“Il trono oscuro. Magia, potere e tecnologia nel mondo contemporaneo” di Andrea Venanzoni

Dott. Andrea Venanzoni, Lei è autore del libro Il trono oscuro. Magia, potere e tecnologia nel mondo contemporaneo, edito da Luiss University Press: in che modo pensiero e rituali magici sopravvivono nell’ipertecnologico mondo digitale?
Il trono oscuro. Magia, potere e tecnologia nel mondo contemporaneo, Andrea VenanzoniGran parte dei più recenti frutti dello sviluppo tecnologico e in certa misura della stessa società digitale presentano radici e origini, consapevoli o meno consapevoli che siano, nutrite di concetti esoterici. Non può stupire: l’alta tecnologia nasce in certa misura proprio per superare o abbattere quelli che il genere umano percepisce come residui limiti, siano essi mentali, culturali o strutturali e ontologici. Tutti quei limiti cioè che lo sviluppo tecnico non è stato in grado, fino ad oggi, di elidere.

Gran parte dei tabù che punteggiano lo sviluppo culturale e mitologico della civilizzazione umana diventano in questa misura punto di fusione dell’attenzione tanto della magia quanto dell’alta tecnologia: dal volo, prima nei cieli e poi nello spazio, alla lotta contro la morte, alla battaglia contro i confini fisici, che ad esempio il digitale finisce per azzerare e trapassare, e contro lo stesso tempo che nella iper-accelerazione dei flussi informativi digitali diventa altro da sé.

È un dato su cui antropologia e storia del pensiero religioso si sono soffermate a riflettere molto a lungo nel corso dei secoli, e che riproduce plasticamente la delicata questione della connessione tra sacro e utilizzo della tecnica.

Oggi sentiamo molto parlare, anche per l’uso che ne viene fatto da parte di movimenti politici (un uso in verità piuttosto povero e superficiale), di concetti come quello di intelligenza collettiva, formulato compiutamente nei suoi presupposti filosofici da Pierre Lévy: Internet rende possibile una connessione ad alveare di menti e intelligenze che combinate tra loro propongono una moltiplicazione virale degli spunti e dei pensieri e delle idee, producendo appunto una forma di intelligenza sintetizzata e potenziata.

È un concetto, come pure quello di ‘Infosfera’ coniato da Alvin Toffler, che ha una diretta discendenza magica, legato come è, in maniera non incidentale né episodica, a quello di ‘Noosfera’: originariamente formulato dallo scienziato russo Vladimir Ivanovič Vernadskij, padre del cosmismo russo, dottrina questa che fonde pienamente misticismo e alta tecnologia, il concetto di Noosfera avrebbe reso possibile l’integrazione mentale, propiziata dal progresso tecnologico, tra tutti gli individui producendo una modificazione del reale.

Va sottolineato come in Russia, tra gli anni sessanta e settanta del XX secolo, secondo una linea evolutiva concettuale affine al neoplatonismo plotiniano, questa forma di pensiero sia stata interpretata come uno strumento per addivenire alla comprensione ultima delle leggi divine, in un momento storico in cui lo stesso cosmismo influenzava in maniera non banale lo sviluppo dei programmi spaziali sovietici. Il che è anche piuttosto ironico se si pensa che il ‘paradiso’ del socialismo reale si è trincerato per anni dietro una coltre di materialismo, ateismo di Stato e razionalismo scientista.

Il cosmismo ha avuto anche una sua deriva americana; alcuni suoi presupposti sono stati al centro di seminari tenuti in California, presso quella curiosa istituzione alternativa che è l’Esalen Institute. Ma ancor prima e sempre in occidente, la Noosfera aveva assunto coloriture più mistiche con la rilettura offertane dal gesuita Pierre Teilhard de Chardin.

Uno dei motivi che mi hanno portato a scrivere Il Trono Oscuro è stata la consapevolezza che nonostante il termine ‘magia’, nel suo senso etimologicamente e filosoficamente puro, susciti generale riprovazione e alzate di spalle, essa rappresenta per quanto possa suonare paradossale una delle principali chiavi di lettura e di comprensione dei fenomeni altamente tecnologizzati.

