
Negli ultimi decenni, fortunatamente, la ricerca accademica ha tenuto sempre in maggiore considerazione tutta questa parte sommersa della letteratura antica; sempre più studiosi giovani e agguerriti si occupano di ridare corpo alla musica perduta dei Greci e dei Romani, incrociando gli strumenti della filosofia, della filologia, dell’archeologia e della musicologia. Per promuovere questa nuova provincia degli studi è nata una società internazionale che si chiama MOISA – International Society for the Study of Ancient Greek and Roman Music and Its Cultural Heritage, cui fa capo anche la rivista GRMS – Greek & Roman Musical Studies, edita da Brill. Tuttavia l’importanza culturale della musica greca e romana, e il valore aggiunto che il suo studio può portare alla comprensione dei testi classici, non sono ancora acquisizioni consolidate per il pubblico dei non specialisti. Il mio libro, nel suo piccolo, tenta di compiere un passo in questa direzione, mostrando come alcuni dei più noti miti del mondo antico abbiano conservato, più di altri, tracce dell’enorme potere che i Greci attribuivano alla musica.
Quali erano i miti musicali più noti nel mondo classico?
In senso lato, tutti i miti sono originariamente musicali, poiché la formazione del patrimonio mitico del mondo greco avviene in un’epoca in cui la trasmissione dei testi avviene per via orale, e la musica è necessaria per assicurare l’impalcatura ritmica e formale che consente la sopravvivenza della materia mitica da una generazione all’altra. Non dovremmo pensare al canto come qualcosa di aggiunto al racconto mitico per abbellirlo, ma piuttosto come la condizione stessa che assicura la sopravvivenza del racconto nella memoria collettiva, in quanto consente a una storia individuale di compiere quel salto che la fa diventare storia della comunità e poi mito. In senso più stretto, invece, possiamo chiamare ‘musicali’ quei miti in cui la musica gioca un ruolo fondamentale. Ve ne sono moltissimi, ma, dati il formato e il concetto che ispirano la collana La lira di Orfeo alla quale il mio libro appartiene e che ha il privilegio di inaugurare, ho scelto di soffermarmi solo sui più noti, in modo che il discorso potesse raggiungere l’ampio pubblico dei non specialisti mantenendo – questa almeno è la mia speranza – un certo equilibrio tra leggibilità, agilità e completezza. Per questo motivo nel libro si trovano i miti di Orfeo, di Dioniso, di Anfione e Zeto, delle Sirene (sia il loro incontro con Ulisse, sia quello, forse meno noto, con gli Argonauti); ma si legge anche del potere educativo della musica e del ruolo dei cantori nella reggia di Ulisse e in quella di Agamennone, e dei miti sull’invenzione dei diversi strumenti musicali.
Come nascono le Muse?
Le Muse nascono dall’unione di Zeus con Mnemosine, il cui nome vuol dire “memoria”. È una genealogia illuminante, che spiega bene il legame già percepito dagli antichi tra il canto e la sopravvivenza della parola mitica, come ricordavo prima. Nel libro cerco di mettere in evidenza l’importanza simbolica di questo mito: Zeus genera le Muse perché ha necessità che il suo regno venga cantato: essere equivale ad essere oggetto di canto. Fin dai miti fondativi della religione olimpica troviamo un’idea che accompagnerà i Greci per tutto lo sviluppo del loro pensiero: e cioè che all’instaurazione di un potere o di un ordine politico debba corrispondere la fondazione di una tradizione musicale. Troveremo questa idea, ad esempio, nella Repubblica di Platone.
Qual è l’origine della musica nel racconto mitologico?
La musica è un dono degli dèi agli uomini. Essa deriva direttamente dalle Muse, che ne sono la fonte perenne. Il poeta Esiodo, nella Teogonia, parla in modo suggestivo del canto delle Muse come di qualcosa che non finisce mai, instancabile e bellissimo. Il poeta, che è anche cantore e musicista (all’origine non c’è differenza tra questi due ruoli, poiché poesia e musica non si sono ancora separate), riceve dalla divinità non solo la capacità di cantare, ma anche la conoscenza dei miti; come se il suo canto non fosse che un ruscello, una ramificazione ridotta e provvisoria di quel vasto fiume che è il canto delle Muse. Questo non vuol dire, però, che la musica sia soltanto soave e benefica: quella delle Sirene, per esempio, è esiziale, e lo è perché, come cerco di mostrare nel libro, rappresenta una deformazione e un pervertimento del canto delle Muse. Allo stesso modo, la musica che accompagna Dioniso e il suo corteggio di baccanti è di una terribile ambiguità, che oscilla tra rari momenti di serenità idilliaca e parossismi di furia distruttrice (come cerco di argomentare nel capitolo intitolato appunto Musica per distruggere).
Anche gli strumenti musicali hanno origini divine: la lira è invenzione di Ermes (Mercurio dei Romani), mentre l’aulos, cioè il principale strumento a fiato, è legato ad Atena (Minerva). Nel libro cerco di spiegare come i miti che riguardano l’invenzione degli strumenti ci dicano qualcosa sul modo in cui il loro suono agisce sull’immaginario dell’uomo antico. Il suono della lira, esile e di breve durata, è molto diverso da quello persistente, mutevole e seduttivo dell’aulos; sicché la lira o la cetra sono strumenti più ‘filosofici’ dell’aulos, che è spesso guardato con sospetto dai pensatori e dagli stessi teorici musicali. Ciò è evidente, ad esempio, nel modo in cui il mito descrive Marsia, il satiro che osa sfidare Apollo, il dio della cetra, suonando il suo strumento a fiato. Marsia è quasi sempre connotato negativamente, a simboleggiare la cieca tracotanza e l’ignoranza che si contrappongono alla luminosa eleganza di Apollo; ma esistono anche, e sono particolarmente interessanti, altre versioni che ‘riabilitano’ il satiro, per così dire. Nel libro cerco di illustrare anche quelle.
Quali autori classici hanno trattato maggiormente di musica?
Nelle opere dei poeti si trovano spessissimo riferimenti ai miti musicali. La Teogonia di Esiodo, come abbiamo visto, inizia proprio dalle Muse; ma anche nei poemi epici a noi giunti non mancano episodi che riflettono l’enorme importanza dell’espressione musicale (pensiamo ad Achille che canta nella sua tenda, accompagnandosi con una cetra; o a Odisseo che rischia la vita per ascoltare le Sirene). Le tragedie e le commedie sono una miniera di riferimenti alla musica (nel libro dedico un capitolo alle Baccanti di Euripide, che leggo come una riflessione sul potere della musica). Anche alcuni storici, come Diodoro Siculo, si rivelano fonti preziose, così come gli antichi commentatori (i cosiddetti scoliasti) e i raccoglitori di notizie curiose ed erudite. Nel mondo romano un posto di primo piano spetta a Ovidio, al quale si deve, ad esempio, la stupenda narrazione del mito di Orfeo nelle Metamorfosi.
Massimo Raffa (Messina, 1972), dottore di ricerca in filologia greco-latina e scienze letterarie, è docente di greco e latino nei licei classici. Si occupa principalmente di musica greca e romana, con particolare attenzione alla teoria musicale e ai suoi rapporti con le scienze e con la storia delle idee. È autore, tra l’altro, di alcune voci per il progetto Encyclomedia curato da Umberto Eco e della prima traduzione italiana dell’Armonica di Tolemeo e del Commentario di Porfirio (Milano, Bompiani 2016).