“Il tracollo culturale. La conquista romana del Mediterraneo (146-145 a.C.)” di Lucio Russo

Prof. Lucio Russo, Lei è autore del libro Il tracollo culturale. La conquista romana del Mediterraneo (146-145 a.C.) edito da Carocci: quale importanza riveste, per la storia del mondo mediterraneo, il biennio 146-145 a.C.?
Il tracollo culturale. La conquista romana del Mediterraneo (146-145 a.C.), Lucio RussoSono convinto che si tratti di uno spartiacque fondamentale, che segna una svolta sia nella storia politica sia, soprattutto, in quella culturale. La data del 30 a.C., che usualmente è scelta come termine del periodo ellenistico e inizio dell’età imperiale, è meno significativa in quanto caratterizzata da novità più formali che sostanziali (come l’inclusione ufficiale nello Stato romano dell’Egitto, che era già privo di qualsiasi indipendenza reale).

Quali vicende segnarono tale biennio?
Nel 146 Roma distrugge Cartagine e Corinto, impadronendosi della Grecia e dei territori già cartaginesi con i quali costituisce la provincia d’Africa. Nel 145, in seguito alla battaglia di Antiochia tra i due maggiori stati ellenistici, perdono la vita sia il sovrano dell’Egitto, Tolomeo VI, sia Alessandro I Bala, che regnava sull’impero seleucide. L’Egitto cade allora nelle mani di Tolomeo VIII, che perseguita la classe dirigente greca trasformando l’Egitto in uno stato fantoccio nelle mani di Roma. Valerio Massimo riferisce che questo re (che si era detto Evergete, cioè benefattore, ma fu detto dai sudditi Kakergete, ossia malfattore) fece circondare il ginnasio dai soldati ed uccidere tutti i giovani che vi si trovavano. Ad Alessandria, che era stato il principale centro culturale del mondo ellenistico, si spegne allora ogni attività intellettuale: nella direzione della famosa Biblioteca il grande filologo Aristarco di Samotracia, costretto a fuggire, è sostituito da un oscuro ufficiale dell’esercito. Ateneo riporta che gli intellettuali di Alessandria costretti alla fuga furono tanti che in ogni isola e città del Mediterraneo era possibile trovare cultori di qualsiasi disciplina costretti dalla povertà a offrirsi come insegnanti.

L’impero dei Seleucidi, come conseguenza della lotta tra due aspiranti al trono, si spacca in due: la parte minore, affacciata sul Mediterraneo, pochi anni dopo si scinde a sua volta per la nascita, favorita da Roma, di uno stato ebraico indipendente. La parte mediterranea di quello che era stato il potente impero seleucide risulta così divisa tra due deboli stati entrambi nella sfera d’influenza di Roma, che in quegli anni si impadronisce di tutto il Mediterraneo. Una prova eloquente della dipendenza da Roma dell’Egitto e della Siria è fornita dal fatto che qualche anno più tardi il distruttore di Cartagine, Scipione Emiliano, è inviato dal senato di Roma a ispezionare questi due stati.

La svolta di quegli anni era chiara ai contemporanei: il maggiore storico dell’epoca, Polibio, sottolinea l’importanza epocale dell’unificazione di tutto il mondo mediterraneo (dice “quasi tutto il mondo abitato”) nelle mani di una sola potenza: un evento assolutamente privo di precedenti.

In che modo l’espansione del potere di Roma si accompagnò a un grave regresso culturale?
La conquista romana interruppe bruscamente l’eccezionale evoluzione culturale che aveva caratterizzato il mondo di lingua greca dal VI secolo a.C. in poi. Le stragi, i saccheggi e le riduzioni in schiavità distrussero le scuole filosofiche e scientifiche e sottrassero agli intellettuali i mezzi per continuare il proprio lavoro. Rimasero attivi solo coloro che, per costrizione o per scelta, si trasformarono in cortigiani, consulenti e precettori al servizio dei nuovi padroni. Tra questi era Polibio, che accompagnò Scipione Emiliano nelle sue campagne militari e riuscì a realizzare un’opera storiografica di alto livello. Molto più difficile era conciliare la vita di cortigiano con la ricerca filosofica: i cortigiani sedicenti “filosofi” si limitarono a illustrare ai padroni una sintesi semplificata dei risultati precedenti. La scienza era poi del tutto esclusa dai loro possibili interessi.

Qual era il grado di evoluzione della scienza e della tecnologia ellenistiche?
Una delle conseguenze del crollo culturale è stata la perdita quasi totale degli scritti scientifici e tecnologici ellenistici. Per questo motivo la scienza e la tecnologia ellenistiche sono state a lungo sottovalutate. Va però sottolineato che i pochi trattati conservati hanno svolto un ruolo essenziale nell’evoluzione della scienza moderna. Gli Elementi di Euclide, in particolare, sono stati studiati per molti secoli, prima dagli Arabi e poi dagli Europei, come necessaria introduzione al metodo scientifico. La moderna analisi infinitesimale è nata dallo studio delle opere conservate di Archimede. La rivoluzione copernicana è nata dal ricordo dell’antico eliocentrismo. Anche l’idea dell’interazione gravitazionale tra il Sole e i pianeti è stata tramandata da autori che avevano letto i trattati astronomici ellenistici (e Newton si mostra ben consapevole dell’antica origine di questa idea). Pochi si sono accorti che non solo il concetto di atomo, ma anche quello di molecola è stato ereditato dalla scienza ellenistica. Potrei continuare a lungo: l’ho fatto in un libro (La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, nuova edizione 2021). Un’idea sul livello della tecnologia meccanica ellenistica è stata data dal ritrovamento dei resti della macchina di Anticitera: un complesso meccanismo che attraverso ingranaggi, differenziali e molti altri elementi di meccanica di precisione permetteva di calcolare ogni posizione futura del Sole, della Luna e dei cinque pianeti.

