
Come si sviluppa la storia delle vaccinazioni?
Le prime intuizioni sul concetto di immunità risalgono addirittura all’antichità. Ce n’è già traccia negli scritti di Ippocrate. Ma la prima documentazione di immunizzazione empirica proviene dalla Cina, dove si utilizzavano fin dal XVI secolo le croste di soggetti ammalati di vaiolo per “vaccinare” soggetti sani attraverso inalazione. Questa pratica, che si diffuse in tutto l’estremo oriente, venne importata dagli inglesi in Europa alla fine del XVIII secolo. La “variolizzazione” o “innesto” ebbe fortuna alterna, anche perché non era raro che il soggetto variolizzato sviluppasse la malattia e, addirittura, potesse agire da innesco per nuove epidemie. Nelle croste degli ammalati, infatti, era presente il virus del vaiolo umano con un livello di inattivazione molto variabile. Fu Jenner, per primo, che superò questo problema grazie ad una intuizione geniale: aveva osservato che le mungitrici della sua zona, che spesso contraevano dalle mucche una forma benigna di vaiolo (il cowpox o vaiolo bovino) erano poi immuni dal vaiolo umano (smallpox). Jenner allora estrasse il materiale dalle pustole di queste donne che avevano contratto il cowpox per inocularlo in bambini sani. Questi bambini, venuti a contatto con malati di vaiolo umano, non sviluppavano la malattia. Jenner, in maniera del tutto empirica, aveva scoperto il fenomeno della immunità crociata fra specie di virus diversi ma imparentati. Tale pratica, in onore al fatto che era stata sviluppata dalle mucche, venne chiamata vaccinazione. Il vaccino di Jenner ha permesso di eliminare questo terribile virus dalla faccia della Terra. Dopo Jenner, dobbiamo aspettare la seconda metà dell’800 perché grazie agli studi di Koch e Pasteur si sviluppasse la vaccinologia moderna.
Come sappiamo che i vaccini funzionano?
Dall’epoca di Koch e Pasteur la scienza ha fatto enormi passi avanti. Oggi conosciamo molto bene il meccanismo di azione di virus e batteri e la risposta immunitaria alle malattie. Prima di essere autorizzato all’uso, oggi, un vaccino deve superare un lungo periodo di sperimentazione e valutazione clinica. Generalmente si parte da modelli animali, per valutare che tipo di risposta immunitaria stimola il vaccino, per poi passare alla valutazione clinica sull’uomo. Di un vaccino si valuta sia l’immunogenicità, cioè la capacità di stimolare la risposta immunitaria nel vaccinato, sia l’efficacia clinica, cioè la capacità di prevenire la malattia per cui si è vaccinati. L’immunogenicità si valuta per esempio osservando quanti anticorpi si sviluppano nei soggetti vaccinati. Gli studi di efficacia sono invece più complessi, perché per realizzarli è necessario impostare i cosiddetti studi clinici randomizzati in cieco con gruppo di controllo. Bisogna cioè arruolare più gruppi di bambini e valutare l’incidenza di malattia nei bambini vaccinati rispetto ai bambini non vaccinati. Tali studi rappresentano lo standard della valutazione clinica dei vaccini, ma purtroppo non sempre possono essere realizzati sia per motivi etici che per motivi pratici. Alcune malattie prevenibili da vaccino, ad esempio, sono piuttosto rare (pensate alla meningite batterica) e quindi per condurre uno studio di questo genere sarebbe necessario arruolare centinaia di migliaia di bambini e seguirli per un periodo estremamente lungo. In questi casi, ai fini della immissione in commercio, ci si affida ai soli studi di immunogenicità. La valutazione di questi vaccini, però, continua anche dopo la messa in commercio, appunto per verificare che il vaccino sia efficace in condizioni “normali” nel suo utilizzo sul campo. Dalla enorme mole di dati che raccogliamo nella valutazione clinica dei vaccini sia prima che dopo il loro utilizza su vasta scala, abbiamo robustissime evidenze sul fatto che funzionino. Un vaccino che non funziona come dovrebbe, semplicemente, non viene immesso o viene ritirato dal commercio.
Quanto sono sicuri i vaccini?
Per la valutazione della sicurezza vale lo stesso discorso fatto in precedenza circa la loro efficacia. I vaccini attraversano ben 3 fasi di sperimentazione clinica sull’uomo. I cosiddetti studi di fase I sono condotti su adulti sani, mentre gli studi di fase II e III sono condotti su bambini nella stessa fascia di età per cui il vaccino dovrà essere registrato. In totale, nella fase di valutazione clinica si arruolano in questi studi fino a decine di migliaia di soggetti. La valutazione della sicurezza, poi, continua dopo l’autorizzazione al commercio attraverso le attività di farmacovigilanza. Attraverso la farmacovigilanza si raccolgono tutte le segnalazioni di eventi avversi che possono verificarsi dopo una vaccinazione e apposite commissioni valutano se le reazioni gravi sono o no correlate ai vaccini. Per fare un esempio, negli ultimi tre anni a fronte di milioni di dosi somministrate ai bambini non è stato segnalato all’AIFA (l’agenzia italiana del farmaco) un singolo caso di morte che sia stato causato dalla vaccinazione.
