
«La storia passata non viene più considerata come madre di quella presente, e quest’ultima sembra rivolgersi a quella dicendo: meriti sì il rispetto che si deve ad una madre veneranda, ma il mondo cambia così rapidamente e in modi radicali, ciò che è stato si presenta tanto diverso da ciò che è per cui tu non hai più pressoché nulla di importante da insegnare ed è giusto che ti si appenda alla parete come si fa con i quadri antichi.» Si interroga dunque l’Autore: «Corrisponde a verità che il grembo della storia è divenuto fondamentalmente sterile?» Qual è, allora, il senso della storia?
«Cicerone affermò che la storia è «in vero testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità». Tale affermazione indurrebbe a pensare che il cammino che gli uomini hanno alle spalle possa offrire loro insegnamenti atti a migliorare le proprie azioni. Ma in realtà non sembra che essi siano stati e siano sufficientemente capaci di imparare le «lezioni» della storia, come stanno a dimostrare anzitutto i grandi disastri provocati da quanti, posseduti e trascinati da una hybris smoderata, hanno avuto e hanno l’ambizione di poter farsi «padroni della storia».
Per far meglio comprendere «l’utilità della storia e come il suo studio costituisca insieme un bisogno dell’intelligenza, una fonte di conoscenza, un arricchimento e un diletto dello spirito degli uomini», lo storico torinese pone «il caso, estremo ma utile per comprendere, di una persona che del proprio passato non avesse o perdesse la memoria o la trascurasse in quanto priva di interesse. Qualora quella persona non sapesse nulla delle origini della propria famiglia, dei suoi luoghi di provenienza, dell’ambiente in cui è vissuta, ignorasse i valori che questa gli ha trasmesso rendendola diversa o simile ad altre famiglie; se, allargando lo sguardo, non avesse nozione delle vicende alle spalle della città, della regione, della comunità, dello Stato, in generale del mondo in cui è cresciuta, non avrebbe punti di riferimento e di orientamento. Ciò che la circonda gli risulterebbe vuoto, incomprensibile, e non avrebbe neppure coscienza del perché pensi ciò che pensa, ami quel che ama e non ami quel che non ama. Vagherebbe come una creatura sorda e cieca. Tutto ciò vale anche per le collettività. È dallo studio delle culture del passato, dal confronto con esse, che gli uomini possono arricchire le proprie, sono le esperienze trasmesse dalle epoche trascorse che consentono loro di arricchire conoscenza e coscienza. La storia è un immenso patrimonio a cui attingere, grazie al quale è dato orientarsi nel presente.»
Salvadori si scaglia contro quelli che definisce i «nuovi iconoclasti», le «forze che si armano contro la storia»: periodicamente, infatti, emergono «alla ribalta movimenti dell’opinione pubblica che – posseduti dalla convinzione di poter e dover ergersi a «giudici» intransigenti dei processi storici e di avere nelle proprie mani le chiavi per giudicare ciò che del passato e del presente debba essere considerato bene o male, conservato o cancellato – in nome di un supposto «progresso intellettuale e morale» abbattono monumenti, mettono alla gogna le figure di grandi personalità del passato su cui grava la loro condanna, esaltano quelle a loro gradite».
È la cosiddetta cancel culture: «Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che sono i paesi di irradiazione internazionale di questi crociati, si è assistito al desolante spettacolo di forsennati che si sono dati a decapitare e abbattere le statue erette a Cristoforo Colombo, deprecato per essere stato, oltre che quel grande scopritore che tutti sanno, anche un uomo del suo tempo, e cioè uno schiavista». Prosegue Salvadori: «Si sono viste università nelle quali i guardiani della «buona e bella storia» hanno avanzato, in nome del «politicamente corretto», la richiesta di abolire i dipartimenti di studi dell’antichità classica poiché in essa dominava la società schiavistica; di mettere al bando Aristotele sostenitore del fondamento naturale della schiavitù; di considerare Voltaire, Rousseau e Hume intellettuali retrogradi colpevoli di essersi malamente espressi verso i neri; di vietare nelle scuole la lettura di quel capolavoro che è Il buio oltre la siepe di Harper Lee in quanto sarebbe espressione di un vergognoso paternalismo bianco e di quell’altro capolavoro, Uomini e topi di John Steinbeck, per avere questi usato il termine «negri» riferendosi agli afroamericani. Anche Shakespeare non sfugge alla censura.»
Mette però in guardia Salvadori: «Assumere un atteggiamento moralisticamente aggressivo nei confronti del passato produce uno sterile, pericoloso irrazionalismo che snatura il processo della conoscenza sottoponendolo alle sentenze emesse da un tribunale tanto ripugnante quanto infruttuoso.» Occorre dunque «respingere con forza la confusione tra giudizi morali e ruolo della storiografia. I primi sono l’espressione di orientamenti soggettivi che non hanno a che fare con quest’ultima, la quale mira a comprendere e a spiegare i perché, i come e i quando del passato. Chiedere, senza capacità di discriminazione, a uomini dei secoli trascorsi di essere stati altro da sé, rivolgendo contro di essi una clava distruttiva, significa, appunto, consegnarsi all’oscurantismo e diffonderlo.»
Salvadori ci ricorda che «che i governi autoritari di ogni tipo hanno sempre temuto e continuano a temere lo studio critico e libero della storia, procedendo a soffocarlo o a costruire e diffondere versioni del passato censurate e manipolate a fini propagandistici e di potere. La storia può essere magistra vitae se sono gli uomini che si confrontano con essa a renderla tale, se e quando sono capaci di penetrare nei suoi molti e complessi meandri.»