
Qual è stata la loro importanza all’interno del sistema dei mass media?
L’importanza deriva dal fatto che attraverso le radio libere e private il settore dei mass media italiano si è aperto per la prima volta alla presenza di attori privati non legati al controllo diretto dello Stato. Fino alla metà degli anni Settanta era stato infatti possibile ascoltare soltanto i canali televisivi e radiofonici della Rai, se si eccettuano le trasmissioni di Radio Monte-Carlo e Radio Capodistria; con le radio libere si apriva il settore prefigurando anche i possibili sviluppi degli anni successivi con l’affermazione delle televisioni private. La nascita delle radio libere e private coincise con la fine del monopolio sui mezzi di comunicazione Italia che sarebbe stata confermata con la sentenza della Corte costituzionale del luglio 1976 con la quale si autorizzavano le trasmissioni in ambito locale. Un altro aspetto significativo fu proprio questo: per la prima volta, si affiancavano alla stampa locale anche delle radio locali, contribuendo ad arricchire un sistema dei mass media in rapida evoluzione.
La nascita delle radio libere ha agevolato la successiva rottura del monopolio televisivo?
La nascita delle radio libere è stata decisiva nell’accelerazione del processo di rottura del monopolio. Tuttavia è necessario riconoscere come le radio avessero dei costi assolutamente più contenuti rispetto a quelli di una televisione locale. Quindi le radio libere contribuirono ad aprire il settore dimostrando anche un grande bisogno di comunicazione che veniva dalla società: secondo alcuni dati alla fine del 1979 le radio in Italia erano oltre 2500 unità. Le televisioni private si affermarono con maggiore lentezza negli anni immediatamente successivi, ma furono senza dubbio favorite dalla presenza così capillare delle emittenti che si ponevano volontariamente al di fuori del monopolio. Il monopolio televisivo sarebbe terminato anche grazie alle scelte della politica che favorì l’instaurazione di un duopolio, evento che nel settore radiofonico era impensabile per la presenza di numerosi attori economici.
Come si è passati dal sistema monopolistico della Radio Rai alle esperienze di radio libere, locali, private, indipendenti?
I progressi tecnologici, la volontà di milioni di appassionati, la possibilità di “prendere la parola”, il clima politico e sociale degli anni Settanta furono tutti elementi che contribuirono alla nascita di migliaia di esperienze radiofoniche dal basso, innestandosi su una più generale critica al monopolio della Rai. Non è un caso infatti che le radio libere nascono nello stesso anno in cui la legge di Riforma della Rai del 1975 prevedeva il passaggio del controllo dell’azienda dal governo al Parlamento e una serie di misure per garantire maggior pluralismo e maggiore indipendenza dei mezzi di comunicazione dai partiti politici. Tuttavia quella riforma finì con l’assegnare ai principali partiti un peso sempre maggiore all’interno dei canali, non garantendo il pluralismo nei confronti della società. Se a questo si aggiunge che la radio permetteva di veicolare un contenuto politico “diverso” da quelli di norma ascoltati sui canali pubblici, oppure un genere musicale originale e innovativo, si comprende che le radio rispondevano ad un bisogno forte di maggiore articolazione e offerta dei contenuti mediatici tanto da un punto di vista dell’informazione che delle scelte musicali.
Quali sono i primi tentativi di radio pirata?
In ordine di tempo i primi tentativi di radio pirata, intendendo con questo termine quelle che trasmettevano al di fuori del monopolio, seguendo l’esempio delle radio offshore britanniche affermatesi negli anni Sessanta, sono Radio Sicilia Libera di Danilo Dolci nel marzo 1970 e l’esperimento condotto dal regista Roberto Faenza con Radio Bologna per l’accesso pubblico nel novembre 1974. Se per Dolci lo scopo era quello di denunciare le condizioni “dei poveri cristi” della Sicilia occidentale che non avevano voce e i ritardi nella ricostruzione dopo il terremoto del 1968, per Faenza l’obiettivo era di dimostrare che era possibile con costi limitati lanciare una radio con lo scopo di fare una comunicazione locale differente, attenta alle questioni di maggiore attualità del luogo in cui trasmetteva. Anche se queste esperienze si interruppero nel giro di alcune ore, furono decisive per fornire un esempio al nascente movimento delle radio libere che a partire dai primi mesi del 1975 avrebbe visto la sua diffusione capillare in tutto il territorio nazionale.
