“Introduzione a Nietzsche” di Carlo Gentili

Prof. Carlo Gentili, Lei è autore del libro Introduzione a Nietzsche edito dal Mulino: è ancora attuale Nietzsche?
Introduzione a Nietzsche Carlo GentiliUna prima risposta potrebbe essere che Nietzsche può ormai essere considerato un “classico” della filosofia, come Platone, Aristotele, Kant o Hegel. Al pari di questi, egli ha contribuito a costruire la dimensione umana, in specie dell’uomo contemporaneo. Tuttavia, sappiamo bene che egli è tuttora un autore molto discusso e, per certi versi, anche molto discutibile. Vi sono pagine – penso ad alcuni passaggi, per esempio, della Genealogia della morale – che, onestamente, si fa fatica ad accettare e digerire. Eppure, la chiave della sua attualità sta proprio qui: nel fatto, cioè, che la sua filosofia offra ancora tanti spunti di discussione. Ogni epoca, dall’inizio del Novecento a oggi, si è scelta il “suo” Nietzsche, legandolo a un’opera in particolare. Fino agli anni Trenta del secolo scorso Nietzsche era soprattutto l’autore dello Zarathustra; poi è stata la volta della silloge postuma La volontà di potenza; poi, ancora, il Nietzsche dei Frammenti postumi, nei quali stava, secondo Heidegger, l’“autentica” filosofia di Nietzsche. L’attenzione di oggi è soprattutto rivolta al Nietzsche filosofo della conoscenza. Il mio libro recente si occupa in larga parte di questo aspetto, in particolare di quella teoria della conoscenza che egli stesso battezza con il nome di “prospettivismo”, e vede in Nietzsche un interprete critico e consapevole di Kant.

Come affronta il problema morale il filosofo tedesco?
Se dovessimo prendere alla lettera le ripetute definizioni che Nietzsche dà di se stesso, dovremmo intenderlo come il “distruttore della morale”. In realtà, egli non distrugge la morale, bensì la metafisica (la nota interpretazione di Heidegger, che vede in Nietzsche l’“ultimo” pensatore metafisico, è solo apparentemente in contraddizione con questa tesi) e, per conseguenza, i presupposti assoluti della morale. La sua posizione può apparire oggi persino banale, poiché egli si limita ad affermare che ogni epoca possiede la sua morale, quindi che la morale non ha un fondamento assoluto, ma storico. Ciò non significa affatto che si possa fare a meno della morale; semplicemente, ogni società condivide determinate regole senza le quali la società stessa non potrebbe vivere e prosperare. La morale è cioè uno strumento (nella Gaia scienza egli usa in proposito l’efficace paragone con la medicina). Le leggi della morale discendono sicuramente da degli errori ma, come nel campo della conoscenza, si tratta di errori che consentono alla specie umana di conservarsi in vita. Certo, il distacco da Kant è qui più che mai evidente: Nietzsche gli contesta proprio di fondare la legge morale (l’“imperativo categorico”) sul sovrasensibile e, dunque, sulla “cosa in sé”; mentre, per lui, l’uomo è invincibilmente radicato proprio nella vita sensibile.

L’arte è per Nietzsche strumento fondamentale per la comprensione dell’essere: l’estetica si fa ontologia?
Se di ontologia si tratta, si tratta però di una ontologia negativa. L’arte è, per Nietzsche, essenzialmente menzogna. Una menzogna, tuttavia, che serve all’uomo per tollerare l’orrore dell’esistenza. A questo problema la Nascita della tragedia offre soluzione con la dialettica dei due principi apollineo e dionisiaco. L’apollineo, ossia la forma – e quindi l’arte, la cultura, lo Stato – è presentato come uno schermo, uno specchio, che consente di gettare lo sguardo nell’abisso del dionisiaco, ossia dell’assenza di forma, e di tradurlo in immagine. Senza questo sguardo, però, l’apollineo non potrebbe sussistere. La grandezza dei Greci consistette proprio nella loro capacità di mediare i due principi; una mediazione che trovò la sua sintesi straordinaria nella tragedia attica. L’interesse di Nietzsche per l’arte non si esaurisce però con la Nascita della tragedia. Tutta la sua riflessione successiva vede nell’arte – che ha la proprietà di essere menzogna ma, nel contempo, di “sapersi” come menzogna – il modello su cui devono essere misurate la scienza e la morale. Le conoscenze e i valori sono, al pari delle opere d’arte, costruzioni umane che hanno nell’uomo il loro principio.

Qual è il rapporto con il Cristianesimo del filosofo tedesco?
Qui vale, osservate le dovute proporzioni, lo stesso discorso che vale per la morale. Se diamo ascolto a Nietzsche – e leggiamo per esempio quel violentissimo atto d’accusa che chiude L’anticristo: la Legge contro il Cristianesimo – non c’è dubbio che egli possa passare per il nemico mortale della religione cristiana. C’è però chi si è interrogato sulle ragioni per cui egli si mostri così ostile al Cristianesimo in un’epoca in cui questo appare già morto sotto i colpi del positivismo e del materialismo scientifico. E proprio qui sta la chiave del problema. Cito un solo argomento: nel celeberrimo aforisma dell’Uomo folle della Gaia scienza il folle annuncia la morte, anzi l’assassinio, di Dio non a una folla di credenti, bensì di non credenti, perché nella piazza del mercato si erano radunati «proprio molti di coloro che non credevano in Dio». Questa folla è la metafora del materialismo e positivismo contemporaneo, che crede di aver eliminato Dio mentre, al contrario, egli sopravvive nei fondamenti di quella stessa concezione scientifica: la fede nella positività del dato, nella materia, nella verità della scienza. La critica di Nietzsche è una caccia che egli apre alle «ombre di Dio» che ancora si annidano nell’ateismo scientifico e dogmatico moderno: il “credere nel non credere”.
Vi è poi, per esempio nella IV parte dello Zarathustra, un’assai profonda riflessione sul significato della croce. Essa è il luogo nel quale si compie la kenosis di Gesù, ossia il suo spogliarsi della forma divina (Paolo, Lettera ai Filippesi) per accogliere in sé, usque ad mortem, la forma e il destino dell’uomo. Dio vide, dice il testo dello Zarathustra, che «l’uomo era appeso alla croce». Non è mancato, tra gli interpreti di Nietzsche, chi, come Karl Jaspers, ha visto nel suo anticristianesimo un forte ed estremo richiamo al Cristianesimo stesso affinché esso si riaccostasse all’uomo.
Infine, il punto forse più attuale della riflessione di Nietzsche sul Cristianesimo è quello che riguarda il concetto di Europa: un continente spirituale creato dal Cristianesimo e che tuttavia, poiché lo ha totalmente realizzato nella sua cultura, proprio per questa ragione non può più dirsi cristiano, nel senso di una religione separata dalla condizione dell’uomo e dalla sua cultura. Noi non possiamo dirci cristiani perché lo siamo troppo intimamente per poterlo dire. Questa condizione è quella dell’Europa dei “buoni Europei”: di coloro che lottano per la fusione delle nazioni europee contro la “piccola politica” degli staterelli e delle barriere doganali, come Nietzsche dichiara con straordinaria preveggenza e lucidità in alcuni aforismi di Umano, troppo umano e della Gaia scienza.

Carlo Gentili è Professore ordinario di Estetica presso l’Università di Bologna

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