“Imprimatur. Si stampi Manzoni” di Isabella Becherucci

Prof.ssa Isabella Becherucci, Lei è autrice del libro Imprimatur. Si stampi Manzoni edito da Marsilio: in quale contesto storico si sviluppa l’esperienza di Manzoni tragediografo?
Imprimatur. Si stampi Manzoni, Isabella BecherucciSiamo in piena Restaurazione, in un momento di grande chiusura delle autorità governative nei confronti delle manifestazioni artistiche che hanno un diretto impatto sulla popolazione: sono particolarmente temuti gli spettacoli teatrali (balletto, pantomima, commedia, tragedia) ma soprattutto destano sospetto le rappresentazioni tragiche che hanno già mandato – con Pellico e Foscolo – segnali inquietanti. Difatti i teatri sono attentamente vigilati dalla Polizia e le opere proposte dagli impresari sono sottoposte al duplice controllo preventivo dell’Ufficio della Polizia e della Censura, di recente ristrutturazione. Il nuovo governo austriaco del Lombardo-Veneto ostacola la formazione di una coscienza nazionale italiana, di cui l’istruzione e le arti sono le principali artefici. E comunica a sua volta fondando un giornale governativo, la Gazzetta di Milano, e una rivista trimestrale inizialmente ben sovvenzionata, la Biblioteca italiana, alla cui direzione mette uomini fedeli al suo regime. Per contro ostacola con tutti i mezzi il bisettimanale dei Romantici (Il Conciliatore), che dopo solo diciotto mesi di esistenza martoriata è costretto a chiudere. Il sistema investigativo è potenziato al massimo e l’Imperatore Francesco I segue da Vienna le notizie quotidianamente apportategli dai suoi numerosi informatori. Il clima si irrigidisce dopo i moti del marzo 1821, allorché incominciano le pesanti perquisizioni nelle dimore dei sospetti oppositori e i clamorosi arresti con i conseguenti processi e condanne esemplari, quali quello contro Silvio Pellico immortalato nell’‘autobiografia’ (Le mie prigioni).

Quanto pesò sulle opere di Manzoni la censura imposta dalla dominazione austriaca?
Manzoni conosceva perfettamente il Piano di Censura emanato con regio decreto il 1° maggio 1816: di conseguenza era consapevole che gli argomenti prescelti per il suo militante teatro romantico non potevano riguardare soggetti storici immediatamente riferibili all’attualità. Non era, pertanto, libero nella scelta del suo canovaccio. La Censura gli imponeva un’operazione di copertura, tramite la quale il prudente autore poteva solo alludere, attraverso una lettura allegorica, alla situazione oppressiva in cui si trovava a vivere. Poteva, cioè, comporre solo opere ‘in cifra’, che gli avrebbero permesso – in caso di indagini della Polizia o di rifiuto alla stampa da parte della Censura (non admittitur) — di difendersi, vantando i lunghi studi preparatori e l’esattezza storica sulla cui base costruiva le sue opere tragiche e, più tardi, il romanzo. Ebbe buon gioco, dunque, in quanto le restrizioni censorie potevano essere rigirate in positivo, permettendogli di assecondare la tendenza del tempo di associare medioevo e programma patriottico, in armonia con l’orientamento del nascente romanticismo che cercava nel passato paradigmi al presente.

Quali rapporti intratteneva Manzoni con gli intellettuali europei del suo tempo?
Malgrado la sua timidezza (espressa da una pronunciata balbuzie), l’altrettanto evidente riserbo e l’assoluta necessità di una vita routinaria appartata dalla vita mondana della capitale, Manzoni aveva un carattere gioviale e amava la buona compagnia: si circondò sempre di menti brillanti e dedicò largo spazio nella sua esistenza alle pubbliche relazioni. Era un uomo curioso e sempre desideroso di tenersi aggiornato. Nei periodi più duri della sua esistenza, che coincidevano quasi sempre con l’impegno creativo, gli furono d’aiuto gli amici fraterni Ermes Visconti, Gaetano Cattaneo e Tommaso Grossi, con i quali aveva una consuetudine quotidiana al punto che essi gli subentravano nei rapporti epistolari con i numerosi corrispondenti, fra cui Claude Fauriel e Johann Wolfgang Goethe, a cui scrivevano lunghe lettere piene di ragguagli sulla vita del Nostro.

Il Suo libro contiene anche descrizioni di vita famigliare dello scrittore milanese: quale ritratto ne emerge dall’analisi della sua dimensione privata?
Per rispondere a questa domanda bisogna individuare gli anni in cui s’intende ‘fotografare’ l’autore: quelli trattati nel libro (1818-1822) sono quelli delle grandi opere, che coincidono anche col momento più felice della vita famigliare; gli anni, insomma, che Grossi in una lettera definisce, citando un verso del Carmagnola, ‘gli anni delle speranze’: con uno stuolo di bambini già nati e altri in programma, con numerosi progetti di opere abbozzate sul tavolo a testimonianza di una vena feconda. Si tratta, però, di un uomo tormentato e soggetto talvolta a cedimenti nervosi per il doppio impegno, da una parte della bella famiglia che gli cresce intorno e, dall’altra, del suo lavoro di poeta e studioso, sempre più apprezzato. Malgrado tanta fatica, emerge distintamente la fisionomia di un uomo positivo, che investe in sé, nei suoi cari da crescere e istruire, nella sua casa e nel suo giardino, nel quale viene piantando infinite specie di alberi, ortaggi e fiori con grande competenza. E il giardino è specchio dell’anima.

