“Internet of Things. Gli ecosistemi digitali nell’era degli oggetti interconnessi” di Stefano Za

Prof. Stefano Za, Lei è autore del libro Internet of Things. Gli ecosistemi digitali nell’era degli oggetti interconnessi edito da Luiss University Press: cos’è, innanzitutto, l’Internet of Things?
Internet of Things. Gli ecosistemi digitali nell’era degli oggetti interconnessi, Stefano ZaL’Internet of Things (IoT) può essere visto come una rete di oggetti interconnessi tra loro capaci di raccogliere e scambiare informazioni attraverso l’uso della rete, di Internet. Si tratta di un fenomeno la cui notorietà e rilevanza sono aumentate negli ultimi anni, grazie anche alle diverse innovazioni tecnologiche che ne hanno arricchito le potenzialità e le applicazioni nei vari ambiti e settori.

Internet ha costituisce l’infrastruttura su cui si basa lo sviluppo e l’erogazione di diversi servizi. Un esempio è rappresentato dal World Wide Web, nato a metà degli anni Novanta del secolo scorso. Il Web ha attraversato diverse fasi evolutive incrementando il livello e le modalità di interazione degli utenti, favorito anche dall’integrazione di altre tecnologie sviluppate successivamente come il cloud e il mobile computing.

Anche per l’IoT, Internet costituisce l’infrastruttura, questa volta utilizzata non solo per permettere l’interazione tra persone ma anche tra oggetti, così come tra oggetti e persone.

In realtà l’idea di connettere degli oggetti che non siano computer alla rete non è recentissima. Uno dei primi tentativi lo si può identificare circa 40 anni fa, precisamente una dozzina di anni dopo la creazione dei primi nodi di ARPANET (la futura rete Internet). Nel 1982 infatti un distributore di bibite fresche (coke machine) presso la Carnegie Mellon University era in grado di inviare dati riguardo la quantità di bibite presenti e se quelle caricate di recente avevano raggiunto la temperatura desiderata. In questo caso il distributore era in grado di fornire la possibilità di monitorare alcune caratteristiche del suo contenuto. Negli anni gli sviluppi in quest’ambito sono stati notevoli, in linea con il noto trend evolutivo delle tecnologie digitali. Oggi gli oggetti sono sempre più sofisticati e sono in grado non solo di monitorare raccogliendo, elaborando e condividendo informazioni sul loro stato e sull’ambiente in cui si trovano, ma anche di prendere decisioni e intraprendere azioni più o meno sofisticate, sulla base della capacità di elaborazione e memorizzazione disponibile (che può essere specifica dell’oggetto o fornita dall’ecosistema a cui appartiene)

In che modo l’Internet of Things sta cambiando il mercato e le nostre vite?
Attualmente Internet collega circa 4,7 miliardi di persone – più del 60% dell’intera popolazione mondiale, di cui il 93% accede a Internet attraverso connessioni mobile. Ogni anno questi numeri hanno subìto un incremento costante e le previsioni vedono confermare questa tendenza. Se da un lato il numero di utenti digitali continua ad aumentare, anche il numero di dispositivi smart connessi a Internet continua a crescere. Nel 2021 si stima siano stati intorno ai 21 miliardi, per arrivare o superare i 50 miliardi entro il 2030. Secondo studi più recenti, a partire dal 2020 i dispositivi connessi considerati più propriamente “IoT” (Internet of Things – “internet delle cose”) superano ogni anno il numero di dispositivi “non-IoT” (essi rappresentano i principali dispositivi utilizzati dall’uomo per interagire in rete, come laptop, tablet, computer fissi, mobile phone ecc.). Questo andamento porterà i dispositivi IoT a triplicare il numero di quelli “non- IoT” entro il 2025 – circa 30 miliardi vs 10 miliardi rispettivamente –, grazie anche all’avvento del 5G, le cui attivazioni a livello mondiale si stima passeranno in questi 5 anni da meno di 300 milioni a oltre 3 miliardi. Questi numeri forniscono una prospettiva sul potenziale grado di pervasività del fenomeno IoT, sia in ambito personale che professionale. Questo potrebbe promuovere sia cambiamenti nelle nostre modalità operative sia definizioni di attività e servizi che saremo in grado di svolgere grazie allo sfruttamento delle potenzialità dei sistemi IoT, in ambo le sfere. Per esempio, potremo avere la possibilità di demandare agli oggetti alcuni compiti (non solo quelli più routinari e standardizzati) di potenziare servizi e funzioni nelle organizzazioni (fornendo ad esempio servizi evoluti per il settore della logistica, o per i sistemi di supporto alle decisioni, o per il monitoraggio dei pazienti da remoto in ambito sanitario, ecc.) o di sviluppare ecosistemi intelligenti (in ambito privato, aziendale o pubblico) dai confini più o meno ampi (ci si può limitare per esempio ad un area privata, ad un cantiere o ad una città – si veda il concetto di smart-city) in grado di svolgere una serie di attività con un certo grado di autonomia, integrandosi sempre più con l’operatività delle persone (come singolo o come gruppo o comunità).

