
Come si è evoluta l’intelligenza sul pianeta Terra?
Esattamente come ogni altro organo o facoltà biologica, cioè attraverso un lungo, lento processo evolutivo. Le prime forme rudimentali di intelligenza (come, ad esempio, acquisire informazioni sensoriali circa l’ambiente esterno e agire di conseguenza) apparvero già grazie a organismi unicellulari comparsi sulla Terra oltre 2 miliardi di anni fa, forse anche prima. Nel corso del tempo, la selezione naturale ha fatto si che queste abilità rudimentali diventassero progressivamente sempre più complesse in alcune specie viventi, tra cui l’uomo. Per arrivare ai “requisiti di sistema” attuali dell’intelligenza umana c’è stato bisogno di svariate transizioni come la comparsa di organismi pluricellulari, la specializzazione di alcune cellule e la conseguente comparsa dei neuroni, l’organizzazione dei neuroni dapprima in sistemi nervosi diffusi e poi centralizzati (con la comparsa del cervello), la formazione di aree cerebrali specializzate (in particolare della corteccia), l’origine del linguaggio, per non parlare di evoluzioni culturali come l’invenzione della scrittura e l’uso di utensili. Nessuna di queste transizioni però ha qualcosa di magico o sovrannaturale. Per quanto complessa ci possa sembrare la mente umana, essa non è altro che il prodotto di un lungo processo di evoluzione naturale e culturale. Dalla capacità dei batteri di riconoscere variazioni di temperatura siamo arrivati a organismi in grado di scrivere La Divina Commedia, costruire aeroplani, lanciare sonde nello spazio e, più recentemente, costruire sistemi artificiali in grado di esibire una qualche forma di intelligenza. Ma le regole del gioco sono rimaste sempre le stesse.
Cosa ci consentirà la nascita di un’era dell’intelligenza2?
Già oggi, il miglior medico in circolazione non è né il professorone umano in quanto tale né il miglior software medico sul mercato, bensì l’unione di entrambi, ossia il medico specialista che è in grado di servirsi dei più avanzati software predittivi in ambito biomedico. Allo stesso modo il miglior guidatore non è né il pilota esperto alla guida di una vecchia auto tutta analogica né un’auto a guida robotica, bensì il pilota esperto alla guida di un’auto altamente automatizzata in grado di gestire ogni evenienza. Questi sono solo alcuni esempi di intelligenze al quadrato, ovvero di interazioni efficienti tra l’intelligenza umana e quella artificiale il cui prodotto finale è ben più della semplice somma delle due, bensì qualcosa di esponenzialmente superiore. Col perfezionamento delle tecnologie di interazione uomo-macchina, soprattutto delle interfacce cervello-computer, questo reciproco potenziamento ci potrà consentire di superare alcune delle limitazioni biologiche tipiche della nostra specie. Potremo elaborare più correttamente e più velocemente gli infiniti flussi di informazione a cui siamo esposti quotidianamente, prendere decisioni più accurate in ambito medico o giuridico, avanzare la ricerca scientifica e il progresso tecnologico, riparare alcuni degli “errori di sistema” innati che sono ancora oggi causa di conflitto o discriminazione. In più potremo aiutare più efficacemente chi ne ha bisogno: creare nuovi canali di comunicazione (direttamente tra il cervello e i dispositivi digitali) per le persone paralizzate, compensare i deficit di memoria tipici dell’invecchiamento o del morbo di Alzheimer, garantire l’accesso al mondo dell’informazione a milioni di persone provenienti dalle aree più povere e remote della Terra, comprendere meglio i misteri del cervello umano e, in questo modo, sviluppare delle soluzioni efficaci per milioni di persone affette da disturbi psichiatrici o neurologici. Affinché questi scenari si materializzino, però, c’è bisogno di prendere le giuste decisioni in ambito etico e politico. Il progresso tecnologico non è deterministico, non è una profezia destinata ad avverarsi, non c’è alcuna garanzia di linearità. Se non prenderemo le decisioni giuste nelle apposite sedi questi prospetti possono tranquillamente rimanere inattuati o, ancora peggio, comportare un peggioramento della nostra condizione attuale. Quello che propongo è un approccio cooperativo, non competitivo, all’interazione tra intelligenza umana e artificiale. Anziché “loro contro di noi”, slogan tipico delle narrative distopiche sui robot che ci ruberanno il lavoro e schiavizzeranno, “loro con noi” e “in noi”.
Qual è lo stato dei progressi dell’intelligenza artificiale e della neuro-ingegneria?
