“Il valore sociale della cultura” a cura di Roberta Paltrinieri

Prof.ssa Roberta Paltrinieri, Lei ha curato l’edizione del libro Il valore sociale della cultura, pubblicato da FrancoAngeli: che ruolo svolgono la cultura e le politiche culturali rispetto alla coesione sociale e al contrasto alle diseguaglianze sociali?
Il valore sociale della cultura, Roberta PaltrinieriQuesta mia proposta nasce dalla necessità di ribadire quanto importante sia nella progettazione e nella programmazione sociale ed economica – le transizioni che ci aspetteranno negli anni a venire – la dimensione culturale. Già la crisi economica del 2008 aveva reso evidente la necessità di rivedere i parametri e gli indicatori per la misurazione del benessere e quanto fosse necessario mostrare attenzione nei confronti di processi e pratiche sociali che sviluppassero coesione sociale, inclusione in un’ottica sostenibile e di innovazione sociale .

Quella crisi ci ha accompagnato sino ad anni recenti, fino a giungere alla società della pandemia, e del rischio senza che molte delle contraddizioni che la società globale ha prodotto o di cui si è alimentata siano mai state risolte, una sulle altre il riprodursi e l’allargarsi delle diseguaglianze sociali. A ben pensare molte delle proposte che hanno attraversato il decennio 2010-2020 sono passate attraverso l’osservazione di esperienze, pratiche e politiche che hanno posto al centro un concetto rivisitato della felicità, qui intesa non in senso solipsistico come benessere di un singolo individuo, bensì rimettendo al centro concetti quali: comunità, collaborazione, condivisione, partecipazione, prossimità nella convinzione che la felicità non può che avere un fondamento intersoggettivo che deve ancorarsi ad una dimensione collettiva.

Le mie riflessioni nascono in seno al dibattito contemporaneo sul ruolo della cultura all’interno dei sistemi sociali per ribadire che La proposta che intendo avanzare nasce dalla convinzione che le transizioni che si declinano in buone pratiche e buone politiche necessitino ex ante di un ecosistema culturale, dato da conoscenza, informazioni, competenze culturali, produzione, distribuzione e consumo di cultura, i quali nel complesso rappresentano una infrastruttura fondamentale per un paese che miri a sostenibilità e coesione sociale, ricostruzione e resilienza, come ci invita a fare il PNRR.

Che relazione esiste tra innovazione sociale e processi culturali?
L’ innovazione sociale, cosi come d’altro canto la sostenibilità, sono le chiavi proposte per le transizioni. Diventa pertanto importante sottolineare come la relazione tra innovazione sociale e processi culturali segue un doppio binario. Da una parte i valori e i processi culturali sono il carburante dell’innovazione sociale, dall’altra si può definire l’innovazione sociale come la capacità di raggiungere determinati obiettivi comuni grazie a strumenti creativi.

I processi culturali, la produzione, distribuzione e consumo di cultura, sono pertanto sia l’obiettivo che la innovazione sociale si propone che, al contempo, i dispositivi per riuscire a rispondere ai bisogni vecchi e nuovi che si moltiplicano e che rendono urgente costanti processi di riflessività delle realtà che devono fare fronte. Sto pensando ai progetti di rigenerazione urbana, ai percorsi della cura, alle nuove emergenze in campo educativo, sono tutti ambiti nei quali i processi culturali attivati costituiscono le basi per una ridefinizione delle identità dei luoghi, delle persone, delle relazioni.

Quali applicazioni trova il concetto di sostenibilità culturale?
Come ribadisce Dessein (2011) pensare alla sostenibilità culturale significa pensare ai valori, alle credenze, ai principi di base e alla conoscenza, ecc. come la principale forza per ridisegnare le visioni del mondo, le istituzioni e financo le tecnologie necessarie per raggiungere l’obiettivo della sostenibilità.

Essa pertanto, nonostante sia quella dimensione della sostenibilità meno citata e ricordata, è la dimensione che da forza e preesiste ontologicamente a tutte le altre dimensioni della sostenibilità: quella sociale, quella ambientale, finanche quella economica.

Seguendo il filo di questo ragionamento occorre interrogarsi sulla funzione della cultura. Non sto certamente ritornando sulla annosa questione della valorizzazione della cultura come settore economico, o se essa è una spesa o un investimento.