Quali sono i principali ambiti d’applicazione dell’IoT?
Oramai gli ambiti applicativi dei sistemi IoT sono molteplici. Nella sfera personale siamo circondati dagli smart device, come lo smartphone in primis, i dispositivi indossabili (smartwatch e smart band), le smart TV, gli assistenti intelligenti (come Google Nest e Amazon Echo), e altri dispositivi che popolano il nostro ecosistema digitale (ad esempio le lampade e le prese intelligenti, o alcuni elettrodomestici). Tutti questi dispositivi contribuiscono ad arricchire le potenzialità dell’ecosistema digitale di cui fanno parte. Nella sfera personale usiamo quotidianamente alcuni di questi dispositivi per supportare le nostre azioni (es. le informazioni sul traffico in tempo reale su uno specifico percorso visualizzate da alcune app, sono una stima basata su quelle raccolte attraverso gli smartphone che transitano nelle diverse ore del giorno sullo stesso percorso) o per monitorare il nostro stato (es. numero di passi giornalieri, frequenza cardiaca, qualità del sonno, ecc.) o per automatizzare delle routine (es. nell’ambito delle applicazioni di smart home).

Nella sfera professionale e nelle organizzazioni, gli ambiti applicativi sono di diversa natura e spaziano ormai in tutti i settori. Volendo riassumere, prenderei in prestito il contributo di Porter e Heppelmann (2014, https://hbr.org/2014/11/how-smart-connected-products-are-transforming-competition) in cui si definiscono quattro fasi evolutive di un ecosistema IoT: monitoraggio, controllo, ottimizzazione e autonomia. Ogni fase include le caratteristiche della precedente. Al giorno d’oggi, nella maggior parte delle organizzazioni, indipendentemente dal settore in cui operano, è possibile identificare una di queste quattro fasi. Il monitoraggio è la fase basilare ed è quella più diffusa. I dispositivi intelligenti (smart device) consentono di monitorare le condizioni e il funzionamento del dispositivo stesso oltre a rilevare informazioni sull’ambiente esterno, tramite l’utilizzo di sensori e/o anche di altre fonti di dati. Le capacità di monitoraggio, controllo e ottimizzazione, se combinate opportunamente, possono permettere di far acquisire al dispositivo un certo livello di autonomia, che rappresenta la fase evolutiva più sofisticata. In questa fase, i dispositivi IoT sono in grado di percepire le caratteristiche del loro ambiente, di eseguire un’autodiagnosi e di adattarsi alle preferenze degli utenti (sono alcuni esempi i robot utilizzati nella gestione dei magazzini “intelligenti” o i macchinari intelligenti adottati in alcune miniere). In fine, va ricordato che i sistemi IoT rappresentano uno dei pilastri dell’industria 4.0.

Quale impatto è destinato ad avere, in particolare, su società e organizzazioni, il 5G?
Il 5G, con la combinazione opportuna delle diverse modalità di trasmissione, rappresenta un sistema di comunicazione innovativo e nel prossimo futuro giocherà un ruolo rilevante nell’ambito dell’Industria 4.0.

Tra le caratteristiche principali del 5G vanno ricordate: (1) la maggiore capacità di trasmissione (fino a 100 volte più veloce della generazione precedente); (2) la diminuzione dei tempi di latenza (il ritardo nella ricezione di contenuti); (3) la possibilità di collegare un numero maggiore di dispositivi alla stessa infrastruttura rispetto sempre alla generazione precedente, superando i disservizi che solitamente si riscontrano in luoghi molto affollati (partecipazione a un evento di grandi dimensioni) e soprattutto nei momenti in cui vi è un elevato utilizzo contemporaneo della rete in uno spazio densamente popolato di dispositivi connessi. Queste caratteristiche permettono di poter sviluppare e supportare meglio la comunicazione di tipo M2M (machine-to-machine), garantendo maggiore affidabilità, minor tempo di latenza, oltre alla possibilità di garantire la connettività a un numero considerevole di dispositivi IoT operanti all’interno di una stessa area limitata.