La magia non si limita a sopravvivere negli ombrosi interstizi del digitale: essa ne è un dato fenomenologicamente fondante. Non a caso, un grande Mago rinascimentale come Cornelio Agrippa, che era anche medico, filosofo e storico, insegna nelle sue opere come un vero Mago non possa prescindere dal padroneggiare in maniera profonda teologia, matematica e fisica.

Lo stesso John Dee, che fu ascoltatissimo consigliere della Regina Elisabetta I, nonché alchimista e mago tra i più noti e che nel libro occupa uno spazio rilevante, aveva solide conoscenze matematico-scientifiche.

Nel mondo anglo-americano ormai questi argomenti costituiscono oggetto di serie e ponderate ricerche accademiche, scevre di sensazionalismo, complottismo o posture kitsch. In Italia c’è voluto un po’ di più anche se vedo che qualcosa alla luce del giorno sta iniziando ad emergere.

Quali sono le radici culturali e “occulte” di parte del mondo digitale?
Quando ho concepito il libro, mi è stato subito chiaro che non avrei avuto particolare interesse, né ritengo sarebbe stato di grande utilità, nell’utilizzare la magia e l’occulto come mere metafore, strumenti epistemologici utili per approcci didascalici. Il Trono Oscuro in questo senso parla di vera, autentica magia e di occultismo nel suo dato reale. Ci sono già diversi e ottimi contributi che hanno utilizzato la ‘magia’ come metafora per spiegare l’evoluzione della società altamente tecnologizzata. A me invece interessava una analisi diversa.

Intendiamoci: nel digitale e nell’utilizzo di strumenti connessi a tecnologie particolarmente complesse ed elevate le metafore spesso si rendono affini alla magia, e io stesso ho comunque affrontato sia pur brevemente il tema.

Internet in certa misura esiste solo in quanto metafora: dalla ‘frontiera’ al ‘medioevo’, lo spazio digitale esiste solo in quanto ricondotto a un paradigma in certa misura metaforico.

Detto questo però a me interessava delineare il modo in cui il pensiero irrazionale, il misticismo, l’esoterismo e l’occultismo hanno influenzato, direttamente o indirettamente, molte scoperte, invenzioni, tantissimi strumenti tecnici che ormai, in una rincorsa cieca verso l’abbattimento di qualunque limite, adombrano una dimensione faustiana per la cui comprensione le leggi scientifiche non sembrano più bastare.

A ciò si aggiunga, e lo ha ricordato il Premio Nobel Giorgio Parisi in una intervista del 2016, che matematica e fisica negli ultimi anni hanno iniziato a parlare un linguaggio sempre più oscuro, iniziatico, involuto.

La teoria del caos, gli strani attrattori, le equazioni non lineari, la fisica quantistica, presentano, sia nella semantica sia nei concetti espressi, una aura evidentemente esoterica, da ‘iniziati’.

Oltre ad aver esse stesse ispirato delle ibridazioni magiche, come nel caso della Chaos Magick che utilizza concetti analoghi e che nasce nello stesso momento storico in cui Lorenz formula la sua teoria del caos, si sono rivelate discipline particolarmente amate dagli scrittori cyberpunk, dagli start-upper della Silicon Valley, dagli hacker e in generale da chiunque abbia nutrito non episodici interessi legati alla cultura digitale.

Questa commistione di concetti e radici produce effetti reali, tangibili. In alcuni casi, sui prodotti e sulle risultanti della ricerca culturale.

La ‘società della scatola nera’ di cui parla il giurista Frank Pasquale, a proposito della modellazione algoritmica e dell’uso dei big data, presenta non banali coincidenze con invenzioni esoteriche rinascimentali la cui funzione doveva essere quella di evocare e materializzare porte di accesso verso mondi altri, e che la penna di Clive Barker ha affrescato in Hellraiser, inventando ‘la scatola di Lemarchand’.

Ma pensiamo anche alla vocazione oracolare degli stessi algoritmi, il fine predittivo o se si preferisce l’ambizione di influenzare il reale costruendolo passo dopo passo.

