
Su quali principi si è basata la condanna dei rapporti tra persone dello stesso sesso?
Nel corso del Novecento la condanna di tali rapporti continuò a poggiare sugli argomenti che, dall’Antico Testamento ai padri della Chiesa, tradizionalmente avevano fatto della sodomia un crimine «particolarmente detestabile agli occhi di Dio». Nonostante le voci di studiosi e personalità levatesi dentro e fuori il mondo cattolico per confutarne la validità sul piano teologico e storico, gli «atti» omosessuali continuarono ad essere considerati come immorali per tutto il XX secolo. Tuttavia, dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso la Chiesa ha spostato progressivamente la sua attenzione dal problema di definire l’omosessualità, a quello di limitare le richieste di diritti e tutele avanzate da persone e coppie omosessuali. In particolare, la Chiesa cattolica si è opposta con forza – almeno fino al pontificato di Bergoglio – a ogni forma di legislazione che sancisse un riconoscimento giuridico a tali unioni o mitigasse le discriminazioni – pure condannate sul piano morale – cui queste persone andavano incontro nella società. Naturalmente non sono mancate le voci, anche dentro il mondo cattolico, che hanno dato una lettura diversa della sessualità e dell’omosessualità, anche se Roma le ha sempre considerate erronee.
In che modo la Chiesa si è opposta al riconoscimento di tutele o leggi che riconoscessero un qualche «diritto all’omosessualità»?
Già nel 1986 Joseph Ratzinger, allora prefetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede, scandiva in una Lettera ai vescovi sulla cura pastorale delle persone omosessuali come quello omosessuale fosse un comportamento al quale nessuno poteva rivendicare «un qualsiasi diritto».
In piena coerenza a questo principio, si sono susseguite fra anni Novanta e Duemila prese di posizione da parte dei pontefici e dei vescovi all’interno dei paesi che di volta in volta hanno visto riconosciute e garantite le coppie di persone dello stesso sesso. Tali rivendicazioni – e il loro riconoscimento da parte delle istituzioni – erano lette come la manifestazione preoccupante di una modernità immemore delle proprie radici culturali e religiose. Quel disegno di neo-cristianità, per usare l’espressione utilizzata da alcuni storici per definire l’orizzonte ideologico dei pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, finì per saldarsi a inizio anni Duemila con alcune istanze del neo-conservatorismo rinfocolate dal clima politico-culturale seguito all’11 settembre 2001. Naturalmente tale risposta alle crescenti rivendicazioni da parte del mondo omosessuale ebbe efficacia diversa a seconda dei singoli contesti nazionali. In Spagna, ad esempio, l’opposizione della Chiesa non riuscì ad impedire al governo socialista di approvare nel 2005 il riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso; in Italia, invece, la saldatura fra le posizioni di un ampio fronte di cattolici presenti in modo trasversale nell’arco politico e quella della Conferenza Episcopale Italiana, riuscì a scongiurare l’approvazione di provvedimenti di segno analogo.
Quale stagione di cambiamento ha inaugurato papa Bergoglio?
La prima e forse più significativa svolta di Bergoglio sul tema sta nella scelta delle parole. Già all’inizio del suo pontificato, riferendosi ai gay, Francesco ha utilizzato quell’interrogativo, «chi sono io per giudicare»?, che ha lasciato intravedere una strada sensibilmente diversa da quella tracciata dai suoi precedessori. Le parole del papa non sembrano più far trasparire una visione dell’omosessualità intesa come spia di una modernità pericolosa e contraria alla legge naturale, ma lasciano intendere una disponibilità al confronto da essere umano a essere umano, in linea con la visione della Chiesa «ospedale da campo» promossa da Bergoglio. Un altro mutamento c’è stato nell’agenda del papato. I temi etici o legati ai diritti civili, divenuti centrali soprattutto nell’ultima parte del pontificato di Giovanni Paolo II e in quello di Benedetto XVI, sono stati sopravanzati da altri problemi: migrazione, lavoro, ambiente, povertà. Naturalmente la Chiesa non intende sottrarsi al proprio giudizio anche sul primo ordine di problemi; questi, tuttavia, non sembrano più essere la cartina di tornasole per misurare il proprio rapporto con la modernità. La Chiesa sembra invece voler determinare la sua presenza nella società confrontandosi con altre, dirompenti questioni (pensiamo ai gesti e alle parole durissime di Francesco sul dramma dell’emigrazione nel Mediterraneo, e non solo).
Quale futuro, a Suo avviso, per il rapporto tra Chiesa e omosessualità?
Difficile dare una risposta a questa domanda, che naturalmente dovrebbe tener conto di contesti molto diversi. Pensiamo all’Italia. Nel 2016 la Chiesa italiana non oppose una particolare resistenza all’approvazione della legge sulle unioni civili da parte del Parlamento italiano. Tuttavia, le oscillazioni che oggi vediamo da parte della CEI sul Ddl Zan ci fanno capire che resistenze culturali verso una piena accettazione dei diritti delle persone omosessuali continuano a sussistere. Lo stesso dicasi, ad esempio, per la possibilità di accordare una benedizione a coppie di persone dello stesso sesso, recentemente negata da un Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede, con l’argomento che indirettamente si introdurrebbe un’equiparazione tra l’unione di uomo e donna uniti nel sacramento del matrimonio, e una scelta e prassi di vita che non può essere riconosciuta come «oggettivamente ordinate» al disegno divino.
Insomma, Bergoglio ha inaugurato una stagione di cambiamento importante nel modo di accostarsi alle persone omosessuali; resta da vedere se questa innovazione troverà una traduzione concreta in prese di posizione dalla forza paragonabile a quelle utilizzate anche nel recente passato i per stigmatizzarle. Da non cattolico, che guarda comunque alla Chiesa come a una presenza importante all’interno della società, mi augurerei più coraggio.
Francesco Torchiani (1984), è ricercatore di Storia contemporanea presso l’Università di Pavia. Si è occupato di esilio e di storia della cultura fra le due guerre mondiali e di storia della storiografia fra Otto e Novecento.