
di Bart D. Ehrman
Carocci
«Un recente sondaggio del Pew Research Center ha mostrato che il 72% degli statunitensi crede nell’esistenza del paradiso, in cui si va dopo la morte; il 58% di essi crede nell’esistenza dell’inferno. Questi numeri sono, naturalmente, più bassi rispetto al passato, ma rimangono degni di nota. E per lo storico è importante comprendere che nell’Occidente cristiano sino alla contemporaneità – si pensi, ad esempio, al Medioevo o anche, del resto, agli anni Cinquanta del Novecento – sostanzialmente tutti credevano che dopo la morte sarebbero andati in un posto o in un altro (o in purgatorio, in penitente preparazione della gloria eterna).
Una delle tesi del libro consiste nel fatto che queste prospettive non risalirebbero alle prime fasi del cristianesimo. Non è possibile trovarle nell’Antico Testamento, né attribuirle alle parole di Gesù. Da dove derivano, dunque?
Una tesi correlata alla prima sostiene che né il cristianesimo, né l’ebraismo su cui il primo è venuto a costruirsi – per non parlare delle altre religioni che caratterizzavano il loro immediato contesto – avessero una visione unica sull’aldilà. Entrambe – insieme a tutte le altre religioni dell’epoca – presentavano prospettive radicalmente differenti, se non in competizione tra loro. Persino nel Nuovo Testamento alcune figure chiave favorirono interpretazioni divergenti. L’apostolo Paolo aveva una visione dell’aldilà diversa rispetto a quella di Gesù, le cui prospettive appaiono differenti nel Vangelo secondo Luca rispetto a quello secondo Giovanni, così come nell’Apocalisse. E, ancora, nessuna di esse coincide esattamente con quelle dei principali esponenti del cristianesimo del II, III, IV secolo, la cui riflessione è divenuta la base per le interpretazioni di molti cristiani oggi. Pertanto, come nacquero tutte queste prospettive? […]
In questo libro vedremo come ci fu un tempo in cui nessuno credeva che dopo la morte si vada all’inferno o in paradiso. Nell’esperienze culturali dell’Occidente più risalenti, almeno a partire da quelle di cui abbiamo documenti scritti, gli uomini credevano che dopo la morte a tutti toccasse la stessa sorte: un’eternità priva di interesse, fioca e piuttosto noiosa in un posto spesso chiamato Ade. È certamente questa la visione che emerge dall’Odissea di Omero. In seguito, però, si cominciò a credere che ciò non potesse essere vero, soprattutto perché appariva profondamente ingiusto. Se è vero che esistono degli dèi la cui morale è simile alla nostra e che sovrintendono alle cose del mondo, è anche necessario che la giustizia esista, in questa come nell’altra vita. Ciò non può che comportare che gli uomini fedeli, benintenzionati e virtuosi sulla terra saranno ricompensati per la rettitudine della loro vita e che i malvagi saranno puniti. È un’idea, questa, sviluppatasi in seguito, per quel che traspare dagli scritti di Platone.
Un’evoluzione simile è ravvisabile già nell’antica religione di Israele. Le nostre fonti più risalenti della Bibbia ebraica non parlano di “vita dopo la morte”, ma semplicemente di una condizione di morte: tutti gli uomini, giusti e ingiusti, risiedono nei loro sepolcri o in un’entità misteriosa chiamata Sheol. In questi testi l’attenzione è incentrata sulla vita presente, soprattutto su quella del popolo di Israele, scelto e chiamato da Dio come suo prediletto. Egli avrebbe reso grande il suo popolo in cambio della sua devozione e del suo culto. Questa visione di ampio respiro è stata però messa in discussione dalla storia: il piccolo popolo di Israele è stato vittima di una catena interminabile di disastri e calamità in ambito economico, politico, sociale e militare. Quando una parte di esso venne distrutta, alcuni sopravvissuti hanno cercato con grande travaglio di guardare al disastro alla luce della giustizia di Dio. Come può Dio permettere che il suo popolo eletto venga annientato da una potenza straniera, pagana?
A partire dal VI secolo a.C., i profeti ebraici cominciarono ad annunciare che Israele sarebbe stato riportato alla vita da Dio, dopo la sua distruzione. In un certo senso, esso sarebbe “risorto dai morti”. Una resurrezione comunitaria – non dei singoli individui che componevano il popolo di Israele, ma una rinascita del popolo di Israele stesso – che permettesse, ancora una volta, la ricostituzione di uno Stato sovrano.
Verso la fine dell’età dell’Antico Testamento, alcuni pensatori ebraici iniziarono a credere che questa “resurrezione” futura non avrebbe coinvolto il popolo nella sua interezza, ma i singoli individui. Se Dio era giusto, certamente non poteva permettere che la sofferenza dei giusti non fosse corrisposta. Sarebbe venuto un giorno del giudizio in cui Dio avrebbe letteralmente riportato in vita il suo popolo, individuo per individuo. Si sarebbe trattata di una resurrezione dei morti: a chi si fosse schierato con Dio sarebbe stato restituito il proprio corpo, per vivere in eterno.
Gesù di Nazaret ereditò questa visione e la proclamò con forza. Chi avesse fatto la volontà di Dio, avrebbe ricevuto la sua ricompensa, sarebbe risorto dalla morte per vivere per sempre in un regno glorioso qui sulla terra. Chi, invece, si fosse opposto a Dio sarebbe stato punito con l’annientamento. Per Gesù, tutto questo sarebbe accaduto molto presto. Il male aveva preso il controllo di questo mondo e vi stava scatenando il caos, soprattutto tra il popolo di Dio. Ma Dio sarebbe presto intervenuto per sconfiggere le forze del male e stabilire il suo regno sulla terra.
Dopo la morte di Gesù, i suoi discepoli ne diffusero il messaggio, sebbene adattandolo alla luce delle nuove circostanze cui dovevano far fronte. Tra le altre cose, essi avevano dovuto constatare che la fine attesa non era più arrivata, cosa che indusse a rivedere il messaggio originario di Gesù. Alcuni tra i primi cristiani cominciarono a pensare che il giudizio di Dio sui suoi seguaci non sarebbe arrivato alla fine della storia dell’umanità, bensì dopo la morte di ciascun individuo. I credenti in Cristo avrebbero goduto della sua presenza in paradiso, in attesa di ritornare ai loro corpi, una volta risorti. Chi si fosse opposto a Dio, invece, sarebbe stato punito. Alla fine, i cristiani iniziarono a pensare che questa punizione non avrebbe preso la forma dell’annientamento (così come Gesù credeva) ma del tormento, non temporaneo ma eterno. Dio è eterno, la sua creazione è eterna, gli uomini sono eterni e l’eternità mostrerà la gloria della sua giustizia: il dolore per i peccatori, il paradiso per i santi. Ecco nascere inferno e paradiso. […]
Uno studio diacronico di queste credenze può avere esiti importanti e proficui. Da un punto di vista accademico e intellettuale, esso ci dirà molto sullo sviluppo storico del cristianesimo, il più importante movimento religioso della storia della nostra civiltà.»