Roger McNamee a proposito dell’utilizzo, piuttosto discutibile, dei dati da parte delle grandi piattaforme digitali ha parlato di ‘Voodoo Data Dolls’. Lo trovo significativo, perché ogni manufatto oracolare, come una tavola medianica o uno strumento Voodoo, si traduce in un far-parlare, in una sintesi che opera come interfaccia tra l’operatore, lo spirito evocato e lo strumento stesso: a notarlo non è un occultista ma il sociologo Bruno Latour che richiama questa dinamica nel suo ‘Il culto dei fatticci’.

Quando noi ‘interroghiamo’ una piattaforma digitale di acquisti o un motore di ricerca, diventiamo noi stessi parte dello strumento, come congiunzione triangolare tra la nostra volontà, la volontà ‘evocata’ del nostro desiderio tradotto in dati ceduti e la modellazione infrastrutturale (ciò che un giurista come Lessig definirebbe il ‘codice’) degli algoritmi che sono alla base della piattaforma, realizzati e programmati secondo i desideri, per noi, innominati dei giganti del Tech.

Quali sono le figure che maggiormente hanno segnato l’ibridazione tra pensiero magico e tecnologia?
Scrittori come Stanislaw Lem e William Gibson, molto diversi tra loro come sfumature e stile letterario, sono tuttavia avvinti da un utilizzo profondo di dottrina filosofica e magica innervata in contesti futuribili e altamente tecnologizzati. Entrambi hanno esercitato un notevolissimo impatto sulla cultura digitale. Gibson, che utilizza continui rimandi al Voodoo, nei fatti è colui il quale ha coniato il termine Cyberspazio. A Lem dobbiamo, tra le varie, le concettualizzazioni degli info-mondi e degli info-organismi. Se uno scandaglia la cultura hacker si rende presto conto di come essa sia letteralmente imbevuta di concetti magici.

In generale credo che la figura di Austin Osman Spare, per anni appannaggio di una ristretta cerchia controculturale e poi divenuta più conosciuta, sia fondamentale per capire alcuni meccanismi della rete più profonda, di certi forum e di certi comportamenti digitali ‘caotici’: la sua teorizzazione dei sigilli, dell’atavismo risorgente, la fusione tra spirito artistico e dato magico hanno profondamente influenzato, in molti casi in maniera larvata e indiretta, molti navigatori della Rete.

C’è un altro dato assai rilevante da sottolineare: la società dell’informazione contemporanea e la stessa Silicon Valley nascono non casualmente in California. Terra magica per eccellenza, nelle sue mille contraddizioni e nel suo sviluppo storico fantasmatico.

La California è quella autentica patria psico-geografica priva di storia reale e con una storia, al contrario, del tutto virtuale, intessuta di celluloide, spirito dei pionieri, crocevia di popoli, culture e religioni, che ha fatto riflettere molto il Baudrillard di ‘America’ a proposito di ologrammi, ovvero di copie che originano da nessun-originale: la California è l’estremo lembo della vis espansiva dei coloni lungo la Frontiera, il simbolo di una barriera infinita, l’oceano, e di una finitudine che pure si vorrebbe abbattere attraverso l’inventiva.

Crogiolo, come dicevo, di culture e derive esistenziali, di inventiva e di speranze, di quella autentica fabbrica dei sogni che è Hollywood, di scienza come Stanford e Berkeley, di controcultura come San Francisco.

La California è la patria della meditazione trascendentale e del silicio, della Chiesa di Satana e dei computer, della beat generation e delle start-up digitali. Una distesa di mare e deserto, di montagne e megalopoli nel cui ventre Zen e informatica, gnosticismo e fisica si stringono tra loro. Un luogo talmente peculiare e insondabile da aver fatto rimanere perplesso persino Aleister Crowley e che pure aveva suscitato la viva curiosità della fondatrice della teosofia, Helena Blavatsky.

Steve Jobs in questa prospettiva è un esempio paradigmatico: la sua opera è una piena ibridazione tra alta tecnologia e spiritualità radicale. Molto del design della Apple rimonta a figure e concetti dello Zen, alcuni particolarmente problematici per la mente occidentale, come quello di ‘ma’, traducibile approssimativamente come ‘spazio negativo’ e che indica una forma tesa alla estrema sottrazione. Il minimalismo Apple va letto in questa prospettiva.