Il 5G permetterà infatti di raggiungere un elevato grado di flessibilità nelle attività di produzione, di supportare lo sviluppo di nuove e avanzate applicazioni mobile e di consentire a robot e veicoli autonomi di collaborare e interagire in real-time nei diversi ambienti (case, magazzini, officine, piantagioni, quartieri, città ecc.). Per avere un’idea di quanto il 5G possa influire sulla diffusione dei sistemi IoT basti pensare che, secondo alcune previsioni, il numero di dispositivi endpoint IoT (sono in genere tutti quei dispositivi finali che si trovano ai bordi di una infrastruttura di rete, per esempio un generico smart object) connessi tramite il 5G nei diversi contesti applicativi passa da circa 3.5 milioni del 2020 a circa 50 milioni nel 2023.

Quali sono pro e contro degli “oggetti digitali”?
Come detto in precedenza, l’utilizzo di dispositivi e sistemi IoT, soprattutto se inseriti opportunamente in un ecosistema digitale articolato, sono in grado di migliorare i processi aziendali a tutti i livelli, sia manageriali che operativi, così come possono contribuire a migliorare la nostra vita sia come individui che come comunità. Il loro valore e potenziale sono alquanto elevati ma costituiscono solo una faccia della medaglia. A causa delle specifiche caratteristiche e funzionalità di questi dispositivi, non vanno trascurati i rischi e le implicazioni derivanti da un utilizzo poco appropriato, soprattutto se non opportunamente previsti e gestiti. Oramai sono disponibili in rete numerosi casi degni di nota, che spaziano in diversi contesti, in cui si sono verificati dei malfunzionamenti o degli usi inappropriati di dispositivi IoT, che hanno causato importanti conseguenze (alcuni di questi esempi sono descritti nel libro). Particolare attenzione è stata data agli aspetti di sicurezza e privacy. Ad esempio, tutti gli oggetti digitali capaci di scambiare informazioni attraverso le diverse tipologie di connessione possono essere soggetti ad attacchi informatici. Una volta colpiti e alterati, gli oggetti possono essere utilizzati per carpire informazioni riguardo le persone che li adoperano, o per creare dei malfunzionamenti apparentemente inspiegabili, o per essere utilizzati collettivamente per effettuare un attacco verso un sito specifico (spesso noto come distributed denial-of-service attack – DDoS attack), coinvolgendo migliaia di altri oggetti distribuiti anche in un’area geografica piuttosto ampia. Inoltre, a volte la perdita del controllo delle informazioni sensibili raccolte attraverso dispositivi smart, tra cui i wearable device, non è dovuta necessariamente ad un attacco o malfunzionamento. A prescindere dalla possibilità di subire un attacco informatico, spesso si corre il rischio di non essere sufficientemente consapevoli riguardo dove le informazioni che ci riguardano sono memorizzate, con chi sono condivise, su quali piattaforme risiedono, o qual è l’utilizzo concesso a terzi.

Quali sfide pone alla nostra società l’IoT?
Abbiamo già menzionato che i dispositivi IoT tendenzialmente hanno un livello di protezione limitato. Questo è dovuto al fatto che avendo una potenza di calcolo limitata non possono supportare l’esecuzione di software tradizionali, come i moderni antivirus. Il fatto che poi siano ampiamente distribuiti e difficili da proteggere da un punto di vista fisico (es. limitando fisicamente l’accesso all’area in cui operano), li rende un bersaglio molto facile per utenti maliziosi che spesso li utilizzano per avviare un attacco informatico verso terzi, come ad esempio un attacco DDoS.

L’implementazione di sistemi IoT richiede un ripensamento del processo di progettazione, della realizzazione di un prodotto o erogazione di un servizio. Per fare un esempio, nella realizzazione di un prodotto smart (quindi un dispositivo IoT) si passa dall’ingegneria meccanica a un approccio mul- tidisciplinare più vicino all’ingegneria dei sistemi.

L’adozione di sistemi IoT richiede alle aziende di costruire e supportare un’infrastruttura tecnologica completamente nuova. Tale infrastruttura si sviluppa su più livelli, in cui a livello di prodotto bisogna prevedere una nuova componente hardware (es. sensori) e software (es. per supportare la capacità di leggere le informazioni dai sensori, elaborarle, trasmetterle ecc.), a livello di connettività bisogna supportare la trasmissione delle informazioni non solo tra i dispositivi smart ma anche tra loro e i sistemi fog e cloud computing, dove risiedono diversi servizi come la possibilità di memorizzare un considerevole volume di dati (big data) e di rielaborarli (cognitive computing). Infine, bisogna prevedere un insieme di strumenti hardware e software per garantire la sicurezza e un collegamento con fonti di informazioni esterne (che possono essere anche altri sistemi IoT). Il tutto andrebbe integrato con i sistemi informativi dell’impresa (es. piattaforme di Product Lifecycle Ma- nagement –PLM, Enterprise Resource Planning – ERP, Customer relationship management – CRM ecc.).