Quando sorgono le radio “militanti”?
Le radio “militanti” o politiche, nel senso che esprimono un punto di vista legato ad un determinato movimento politico, nascono in prevalenza nel periodo 1975-1977, in coincidenza con uno dei momenti di maggiore attivismo politico nell’Italia degli anni Settanta. Le radio “militanti” nascono soprattutto negli ambienti dei gruppi della sinistra extraparlamentare e del movimento giovanile che vedrà nel movimento del 1977 uno degli ultimi momenti di militanza politica e impegno collettivo del decennio. Da segnare come molte radio “militanti” facevano della controinformazione uno degli aspetti più incisivi della propria strategia comunicativa, oppure come queste emittenti cercassero di esprimere una visione della vita, della musica, della politica che puntava ad innovare anche dal punto di vista della mentalità e della cultura. Alcune radio militanti, a dimostrazione della solidità del loro progetto, sono ancora oggi attive nel panorama mediatico italiano, attraverso una presenza costante e qualificata che le fa percepire ancora come diverse rispetto ai canali mainstream.
Quando e con quali conseguenze si arriva alla deregulation?
Si arriva alla deregulation, dunque alla mancanza di ogni forma di regolamentazione del settore radiofonico, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1976, che poneva un problema relativamente all’incostituzionalità di alcuni articoli della legge di Riforma della Rai del 1975. Da quel momento davanti alla proliferazione delle radio libere e locali, i governi in carica non sarebbero riusciti ad approvare una regolamentazione del settore. Tra il 1976 e il 1990, nonostante i numerosi progetti di legge presentati, il settore sarebbe stato privo di una base normativa, determinando una competizione selvaggia che avrebbe finito per favorire i progetti editoriali più solidi. Le conseguenze principali determinarono la scomparsa di molti progetti di piccole dimensioni a favore di realtà più strutturate che progressivamente iniziarono ad ampliare il proprio segnale, passando da una diffusione locale ad una prima regionale e in seguito nazionale. Inoltre la legge Mammì dell’agosto 1990 “fotografava” una situazione esistente, puntando ad occuparsi più del settore televisivo, con il riconoscimento del duopolio, che di quello radiofonico.
Come e quando si affermano i network nazionali?
I network nazionali iniziano ad affermarsi già alla metà degli anni Ottanta, proprio a causa del vuoto legislativo aperto dalla sentenza della Corte costituzionale del 1976. Alcuni imprenditori e gruppi editoriali comprendono che, in assenza di finanziamenti pubblici, la pubblicità costituisce l’entrata più sicura per garantire una sopravvivenza economica alle radio. Così, prima alcune emittenti come Studio 105 a Milano che diventerà poi Radio 105, si dotano di concessionarie pubblicitarie e iniziano ad acquistare le frequenze al fine di ampliare il proprio raggio di emissione. Negli anni seguenti sfruttando le incertezze della politica altri progetti di network si consolidano come Radio Dimensione Suono a Roma, ma anche Radio Kiss Kiss a Napoli. Sul fronte delle eredi delle radio militanti si registra un tentativo di ampliare la propria diffusione: Radio Radicale ha una diffusione nazionale grazie al sostegno del Partito Radicale e al ruolo di servizio pubblico espressamente riconosciutole dal Parlamento; Radio Popolare di Milano attraverso il progetto di Popolare network avrà un copertura nazionale e nel 1992 poteva contare su una forma di azionariato popolare composta da oltre dodicimila iscritti.