Un’altra figura che mi piace ricordare e a cui ritengo sia anche giusto pagare tributo perché nei fatti occupandomi della sua biografia mi sono reso conto, in maniera epifanica, del sempre più stretto contatto tra digitale e magia, è quella di John McAfee, ‘padre’ dell’omonimo anti-virus: multimilionario della Silicon Valley, libertario, assertore della libertà più assoluta e pura e con una biografia che non sfigurerebbe in un romanzo di William Gibson o di Bruce Sterling.

Riprendendo un lungo e dettagliato articolo/intervista apparso su Wired alcuni anni fa, secondo diverse testimonianze McAfee avrebbe sperimentato, sul serio, il cosiddetto ‘suicidio quantistico’: nella sua forma teorica, si tratta di un esperimento logico-radicale che rilegge il famoso paradosso di Schrödinger, formulato da Max Tegmark (su precedenti spunti di Moravec e Marchal) a fine anni novanta e che postula una virtuale immortalità attraverso la supposta esistenza di un insieme multi-mondo.

Si tratta di una evoluzione, ai limiti dell’esoterico, delle risoluzioni logiche dell’entanglement quantistico e dei problemi che ne sono derivati, a partire dalla formulazione ‘multi-mondo’, appunto, elaborata da Hugh Everett III nel 1957.

Secondo questa idea, se la prospettiva multi-mondo fosse da ritenersi presupposto reale, ogni volta che punto alla mia tempia una pistola il gesto mi sdoppierà: in un universo mi sarò ucciso, ma in un altro la pistola non avrà fatto fuoco e sarò rimasto in vita. In pratica, per quante volte si voglia ipotizzare che si faccia fuoco, analoghe volte la pistola, in altri mondi, avrà fatto cilecca lasciando in vita lo sperimentatore.

Si tratta di un paradosso logico, spesso innervato dagli studi sugli sviluppi delle intelligenze artificiali. Il punto è che McAfee, secondo quanto riportato nella estesa intervista rilasciata a Wired nel 2012 che citavo prima, lo avrebbe tentato sul serio più e più volte con una autentica pistola alla sua tempia.

Paradosso nel paradosso, McAfee ha terminato i suoi giorni suicida dopo una vicenda giudiziaria dai contorni assai oscuri e che vede, parere mio, un eccesso di accanimento da parte delle autorità pubbliche. In questo caso, mi piace pensare sia davvero vivo nel multi-mondo, da qualche parte in un universo alternativo assieme al gatto di Schrödinger

Cosa rappresenta la Silicon Valley per la società dell’informazione e in che modo il caos magico la pervade?
Prendiamo la Oracle. Oggi ha sede legale in Texas ma è stata fondata decenni fa proprio nel cuore della Silicon Valley. Quel nome non è solo un suadente richiamo alla divinazione antica, al far-parlare della divinità che si rendeva messaggio veicolato attraverso feticci o attraverso corpi umani di officianti: è al contrario un chiaro programma di intenti.

La stessa Alphabet, un conglomerato che racchiude vari rami di Google e la Calico, spazia dalla bio-ingegneria alla informatica pura: sin nel nome traduce e tradisce una volontà abissale di riscrivere il codice attorno cui il genere umano ha sviluppato e trasmesso la propria conoscenza, l’alfabeto.

Ogni marchio aziendale della Silicon Valley sembra operare come un autentico sigillo magico: evoca, in chiave reale, un mondo alternativo che viene edificato, in una commistione stordente di proprietà industriale, utilizzo dei dati personali, inventiva tecnologica e magia, dai giganti del digitale.

Ma proprio come in ogni sigillo, ogni marchio è l’ombra di una singola volontà che viene proiettata sul mondo, fino a informarlo e plasmarlo secondo il progetto-volontà di un dato sperimentatore, inventore, magnate del tech.