Il valore sociale della cultura nasce da tre dimensioni: a) il valore intrinseco della cultura, ciò che gli è proprio ed indiscutibile, a cui si aggiunge, b) il valore strumentale, per esempio il valore economico generato, infine c) il valore istituzionale, il più importante, quel valore che si estrinseca nell’attuazione di politiche culturali che sostengano la rivalorizzazione di luoghi e spazi e offerta culturale, possibili partnership tra pubblico e privato, processi di rigenerazione sociale, nella convinzione che la creazione di un capitale culturale collettivo sui territori, che diffonde creatività, produce condizioni di contesto in grado di migliorare il benessere sociale.

Quale rilevanza assume il tema dell’agency e delle capacitazioni culturali?
Al centro di un paradigma sostenibile ed innovativo vi è tema dell’agency e delle capacitazioni culturali che sono alla base di tutti quei processi di ripresa e resilienza diremo oggi – dalla rigenerazione sociale urbana, ai nuovi modelli di governance, ai processi di partecipazione diretta, ai modelli sostenibili di produzione e consumo alle nuove forme organizzative – nei quali uno sguardo sociologico non può che cogliere la trasformatività come risposta alla logica dominante della individualizzazione, una trasformazione che nasce dal lavorare sulla dimensione simbolica e/o di significato in primis.

L’azione sociale trasformativa implica un modo di pensare e di agire individuale e collettivo che sia creativo, collaborativo, responsabile, capace di impattare virtuosamente sulle forme della vita, dell’abitare, del produrre, del consumare, dell’organizzare. Un agire sociale trasformativo che ponga al centro la cura e al contempo la prossimità come logica di azione.

Questa azione trasformativa mira alla creazione di capitale sociale, alla creazione di beni relazionali, superando la prospettiva strumentale della azione rispetto allo scopo.

Cos’è e come va interpretato il welfare culturale?
Se la cultura è luogo di sviluppo di capacità culturali, esse tuttavia non sono equamente distribuite, incidono infatti sulla loro disseminazione le disuguaglianze in termini di risorse materiali, cognitive, sociali, le quali a loro volta incidono sulla capacità di “navigare” tra un complesso insieme di norme, a partire dalle quali poter appunto riappropriarsi di un modo di rappresentarsi il futuro,.

Il welfare culturale, su questo tema ho pubblicato un testo nel 2022 a doppie mani con il collega Giacomo Manzoli, che è una declinazione del welfare di comunità, espressione della welfare society, mira alla generazione di un capitale culturale territoriale, il quale promuovendo sinergicamente pratiche culturali, la loro messa in rete, deve promuovere coprogettazione di sussidiariarietà circolare al cui centro ci debba essere, la produzione di capacità culturali.

Il welfare culturale è universalistico, riguarda tutti, non propone soluzioni particolaristiche, ma riguarda il benessere collettivo.

In questa chiave i processi di redistribuzione hanno come scopo quello di aumentare le consapevolezze rispetto a quale modello di società si voglia appartenere. Se si accettano i presupposti di questo diverso approccio alla cultura ciò a cui deve tendere il welfare culturale è, dunque, un processo di crescita della partecipazione culturale, laddove il fine ultimo dell’attivazione della partecipazione culturale, va ribadito, è la promozione di cittadinanza culturale, ovviamente non intendo parlare della dimensione giuridica della cittadinanza, il procedimento di riconoscimento della stessa, ma della cittadinanza culturale come accesso alla conoscenza, al sapere ed alla comunicazione e soprattutto alla responsabilità sociale che ne deriva, nell’ottica della costruzione di immaginari e di comunità. Rimettere al centro la cultura con tutte queste implicazioni diviene perciò una vera e propria sfida perché necessita di percorsi di autoriflessione per amministrazioni lungimiranti, per un settore privato che acquisisca sempre più il valore della responsabilità, per una società civile che superi l’autoreferenzialità per aprirsi alle reti.

È una sfida, inoltre, perché occorre creare consapevolezza tra coloro che producono cultura, gli attori culturali, i quali dovranno interrogarsi sul valore sociale della cultura e per gli stessi osservatori del fenomeno che probabilmente necessiteranno di paradigmi interdisciplinari per interpretarne il reale portato.

Roberta Paltrinieri è professore ordinario in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna. È responsabile scientifico del DAMSLab e componente del Comitato Scientifico del CRICC, Centro di Ricerca per l’interazione con le Industrie Culturali e Creative dell’Università di Bologna. Insegna Sociologia della cultura e dirige il Corso di Alta Formazione “Innovatori culturali”. Si occupa di innovazione sociale e culturale, welfare culturale, partecipazione e studio delle audiences. Sul tema, oltre al libro Il valore sociale della cultura, nel 2021 ha pubblicato con G. Manzoli il testo Welfare Culturale. La dimensione della cultura nei processi di Welfare di Comunità.

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