“In segreto. Crimini sessuali e clero tra età moderna e contemporanea” a cura di Lorenzo Benadusi e Vincenzo Lagioia

In segreto. Crimini sessuali e clero tra età moderna e contemporanea, Lorenzo Benadusi, Vincenzo LagioiaIn segreto. Crimini sessuali e clero tra età moderna e contemporanea
a cura di Lorenzo Benadusi e Vincenzo Lagioia
Mimesis Edizioni

«Gli abusi sessuali sui minori ad opera di membri del clero cattolico rappresentano da qualche anno uno specifico terreno di ricerca per le scienze sociali. L’affermarsi di questo campo di studi è sostanzialmente coevo all’emersione clamorosa del fenomeno in sé, al suo venire finalmente alla luce, a seguito inizialmente di una grande inchiesta giornalistica e poi della moltiplicazione di vicende giudiziarie ad ogni angolo del pianeta. Un contributo determinante al progredire delle conoscenze è stato certamente fornito anche dalle numerose commissioni di inchiesta che, soprattutto nei paesi anglosassoni (ma non solo), hanno consentito, in momenti diversi, una raccolta di dati sistematica e approfondita sulla questione.

Tralasciando del tutto l’esame della ricerca storiografica (trattata ampiamente in tutti gli altri capitoli di questo volume), possiamo dire che la parte del leone negli studi sugli abusi clericali è stata sicuramente appannaggio della psicologia e della psichiatria e ha quindi riguardato in primo luogo lo studio delle caratteristiche psicologiche e individuali dei sacerdoti responsabili di abusi. Molte ricerche psicologiche hanno anche tenuto in conto, e in misura rilevante, di elementi squisitamente teologici, soprattutto dell’impatto che alcuni tratti della teologia cattolica producono sulla mentalità e la cultura clericale. Alcune delle figure più eminenti del dibattito sulla cosiddetta “pedofilia clericale”, penso soprattutto a Richard Sipe e a Eugen Drewermann, sono, o sono stati, a un tempo sacerdoti (almeno per una parte della vita) e psicanalisti (sino alla fine). Drewermann è certamente un teologo di grande e riconosciuta statura internazionale.

Qui però non ci addentreremo all’interno né del dibattito psicologico né di quello teologico, per concentrarci invece sugli elementi che possiamo definire “strutturali” o sociologici del fenomeno, quelli cioè che hanno meno a che fare con la dimensione individuale e molto di più con il funzionamento organizzativo e istituzionale della Chiesa cattolica. Su questo terreno purtroppo il panorama degli studi e delle ricerche è assai più desolato. Io intravedo una ragione specifica di questa lacuna: l’enorme difficoltà di venire in possesso di dati empirici affidabili e rilevanti sul tema. Mi spiego. Gli storici lavorano soprattutto sulle cronache, sulle fonti di stampa, sugli atti giudiziari del passato. Gli psicologi si avvalgono, in primo luogo, della loro esperienza clinica, delle vicende personali dei preti che hanno avuto in cura, che hanno trattato come terapeuti (il più noto tra gli psicologi esperti di questioni clericali, il già menzionato Richard Sipe, riferiva di aver basato la sua analisi del fenomeno sulla conoscenza diretta delle storie di centinaia di suoi pazienti). I sociologi e gli antropologi si servono soprattutto di inchieste campionarie, cioè di questionari a risposta multipla, e di analisi qualitative basate sull’osservazione (diretta o partecipante) e sulle interviste in profondità, in qualche caso sui focus group. Nel caso degli abusi clericali, è chiaro che le surveys, i questionari, non rappresentano una via percorribile […] al pari dell’osservazione […]. Rimangono le interviste, ma anche queste sono, in realtà, molto difficili da ottenere. Per un motivo molto semplice: perché gli abusatori, anche quelli giudicati e condannati e che hanno scontato per intero la loro pena, non parlano, non concedono interviste ai sociologi. È infatti soprattutto delle loro storie che si avrebbe bisogno per esaminare molte delle cause strutturali del fenomeno, per capire se per caso vi siano degli elementi dell’assetto organizzativo e istituzionale della Chiesa cattolica che, involontariamente, facilitano la commissione di abusi e di violenze sui minori da parte dei presbiteri. […]

La situazione italiana poi è particolarmente deprimente perché, al silenzio dei sociologi e degli antropologi, si aggiunge anche quello degli psicologi, dei teologi e di tutti i soggetti istituzionali: dal Parlamento, che non ha mai promosso la formazione di una commissione di indagine simile a quelle costituite in altri paesi, alla CEI, la conferenza dei vescovi, che parimenti non ha sollecitato nessuno studio sistematico del fenomeno (quello che è avvenuto invece, ad esempio, in Germania o negli Stati Uniti) limitandosi, quando obbligata dall’alto (e cioè dal papa), ad introdurre qualche nuova linea guida rimasta generalmente senza concreta applicazione. Un gesto clamoroso e coraggioso come quello compiuto dal cardinal Marx, dimessosi da vescovo di Monaco in ragione dell’eccessiva lentezza e timidezza con le quali la Chiesa tedesca sta affrontando la questione degli abusi, in Italia è lungi dall’essere anche solo immaginabile. Insomma, a coloro che hanno a cuore la questione e il destino dei minori di ieri come di quelli di oggi non rimane che sperare che il clima sociale e culturale cambi presto e che anche nel nostro paese si inizi a discutere con serietà del problema in diverse sedi. […]

Il risultato di tutto questo è che del tema si parla, quando se ne parla, solo in termini scandalistici e pruriginosi, senza cognizione di causa, facendo di tutta l’erba un fascio, senza distinguere tra situazioni molto diverse, con toni insensatamente assolutori o violentemente e sommariamente giustizialisti.

Fatta questa lunga premessa, nel resto del capitolo illustrerò quelle che mi sembrano, al momento, le acquisizioni più importanti dell’analisi strutturale del fenomeno. La prima di esse è rigorosamente quantitativa e riguarda le dimensioni del fenomeno, il numero degli abusatori e quello delle vittime, il rapporto tra abusi clericali e abusi nel resto della popolazione e altre importanti caratteristiche quantificabili del problema. Si tratta di indicatori importanti e per certi versi cruciali, spesso evocati completamente a sproposito nel dibattito pubblico, sui quali esistono dati (non molti purtroppo) che conviene comunque riportare e commentare. La seconda acquisizione è invece squisitamente qualitativa e riguarda l’analisi dei fattori istituzionali e organizzativi che hanno favorito la commissione di abusi da parte dei membri del clero. In questo caso i dati sono purtroppo ancor meno consistenti, anche se per certi versi ancora più preziosi. L’ultimo contributo proveniente dalla ricerca internazionale sul tema riguarda gli atteggiamenti e i comportamenti messi in atto dai vertici della Chiesa cattolica, in particolare ovviamente dai pontefici, dalla curia e dai vescovi, nei confronti del fenomeno e soprattutto nei riguardi dei singoli presbiteri abusatori.»

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