Perché abbiamo paura dei vaccini?
La paura nei confronti dei vaccini ha cause molteplici. Innanzi tutto i vaccini del passato non erano certo sicuri come i vaccini che usiamo oggi. Lo stesso vaccino contro il vaiolo era gravato da una quantità di eventi avversi piuttosto importanti. O il vaccino orale contro la poliomielite che, in un caso ogni 600.000-1.000.000 di vaccinati, provocava una paralisi post-vaccinale. La paura dei vaccini ha quindi anche una radice storica. Eppure quei vaccini erano più accettati dei vaccini moderni che sono estremamente più sicuri. E qui viene il paradosso: i vaccini sono oggi meno accettati che nel passato proprio a causa del loro successo nell’aver fatto scomparire le malattie infettive. Un genitore di oggi, nato negli anni ’80, non ha mai sentito nemmeno parlare di vaiolo, poliomielite o difterite. Nella sua vita difficilmente ha avuto esperienza diretta di un caso grave di pertosse o morbillo fra i suoi amici e conoscenti. Gli sfugge, però, che la percezione dell’assenza di queste malattie è dovuta proprio all’azione dei vaccini sulla popolazione. Per questo motivo, però, quando si giunge alla decisione di vaccinare i propri figli, molti genitori vengono presi dal panico perché non riescono a valutare serenamente e oggettivamente il rapporto che esiste fra il rischio legato agli eventi avversi ed il beneficio dato dalla protezione conferita verso queste gravi malattie. In generale, le reazioni della popolazione nei confronti di tutto ciò che riguarda le malattie infettive sono oggi molto spesso schizofreniche. Assistiamo ad atteggiamenti che oscillano fra la totale incoscienza – come quella di non vaccinare i propri bambini – e le reazioni incontrollate di panico di fronte a rischi infettivi tutto sommato remoti – come quelli che osserviamo alla prima notizia di un morto per meningite. Personalmente, ho notizia di genitori che hanno vaccinato i loro bambini contro la meningite ma non contro il tetano, ignorando che il rischio di tetano in un bambino non vaccinato è decisamente maggiore rispetto al rischio di contrarre una meningite batterica.
Cosa c’è dietro i movimenti antivaccinali odierni?
Mentre dietro la decisione di non vaccinare spesso ci sono semplicemente dei genitori disorientati ed ansiosi, invece dietro gli attivisti che fanno propaganda contro i vaccini esistono sempre degli interessi ben precisi. Gli antivaccinisti militanti sono molto pochi ma agguerriti e ben organizzati. L’uso dei social, poi, ha negli ultimi tempi facilitato di molto la loro azione propagandistica. Chi ha dunque interesse ad alimentar la disinformazione e la propaganda? Esistono fondamentalmente due motivazioni di base. La prima è puro business: dietro a molti leader si nasconde un vorticoso giro di consulenze, vendita di terapie farlocche, supporto legale per intentare causa allo Stato ed ottenere un risarcimento per presunto danno da vaccino. La seconda, meno sfacciata ma non per questo più nobile, è legata ad un senso di rivalsa professionale e voglia di visibilità da parte di qualche professionista che per propria incapacità o per aver abbracciato teorie pseudoscientifiche, è stato messo ai margini dalla comunità medica o scientifica. Questi leader sono numericamente molto pochi, ma hanno sviluppato un forte potere di attrattiva e riescono a catalizzare l’attenzione di cittadini e genitori che, per svariati motivi non si sentono rappresentati dalla comunità scientifica “tradizionale”. Purtroppo assistiamo sempre più spesso a conferenze (anche a pagamento o finalizzate alla raccolta di fondi) organizzate da questi personaggi che riescono ad attrarre un vasto pubblico e riescono anche a spuntare il patrocinio di qualche amministrazione locale distratta.
Come si fa a decidere chi e quando vaccinare?
Il calendario vaccinale è il frutto di un complesso processo decisionale basato non solo su questioni epidemiologiche e immunologiche, ma anche su considerazioni farmaco-economiche. Il mercato dei vaccini, infatti, è fondamentalmente un mercato gestito dalla sanità pubblica. Decidere dunque se un vaccino debba essere offerto gratuitamente alla cittadinanza passa anche attraverso la valutazione dei costi della campagna vaccinale a fronte dei benefici che la salute pubblica può trarre dalla vaccinazione stessa. In Europa non esiste (a differenza degli Stati Uniti) un organismo che detta le raccomandazioni per le strategie vaccinali. Ogni Paese dunque decide come vuole e come può in base alle proprie finanze. Può capitare dunque che una vaccinazione che in Italia è offerta gratuitamente, in Francia o in Germania sia ottenibile dietro pagamento. Per evitare che in Italia simili differenze di realizzassero fra le diverse Regioni, come spesso è successo in passato, il Ministero della Salute da un po’ di anni emana ed aggiorna costantemente un Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale (ultima versione aggiornata all’inizio del 2017) che detta le linee guida per le Regioni per rendere l’offerta vaccinale omogenea in tutt’Italia.