Quale influenza ebbero su di lui la madre Giulia Beccaria e la sua giovane sposa?
Anche qui è necessario distinguere: due donne diverse lo affiancano e due volontà altrettanto distinte premono su di lui. Si consideri che l’influenza di Enrichetta crebbe nel tempo, man mano che da neo-sposa sedicenne divenne la giovane madre di una grande nidiata: la sua funzione di allevatrice le comportò subito un forte senso di responsabilità per il compito anche di educatrice, nel quale cercò di coinvolgere lo sposo in apparenza distratto e lontano. Abbiamo quindi una giovinetta dapprima sottostante in tutto e per tutto al ‘regime’ ancorché amoroso della suocera, la quale divenne poi la vera alleata del marito, di cui conobbe con più profondità tutta l’intelligenza e l’altrettanta fragilità. E la veneranda matrona, che fu protagonista assoluta della scena durante i primi anni del matrimonio del figlio, venne lentamente ma sapientemente lasciando spazio alla nuora, supportandola in tutto e per tutto, ben conscia delle fatiche fisiche delle numerose gravidanze. Donna Giulia lasciò, insomma, al giusto momento che il governo del cuore del figlio fosse tutto nelle mani di Enrichetta, ritagliandosi un ruolo importante nell’accudimento della prole.

Che rapporto lo legò al suo direttore spirituale Luigi Tosi?
Monsignor Luigi Tosi fu il direttore spirituale dell’intera famiglia, operando in particolar modo con le due donne che lo temevano e lo veneravano. Manzoni conservò sempre la propria libertà di giudizio, apprezzando il magistero sacerdotale del canonico nella consapevolezza del dislivello culturale che correva fra loro due e della sua diversa chiamata: quella alla poesia. Egli, dunque, lo rispettò sempre, riconoscendolo un operatore importante nella strada del suo perfezionamento spirituale, con la ferma convinzione della partecipazione costante dello Spirito Santo alla missione sacerdotale; ma egli continuò ad operare secondo la propria coscienza, non permettendo intromissioni nella sfera privatissima della sua opera poetica.

Ebbe una profonda crisi anche dopo la conversione proprio riguardo a questa influenza, talvolta avvertita come troppo invasiva e ne ‘ragionò’ nelle carte private della seconda parte delle Osservazioni sulla morale cattolica, l’opera apologetica scritta proprio su istigazione del sacerdote, come dichiarato in una sua più tarda riedizione («Alla veneranda e benedettissima memoria / del reverendissimo / LUIGI TOSI / oso consacrare un lavoro intrapreso / e condotto col suo paterno consiglio / ora che non mi può essere vietato dalla sua severa umiltà»).

Quale fu il coinvolgimento di Manzoni nel Risorgimento?
Fu forte, importante e prolungato nell’arco di più di trent’anni. Lo storico Carlo Capra ha scritto che «la lunga vita di Alessandro Manzoni coincide quasi alla perfezione con la parabola del Risorgimento italiano». Si può però anche affermare che fin dal principio, da uomo razionale e responsabile del suo ruolo nella società, egli operò in maniera da raggiungere i suoi obiettivi – che coincidevano con quelli dei suoi amici patrioti più spericolati e maldestri – senza far pagare scotti cruenti ai familiari inconsapevoli. Precoce riconoscitore della propria vocazione, fu poeta profondamente impegnato: sempre aggiornato sulla realtà politica italiana ed europea attraverso la lettura dei quotidiani e le informazioni dei numerosi viaggiatori che transitavano dalla capitale, restò fedele all’obiettivo di voler partecipare con le armi della letteratura alla creazione di una società migliore e riuscì a far filtrare il suo messaggio liberale con tale abilità artistica e diplomatica da rendere impossibile alla Censura soffocarne la potenza. Egli sapeva, infatti, muoversi con grande destrezza, avendo riconosciuto precocemente che nella vita intellettuale non si procede da soli (lo affermò in un frammento relativo alla seconda parte della Morale cattolica). Senza l’operoso dialogo con i suoi amici forse non si sarebbe raggiunto un simile traguardo.

Isabella Becherucci insegna Letteratura italiana all’Università Europea di Roma. Fra le sue pubblicazioni si ricordano l’edizione critica dell’Adelchi (Accademia della Crusca, 1998) e il commento al saggio storico Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia (Centro Nazionale di Studi Manzoniani, 2005). Alcuni dei suoi più importanti contributi sono raccolti nel volume Scampoli manzoniani (Cesati, 2012).

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