Il digitale e la accelerazione tecnologica hanno semplificato enormemente la vita; hanno reso più agevole cercare, studiare, prendere possesso di una data informazione. Pensiamo a Google: nei fatti non è solo un motore di ricerca, ma è una piattaforma-mondo che di ricerca in ricerca, passo dopo passo, finirà con l’entrarci dentro e per far emergere una proiezione del nostro io, dei nostri desideri, dei nostri interessi, molto più organica e capillare di quanto potremmo noi stessi pensare.

Google ci conosce molto di più, e molto più in profondità, di quanto ci possiamo conoscere noi stessi o di quanto ci possa conoscere il nostro psicologo.

Per questo, si tratta di una prospettiva delicatissima e comprensibilmente la battaglia giuridica del digitale è in primo luogo una battaglia per i dati personali.

La Silicon Valley non è un semplice, mero non-luogo o un iper-luogo: è a tutti gli effetti una sorta di terra cava che si autoreplica ad ogni latitudine, incurante di limiti fisici, barriere politiche, idiosincrasie strategiche. E che spesso si autoreplica dentro il corpo umano, dentro la mente degli individui e nello spirito.

È una modalità di dominio del contingente che finisce per farci vivere in una sorta di caos-di-tutti-i-giorni: dicevo prima che il digitale ha enormemente semplificato il nostro stile di vita e il nostro approccio agli acquisti, alla lettura, alla ricerca, all’accumulo di informazioni.

Il punto è che questo flusso continuo, privo di spazio e di tempo, ci viene riversato addosso in maniera caotica, facendoci esistere nei fatti attraverso un poco consapevole caos quotidiano, di cui non riusciamo spesso a padroneggiare le esatte dinamiche. Vediamo accadere cose, pensiamo di volere cose, ma non riusciamo a comprenderne la causa: sono eventi senza causa, aspetto che riecheggia la definizione assoluta che un grande occultista come Eliphas Levi ha dato della magia.

Non tutti riescono a venire a patti con la luce abissale del caos e finiscono per perdersi, quando non si trovano davanti l’appiglio razionale della ‘causa’, del ‘perché’.

Per questo nel libro ho tratteggiato due distinti modi di intendere questo caos. Uno, aziendale e collettivistico propugnato dalla Silicon Valley, che ritengo discutibile e pericoloso, e uno, individuale e libertario, alla Spare, che invece conduce alla auto-elevazione, alla comprensione e alla conoscenza.

Burning Man rappresenta forse l’espressione più compiuta della commistione tra magia primordiale, sciamanesimo cyberpunk e Silicon Valley: cosa simboleggia l’evento che si svolge nel deserto del Nevada?
Come scrivo nel libro, questo festival rappresenta l’autentica infrastruttura esoterico-culturale della Silicon Valley. Una influenza espressamente ammessa da tutto il rutilante mondo dei magnati del Tech che da anni vi partecipano, sperimentando epifanie poi tradotte in campagne di marketing, innovazioni e invenzioni.

Quelle giornate nel deserto del Nevada, ma la cui radice storica è comunque californiana, da anni ormai avvincono i più grandi sviluppatori della Silicon Valley. Ci sono andati e continuano ad andarci i patron di Google, Zuckerberg, Musk, avvocati del digitale, sviluppatori informatici, alti dirigenti delle big-tech.

Non è un unicum per la storia del pensiero politico, della cultura e dell’esoterismo: agli inizi del Novecento, l’Europa ha vissuto l’epopea di Monte Verità, in Svizzera, che ha influenzato centinaia di politici, pensatori, filosofi, scrittori, psicologi, in un range che va da Hesse a Jung.

Monte Verità è stato il Burning Man del pensiero della crisi, cioè di quel particolare momento della riflessione speculativa e teorica che ha appuntato la propria attenzione sull’irruzione delle masse sul palcoscenico della storia, della sempre più evidente centralità del dominio della tecnica e sulla crisi radicale dei formanti politici e culturali, con in sottofondo un revival esoterico di rara potenza.

D’altronde, dal punto di vista storico, e per quanto possa apparire curioso, più l’uomo si è curvato a riflettere sulla tecnica, sull’industria, sul progresso, più ha evocato forze che hanno plasmato il ritorno della magia.