È stato in genere difficile riconoscere la rapida fine della tecnologia scientifica causata dalla conquista romana perché molte realizzazioni tecnologiche dei Romani suscitano un’ammirazione che sembra contraddire un crollo in questo settore. In realtà la conquista romana portò alla sostituzione della tecnologia scientifica con una tecnologia di tipo nuovo, che chiamo postscientifica, ottenuta assimilando molti elementi della tecnologia scientifica precedente, eliminando quelli più complessi e raffinati (come la meccanica di precisione), semplificando e diffondendo la produzione e l’uso degli elementi assimilati, ma tagliandone ogni rapporto con la scienza. Il risultato fu una tecnologia di notevole efficacia, che però poteva evolvere solo su base empirica ed era destinata a deteriorarsi con il tempo. La nuova tecnologia si trasmetteva da maestro a apprendista, in assenza di una vera letteratura tecnologica. Questa situazione si protrasse fino al Rinascimento. Nel basso medioevo si realizzarono, ad esempio, notevoli imprese architettoniche (pensiamo alle cattedrali gotiche), ma gli architetti si formavano sul cantiere ed erano estranei alla cultura scritta.

Quali conseguenze ebbe, sulle ricerche filosofiche e linguistiche, la conquista romana?
Se si legge l’esposizione di Diogene Laerzio della storia delle diverse scuole filosofiche, si nota che in genere l’ultimo esponente di ciascuna scuola è attivo nel biennio 146-145 e dopo di allora la scuola si estingue. Nel caso dello stoicismo, che nel periodo ellenistico era stata la più importante corrente filosofica, si estingue allora la cosiddetta “antica stoa”. Subito dopo il biennio di crisi le succede quella che gli storici della filosofia hanno detto “media stoa”, il cui principale esponente è Panezio. Non abbiamo sue opere, ma dai frammenti e testimonianze rimaste emerge un componente fisso della corte di Scipione Emiliano impegnato nell’esaltazione del dominio di Roma e nella divulgazione del pensiero di Platone, non solo privo di risultati originali, ma anche del tutto estraneo ai risultati più avanzati della filosofia e della scienza precedenti. In quegli anni si persero per millenni, in particolare, la logica proposizionale e la semantica elaborate da Crisippo e dai suoi continuatori. Nel campo delle ricerche sulla lingua, insieme alla semantica, si perse il convenzionalismo linguistico, ossia la possibilità di designare nuovi concetti con parole nuove oppure dando nuovi significati, liberamente scelti, a parole già usate. Questa perdita non solo impedì la creazione di nuove teorie, ma causò anche continui fraintendimenti delle opere ellenistiche conservate.

In che modo quel tracollo e l’oblio che lo ha avvolto hanno condizionato tutta la successiva cultura occidentale fino a oggi?
Il crollo culturale del secondo secolo a.C. causò la perdita di tutta la letteratura filosofica ellenistica e di gran parte di quella scientifica, mentre preservò alcune opere filosofiche della Grecia classica: in particolare quelle di Platone e di Aristotele (che evidentemente risultavano più comprensibili).

La cultura dell’Europa moderna si è nutrita in modo essenziale di opere greche, ma la selezione operata dal crollo rese necessario inquadrare i pochi trattati scientifici ellenistici conservati, come quelli di Euclide e Archimede, nell’ambito di concezioni precedenti, attinte soprattutto da Platone e Aristotele. Questa situazione sbilanciata ha caratterizzato tutta la scienza (e la filosofia) della prima età moderna. Ad esempio Keplero riuscì a scoprire le sue famose leggi analizzando i dati osservativi raccolti da Tycho Brahe con la matematica appresa leggendo Euclide, Apollonio e Pappo, ma la sua cosmologia rimase quella preellenistica. Keplero credeva ancora infatti in una sfera di cristallo in cui fossero incastonate le stelle, ignorando la rivoluzione astronomica ellenistica (che aveva eliminato tale sfera concependo un universo infinito), sulla quale la distruzione delle opere avvenuta in epoca romana aveva lasciato sopravvivere solo scarse testimonianze indirette.

Anche nei secoli più vicini a noi la cultura europea ha continuato ad attingere alla cultura classica attraverso due canali distinti. Da una parte elementi della cultura ellenistica hanno guidato, in modo sotterraneo e spesso inavvertito, una serie di sviluppi tecnici specifici (ad esempio nei campi della logica, dell’analisi matematica e della linguistica) che non sono mai entrati nella cultura condivisa. Dall’altra la “cultura umanistica” era identificata con la versione della cultura classica successiva al crollo trasmessa da autori come Cicerone: una cultura estranea alla scienza, interessata in modo superficiale alla filosofia e centrata sulla retorica (che ai nostri tempi ha assunto la forma delle “scienze della comunicazione”). La reciproca estraneità delle “due culture” ne è una delle conseguenze.

Lucio Russo si è occupato di meccanica statistica, probabilità, storia della scienza e storia. Tra i suoi libri: Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia (con E. Santoni, Feltrinelli, 2010); L’America dimenticata. I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo (Mondadori Università, 2013); Stelle, atomi e velieri. Percorsi di storia della scienza (Mondadori Università 2015); Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista (Mondadori 2018); La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna (Feltrinelli, nuova ed. 2021).

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