
L’Informazione rappresenta la «risposta confezionata riguardante una porzione limitata della conoscenza – e quindi per sua natura essenzialmente parziale e frammentaria» mentre la Cultura, «a differenza della Informazione, non è la tessera di un mosaico ma è il mosaico nella sua interezza».
Serrai prende atto che «purtroppo l’Informazione sta godendo, attualmente, di ben maggiore influenza e successo della stessa Cultura e quindi ottiene un effetto imponente e sproporzionato, piuttosto come occasione di svago, di ozio, di dissipazione e di superficialità che quale fattore e lievito di critica e di approfondimento nei confronti dei temi di indagine, di studio e di ricerca.»
Le tecnologie digitali, che potrebbero sostenere tali processi, spesso si risolvono, invece, in «impieghi elementari che tendono piuttosto a favorire, insieme alla pigrizia mentale, la tendenza all’approssimazione e alla divulgazione epidermica e superficiale». La «cosiddetta “era dell’informazione”» finisce così «spesso per degenerare e per trasformarsi, in sostanza, in un’epoca di disinformazione, che ha dato origine e alimenta un periodo di pressapochismo e di superficialità, che favorisce un evo in cui fioriscono piuttosto la confusione e la cattiva educazione che la conoscenza, la razionalità e il rigore.»
Tra le conseguenze di questo stato di cose vi è «che la cultura autentica non coinvolge più, oggi, che esigue minoranze, ridotte ai margini numerici della società; dal loro canto poi, in particolare, le biblioteche, che anticamente venivano definite “scrinia sapientiae” e “animae medicae officinae”, si trovano ridotte a languire in un quasi totale abbandono, prive di qualsiasi meta o rispondenza.» La tecnologia digitale, che consente l’«interconnessione di tutte le memorie […] in modo da poter generare così addirittura una superstruttura informazionale di scala mondiale», ne esclude però «le memorie scritte, la cui scansione ed elaborazione è rimasta ancora non solo ridotta, ma per lo più circoscritta nell’ambito degli interventi delle singole nazioni.»
Le biblioteche sono i «magazzini in cui si conservano le registrazioni delle testimonianze documentarie, che sono però catalograficamente reperibili solo in base ai nomi degli autori, per titoli, per elementi editoriali e per date di produzione. Ma degli stessi documenti non esistono ancora apparati di ricerca che siano in grado di fornire un’evidenza semantica generale, dettagliata e precisa, di ambito e su scala ecumenica». L’esistenza e l’origine delle Biblioteche «sono imprescindibilmente legate al concetto di Cultura.»
«Il problema di fondo» della Cultura – argomenta Serrai – «è come sia possibile insegnarla e trasmetterla, come si possa renderla diffusa e, quindi dotarla di una benefica virtù epidemica e di contagio mentale. La Cultura non può venir infusa se non per mezzo di una educazione prolungata e senza dover essere caratterizzata da precisi raggiungimenti o da esplicite finalità.»
E, tuttavia, se «la maggioranza dei cittadini è estranea, anzi aliena, al fenomeno e alla realtà della Cultura», e se essa «è sempre stata ansia e occupazione di élites, ossia di coloro che hanno avuto la passione e la capacità di occuparsene, […] sarà comunque necessario promuovere le energie di sviluppo, la maturazione intellettuale e gli interessi conoscitivi di tutti coloro che sono suscettibili di divenire i corifei della Cultura, ossia di quello stadio della educazione che rappresenta, attualmente, il livello più alto, e comunque il più interessante, dell’attuale condizione umana.»