Le intelligenze artificiali attuali sono in grado di superare le abilità cognitive umane in alcuni ambiti, ma sono terribilmente più scarse in altri. Ad esempio, esse sono assai superiori all’intelligenza umana in svariati domini quali la memoria, l’elaborazione di grandi moli di dati, il calcolo matematico e il ragionamento logico. Allo stesso tempo, però sono assai più scadenti quando si tratta di accorgersi delle emozioni di un’altra persona, comprendere il significato di una frase (o, ancor più, il suo contesto) o anche semplicemente raccontare una barzelletta. Nonostante queste limitazioni attuali, i sistemi computazionali di oggi, se adeguatamente integrati all’interno del canale cervello-macchina, possono già garantire un significativo potenziamento delle abilità umane. I progressi della neuro-ingegneria consentono già oggi a persone paralizzate di muoversi autonomamente controllando una sedia a rotelle elettronica direttamente con il cervello o trasformare l’attività cerebrale in linguaggio sintetico in pazienti che hanno perso la facoltà di parola. Non è fantascienza! Presso il Politecnico di Zurigo, l’Università dove lavoro, organizziamo ogni quattro anni (non a caso, la stessa ciclicità delle Olimpiadi) una competizione chiamata Cybathlon, cioè un’olimpiade dei cyborg. Si tratta di una manifestazione sportiva in cui persone con disabilità compiono attività quotidiane servendosi delle più avanzate tecnologie di interazione uomo-macchina come gli esoscheletri per la locomozione assistita, gli arti robotici per la deambulazione o per afferrare oggetti, e le interfacce cervello-computer per il controllo telepatico di un videogioco. Oggi, esistono svariate compagnie che lavorano allo sviluppo di interfacce cervello-computer per uso extra-medico, compresi giganti del web come Facebook o Neuralink, l’ultima creazione di Elon Musk, la cui mission dichiarata è per l’appunto “connettere l’intelligenza artificiale a quella umana”.
Quali profonde trasformazioni sociali causerà la chiusura dell’interfaccia tra uomo e macchina?
Il cervello umano governa non solo processi vitali quali la respirazione o la circolazione sanguigna, ma anche facoltà mentali come la memoria, la coscienza, il linguaggio, il ragionamento e le emozioni. Inoltre, esso è alla base del nostro comportamento. Pertanto, stabilire un canale di contatto diretto tra il cervello umano e le intelligenze artificiali potrebbe comportare una vera e propria trasformazione antropologica. Ad esempio, lo stesso concetto di persona e di identità personale potrebbero uscirne ridefiniti. Oggi i limiti fisici della nostra persona coincidono con i limiti fisici del nostro corpo biologico. Ma nel momento in cui le intelligenze artificiali diventano pienamente integrate in noi, nel momento in cui chip e macchine eseguono le stesse funzioni eseguite da componenti biologiche del nostro corpo, non dovremmo forse considerarli parte del concetto di persona? Tanti nostri pazienti ci confidano di considerare i loro impianti neurali o arti robotici come molto più di semplici dispositivi di loro proprietà (un po’ come noi consideriamo il nostro orologio) bensì come costitutivi della loro persona; di conseguenza, vedono il danneggiamento di tali sistemi artificiali molto più come un attentato alla loro persona che come un danno ad un oggetto di loro proprietà. Nel momento in cui si crea un canale diretto tra il mondo digitale e il cervello umano, si espone quest’ultimo a tutti i rischi tipici delle tecnologie informatiche come l’abuso dei dati, l’hackeraggio ecc. E oggi questa zona grigia tra uomo e macchina si trova in un vero e proprio vuoto legislativo. Un’ altra coppia di concetti in fase di ridefinizione è quella di libero arbitrio e libertà di pensiero. Nel momento in cui una decisione o azione è il prodotto congiunto di un’intelligenza umana e di un algoritmo, può tale scelta dirsi libera? E a chi dobbiamo attribuire la responsabilità di tale scelta o azione? E tutto questo non vale solo a livello individuale ma anche collettivo. I concetti di persona, responsabilità individuale e libertà di pensiero sono infatti alla base del nostro vivere associato e dei nostri sistemi politico-sociali.
Quali rischi e sfide pone l’intelligenza artificiale?
Tanto maggiore è il potenziale trasformativo di una tecnologia, quanto maggiori saranno sia le opportunità che i rischi che essa genera. Essendo una tecnologia dal potenziale estremamente trasformativo —sicuramente comparabile alle più grandi rivoluzioni tecnologiche della storia umana come l’invenzione della scrittura o l’elettricità— l’intelligenza artificiale porta con sé grandi rischi ma anche grandi opportunità. Molti intellettuali si sono focalizzati quasi esclusivamente sui rischi, descrivendo scenari apocalittici in cui l’IA causerà disoccupazione in larga scala, si sostituirà ai processi decisionali umani, o addirittura soggiogherà la specie umana in modo violento. Queste previsioni, tuttavia, oltre ad essere basate su una scarsa conoscenza delle tecnologie attuali, sono vittime dello stesso determinismo profetico che criticavo prima. Non c’è nessuna legge dell’universo che impone che tutto ciò debba avvenire. Se avverrà, sarà soltanto perché noi abbiamo preso le decisioni sbagliate in ambito politico, sociale e giuridico. E queste decisioni vanno prese qui e ora. Negli ultimi anni, ho avuto l’opportunità e il privilegio di sedere, in quanto esperto incaricato, ai tavoli di discussione sull’intelligenza artificiale e le neurotecnologie per conto dell’OCSE, del Consiglio d’Europa, della Confederazione Svizzera e del Parlamento del Regno Unito. Tutte queste organizzazioni nazionali e internazionali sono in prima linea nel garantire che la rivoluzione tecnologica in corso avvenga nel rispetto della democrazia e dei diritti umani. Le sfide che ci attendono, tuttavia, non si possono risolvere soltanto in modo tecnocratico ma c’è bisogno di una consapevolezza ed una partecipazione collettive. Con questo libro ho cercato di portare questa discussione fuori dalle stanze dei bottoni per consentire a tutti di farsi una propria idea, ragionare con la propria testa e crearsi una coscienza critica su cosa significhi essere umani nell’era digitale.