Oltre quindi alla complessità di gestione dei sistemi IoT, vi è anche la necessità di gestire il cambiamento derivante dalla loro adozione, sia nei processi interni che come caratteristiche dei beni prodotti e servizi erogati.

Il ripensamento dei processi derivanti dall’adozione di sistemi IoT necessita di un mix di competenze che includano sia quelle tecnico-organizzative sia quelle digitali. Potrebbero essere definite come competenze ibride, necessarie sia per supportare il dialogo tra attori operanti nei diversi ambiti (ma- nager o professionisti IT) e a diversi livelli (strategici, direzionali e operativi), sia per comprendere meglio i limiti e le potenzialità relativi ai sistemi IoT e, in generale, le opportunità offerte dall’ecosistema digitale, correlandole con i bisogni, i requisiti e gli obiettivi aziendali o della società.

Una delle principali sfide, a mio avviso, sta nel creare figure professionali che, adottando una visione sistemica, siano in grado di interpretare e indirizzare il processo di trasformazione digitale che stiamo vivendo a livello personale (nell’ambito delle nostre attività quotidiane), aziendale (nei diversi settori) e sociale, senza trascurare le relative implicazioni e le eventuali criticità.

Come è destinato ad evolvere, a Suo avviso, l’IoT?
Attualmente, dispositivi IoT sono stati integrati in macchinari più o meno sofisticati (come elettrodomestici, automobili, mezzi pesanti, macchinari di produzione, ecc.), rendendoli più “intelligenti” ed in grado di comunicare e interagire attraverso la rete. Nel prossimo futuro, in realtà non tanto lontano, molto probabilmente aumenteranno anche i casi di integrazione di dispositivi IoT in esseri umani, permettendo di migliorare le nostre capacità o superare alcuni limiti dovuti a specifiche disabilità. Tra i diversi casi, un esempio recente può essere quello rappresentato da Stentrode (https://pursuit.unimelb.edu.au/articles/stimulating-the-brain-without-major-surgery) un minuscolo dispositivo (flessibile e con un diametro di appena 4mm) installato vicino la corteccia motoria del cervello (attraverso un’operazione non invasiva) in grado di leggere i segnali inviati dal cervello e che permette a pazienti affetti da diverse tipologie di paralisi di poter inviare dei comandi a dispositivi esterni attraverso il proprio pensiero. Un esempio applicativo recente è quello di Philip O’Keefe, affetto da SLA, che il 23 dicembre 2021 è stato in grado di pubblicare un post su Twitter semplicemente soltanto attraverso il proprio pensiero. Oltre all’utilizzo in ambito motorio, per governare ad esempio i movimenti di un esoscheletro, tra gli obiettivi dichiarati dai ricercatori vi è quello di sfruttare anche la possibilità di inviare dei segnali al cervello attraverso Stentrode, valutando anche il posizionamento del dispositivo su una differente zona della corteccia (ad esempio quella sensoriale), in modo da integrare anche la percezione, per esempio, del tatto attraverso l’utilizzo di arti artificiali. Gli scenari futuri sono comunque ancora tutti da scoprire, per ora stiamo scoprendo giorno dopo giorno le potenzialità fornite da questi sistemi e dalla loro integrazione in macchine e individui, ipotizzando possibili scenari applicativi. Non bisognerebbe però mai distogliere l’attenzione dai possibili rischi e criticità derivanti da un estremo affidamento alla tecnologia.

Riuscire a sfruttare il potenziale offerto dalle applicazioni IoT richiederà non solo innovazione nelle tecnologie e nei modelli di business, ma anche investimenti nella definizione e nella formazione di nuove capacità e competenze, nonché azioni politiche volte a incoraggiare l’interoperabilità, garantire la sicurezza e proteggere la privacy.

Stefano Za è Professore Associato di Organizzazione Aziendale presso il Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università di Chieti-Pescara, dove insegna i corsi di Digital Transformation e Digital Business Organization. È presidente di ItAIS, il capitolo italiano dell’Associazione internazionale sui sistemi informativi (www.aisnet.org). È autore di diversi lavori pubblicati su riviste, libri e conferenze nazionali e internazionali. È esperto di analisi e riprogettazione dei processi organizzativi e gestione del cambiamento promosso dalle tecnologie digitali.

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