Ottocento e novecento sono secoli di invenzioni, di fabbriche, di lavoro su vasta scala, di armi sempre più sofisticate, di medicine e scoperte sensazionali, di scientismo e positivismo, e sono del pari i secoli di un revival magico senza precedenti

Una lezione preziosa che, debitamente ricontestualizzata, può tornare utile ancora oggi quando approcciamo il Burning Man.

Ci sono ottime possibilità che un device tecnologico che stiamo usando in un dato momento sia stato concettualmente partorito durante la settimana di spettacoli sciamanici e cyberpunk che prendono vita e corpo di giorno e di notte, in una sorta di riedizione magica di Mad Max. Non è esagerato dire che ormai Burning Man e Silicon Valley tendano a coincidere e a sovrapporsi tra loro sempre di più.

In che modo l’originale impronta gnostica della Silicon Valley è destinata ad influire sui futuri paradigmi sociali, culturali e antropologici?
Si è soliti riferirsi ai più grandi titani della Silicon Valley come a dei ‘geni’, spesso visionari.

Il genio, nel suo senso etimologico, è una figura che corrisponde ad una forza naturale capace di proteggere e produrre qualcosa di significativo. E che tutelava, nell’antichità pagana, un dato spazio fisico, una città, spesso indirizzando la vita di un individuo.

Il genio, proprio per la sua natura, pur intersecandosi con le cose della vita umana non partecipa della natura umana. Ragiona in maniera diversa, si pone problemi che gli altri nemmeno riescono, spesso, a immaginare. A suo modo è un visionario. Il poeta e mistico britannico William Blake ha scritto ‘non avrei potuto fare diversamente, ho seguito il mio angelo e il mio genio’.

L’ambizione di un grande magnate del tech, al di là del chiaro aspetto economico connesso ai guadagni e al ‘vendere’ un dato prodotto, è quella di incidere in maniera sempre più organica sul reale e di raggiungere gradi e stadi di conoscenza sempre più elevati e intensi. Se uno ci fa caso, raramente i giganti della Silicon Valley parlano per loro stessi: non si tratta di un mero anelito faustiano, cioè.

I loro progetti, i loro programmi, le loro visioni sono sempre rivolti e proiettati verso il mondo, l’umanità tutta, come se appunto volessero divenire i geni protettori del genere umano, liberato dal dolore, dalla sofferenza, dal lavoro, dalla morte forse.

Può apparire qualcosa di nobile, ma in realtà si tratta di posizioni che finiscono per sdilinquire le opzioni individuali e la libertà di scelta delle singole persone. Un utopismo dalle sfumature magiche di matrice schiettamente collettivistica.

L’idea di conoscere tutto, in maniera crescente, accelerata, senza limiti, senza filtri, produce un oceano continuativo di informazioni e dati che ci vengono riversati addosso. In certa misura ce li riversiamo addosso da soli non riuscendo più a rinunciare a questa rincorsa accelerata connessa al progresso digitale, e questo processo modifica strutturalmente la società e l’essere umano stesso. Non voglio fare un discorso neoluddista, lungi da me: ma solo richiamare al senso della piena consapevolezza individuale di quel che si sta facendo e di quel che si sta utilizzando.

Rischiamo di annegare, di regredire nella possibilità di conoscere.

La luce che dovrebbe disvelare segreti e misteri alla fine rischia di abbagliare o addirittura di accecare. Per questo motivo molto spesso è preferibile l’oscurità che, per quanto abbia atterrito molti, a volte ci è più amica di quanto si possa pensare.

Andrea Venanzoni, giurista e saggista, scrive per Il Foglio, ItaliaOggi, TPI. Si occupa di cultura digitale e di regolazione delle nuove tecnologie in ambito accademico. Da oltre venticinque anni inoltre studia Chaos Magick e altre dottrine esoteriche. Ha pubblicato, tra i vari, il volume Ipotesi neofeudale. Libertà, proprietà e comunità nell’eclissi globale degli Stati nazionali (2020) e ora Il Trono Oscuro – Magia, potere e tecnologia nel mondo contemporaneo (2022).

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