
Qual è il contesto internazionale nel quale matura la scissione socialista e in che modo esso la condiziona?
Nel gennaio 1921 ai vertici del Comintern è già chiaro che la situazione è radicalmente mutata dall’anno precedente e che le vittorie all’estero dell’Armata Rossa – a differenza di quelle in Russia – sono finite. Per evitare il rischio di un’invasione straniera a Mosca serve però che nascano comunque partiti comunisti in Europa che si oppongano con forza ad ogni avventura militare contro il neonato stato sovietico.
Chi furono i protagonisti di quella stagione?
Sono ragazzi sotto i 30 anni guidati da un ingegnere (Bordiga) che ha una visione matematica della realtà: democrazia = capitalismo, socialismo = dittatura del proletariato. In mezzo tra il bianco e il nero c’è solo una cosa: la rivoluzione. È una ideologia settaria (nessuna alleanza) e catastrofista (più le cose vanno peggio più si avvicina la rivoluzione). Di qui la tragica sottovalutazione del fascismo che per Bordiga è solo capitalismo mascherato. Gramsci subisce per un lungo tratto la personalità superiore di Bordiga poi, d’accordo con Lenin, si muove per spodestarlo attraverso una nuova tattica del fronte unico che propugna l’alleanza con i socialisti. Ma siamo nel 1924 e i giochi ormai sono già quasi fatti.
Il progetto comunista fu fermato quasi subito dall’avvento del fascismo: come ha fatto quella piccola «falange d’acciaio» a trasformarsi poi in un grande partito di massa, protagonista della storia repubblicana?
Attraverso due cose. La prima è una generazione di pochissimi militanti che resistono clandestinamente in Italia alle sopraffazioni del fascismo. Il PCI è l’unico partito a conservare un’organizzazione illegale in Italia per tutto il ventennio. Dopo il 1945 la gente se ne ricorderà. La seconda è la partecipazione unitaria alla Resistenza. Nonostante episodi (Porzus) di segno contrario, questa seconda generazione presiede alla crescita del PCI – 2 milioni di iscritti quando SPD o Labor superano di poco il mezzo milione – grazie anche al prestigio di Stalin vincitore di Hitler. Togliatti guida questo partito nuovo che diventa così grande per due esempi storici che gli stanno davanti: il Partito Nazionale Fascista con i suoi apparati di dopolavoro, case del fascio ecc. e la Chiesa cattolica con le sue parrocchie.
In che modo l’analisi delle origini del PCI contribuisce alla comprensione delle ragioni della sua scomparsa?
Il PCI nasce e muore con l’Unione Sovietica, quindi è chiaro che quel legame di ferro contava ancora, nonostante tutta la strada percorsa in senso contrario dopo il 1968 e l’invasione di Praga. Ma le ragioni della scomparsa del PCI sono altre, secondo me e precisamente la non comprensione di quella che in altro libro ho chiamato la mutazione individualista degli italiani. Fino al 1978 la politica italiana funziona grazie anche alla spinta del 68: divorzio, statuto dei lavoratori, pensioni, Irpef, servizio sanitario nazionale, regioni. Poi smette e la generazione del 68 abbandona la politica e si getta nella società civile: terza Italia, partite Iva, lavoratori autonomi, magistratura democratica, sindacati di polizia. La partecipazione elettorale comincia a calare. La crisi dei partiti italiani (tutti) comincia allora e non si arresta più. Ma senza partiti veri, come organismi di formazione della volontà collettiva, la democrazia non funziona. Anche negli Stati Uniti.