondimento storico su ciò che in passato si è inteso per “sé”, o per “maturità” rappresenti una strada necessaria per giungere ad una consapevolezza migliore dei problemi che oggi viviamo in maniera particolarmente acuta e delle soluzioni che sono richieste per superarli. In un certo senso, la storia delle idee pedagogiche che ho cercato di presentare in maniera introduttiva in questo libro è una storia “militante”, non nel senso che appartenga ad una visione ideologica del mondo, ormai comunque passata e inattuale, a prescindere dall’ideologia di riferimento, ma nel senso di una concezione del lavoro storiografico non “neutrale”, ma, al contrario, impegnata nel presente, coinvolta in quelle che sono le preoccupazioni e le ansie dell’uomo contemporaneo.