“Il tempo dell’Ulivo” di Andrea Colasio

Il tempo dell'Ulivo, Andrea ColasioL’Ulivo: storia e sociologia di un movimento politico
Nel febbraio-marzo del 1995 nasceva il progetto politico chiamato “L’Ulivo”. Un fenomeno politico che avrebbe segnato con forza le vicende del sistema politico italiano, incanalandolo finalmente verso una meccanica bipolare. Il libro ricostruisce l’intera vicenda dell’Ulivo, dalla sua genesi fino alla caduta del Governo Prodi I. L’operazione è stata resa possibile dal reperimento, in una cantina a Bologna, in Via Cairoli, dell’archivio del “Comitato per l’Italia che vogliamo”. I molti documenti inediti (resoconti e verbali interni, vari sondaggi realizzati per conto di Prodi, dati statistici sullo sviluppo dei Comitati, analisi sociologica dei militanti, lettere e fax dei Comitati a Bologna, corrispondenza varia) hanno permesso di ripercorrere la vicenda interna al Movimento, a partire dai sondaggi commissionati da Prodi e Parisi alla Società Directa di Giorgio Calò sul posizionamento nel mercato elettorale del nuovo soggetto politico, nonché sui vari scenari che si ritenevano possibili.

Per tutta una lunga fase, fino a fine aprile 1995, all’interno del piccolo gruppo dirigente prodiano si discusse infatti sul profilo politico dell’Ulivo. Il quesito che divideva il gruppo era chiaro: si doveva dare vita, accanto alla Quercia, ad un altro soggetto politico, denominato “Partito dell’Ulivo”, in grado di intercettare la domanda di mutamento che attraversava la società italiana o, diversamente, l’Ulivo avrebbe dovuto configurarsi come il simbolo della coalizione dei partiti del centro-sinistra? Questo era il significato dei moltissimi sondaggi realizzati dalla Società Directa con lo scopo di verificare l’impatto della nuova formazione sul mercato elettorale.

Particolarmente interessante è poi la documentazione concernente sia il modo in cui nacque l’idea di Ulivo, sia la genesi del simbolo grafico. Si è reperito il dossier dei grafici (il Gruppo Atanor) cui venne dato l’incarico di elaborare il logo: il ramoscello d’Ulivo deve molto alle riflessioni teoriche sui significati simbolici dell’albero di Mircea Eliade e al segno grafico di Matisse: netta l’assonanza del movimento delle foglie con la “Danse” dell’artista. Alcuni paragrafi sono dedicati al modo in cui venne articolato il “Centro” di Bologna e alle modalità di sviluppo dell’organizzazione tra centro e periferia, con tutti i prevedibili casi di conflitto.

La numerosa documentazione prodotta dai Comitati territoriali (circa 4.000) ha permesso poi di lavorare sui profili identitari e sulle aspettative politiche degli stessi. Netto il conflitto che si aprì sin da subito con il Pds. Oggetto del contendere il ruolo dei Comitati: semplici strumenti di supporto all’azione del leader o soggetti politici in grado di esprimere delle candidature locali? Fortissima la critica antipartitocratica che traspare dai documenti prodotti dai Comitati: per molti aspetti un’anticipazione dei temi che avrebbero costituito il nucleo della domanda politica del Movimento 5 Stelle.

I documenti notarili, reperiti sempre in Via Cairoli, permettono poi di raccontare come Prodi e Parisi strutturarono, anche giuridicamente, le varie organizzazioni da loro costituite. Con la creazione dell’Associazione “L’Ulivo – I Democratici” (agosto 1995) i due leaders erano convinti di poter governare politicamente la coalizione: erano depositari del logo e l’art. 8 dello Statuto prevedeva che questo sarebbe stato “concesso” ai Partiti dell’Ulivo. In realtà il duro conflitto, sotterraneo, che si aprì tra l’Ulivo e i Partiti dell’Ulivo si risolse, alla fine, con la ‘vittoria’ del Pds che, di fatto, dettò le sue regole. Il simbolo dell’Ulivo non sarebbe stato più a disposizione dell’Associazione prodiana, ma sarebbe diventato patrimonio politico dei partiti. Il modo in cui ciò avvenne è ricostruito integralmente. Di un certo interesse anche la vicenda del mitico Programma di Prodi. Il famoso libretto verde con il titolo da III Internazionale: una scelta provocatoria di Omar Calabrese. Con il Programma e le modalità della sua approvazione Prodi e Parisi cercarono di evitare quello che poi, come noto avvenne: il leader eletto dai cittadini venne sostituito con un accordo post-elettorale da D’Alema. Prodi, di fatto, portò in Parlamento pochissimi parlamentari: come scriveva all’epoca Panebianco, era il candidato di una coalizione, ma non aveva una sua specifica forza politica, non era a “capo di truppe”. I documenti interni permettono di raccontare come di ciò vi fosse consapevolezza, quantomeno tra alcuni leader del Movimento ulivista. Tornando al libretto verde va aggiunto come vi sia un piccolo mistero: le bozze elaborate da Prodi il 6 dicembre del 1995 e presentate alla stampa denotano alcune incredibili differenze. Il senso è chiaro; meno chiaro è sapere chi apportò le modifiche. Nella Tesi n. 1 si parlava già di “coalizione” dei partiti, vale a dire dell’Ulivo che diventava soggetto politico unitario; nella stampa finale scompariva la coalizione e ritornavano, misteriosamente, i partiti. Insomma nelle Bozze aleggiava il fantasma del Partito democratico e vi fu una guerra feroce per eliminare ogni riferimento alla sua possibile costituzione.

Curioso, infine, scoprire che il responsabile del Circolo dei giovani prodiani di Firenze era un certo Matteo Renzi che, di lì a qualche anno, avrebbe chiuso i conti con quello stesso D’Alema che era stato l’artefice della sconfitta dell’Ulivo come nuovo soggetto politico.

Dott. Andrea Colasio, Lei è autore del libro Il tempo dell’Ulivo edito dal Mulino: il tempo dell’Ulivo si è concluso?
Indubbiamente la vicenda di quell’Ulivo è chiusa definitivamente, appartiene alla storia: una vicenda che il libro ripercorre in tutta la sua contraddittorietà. Ma, come scrive nella sua bella e intensa introduzione Arturo Parisi, se è vero che l’Ulivo fu un “desiderio”, mi pare non meno evidente che la situazione attuale presenti diverse analogie con quella fase. Si tratta di capire quale fu allora l’oggetto del desiderio di cui l’Ulivo fu vettore, senza poterlo però svolgere compiutamente. Ora, come allora, il sistema partitico cercava faticosamente un suo nuovo punto di equilibrio. Analogamente, dopo la catastrofe di Tangentopoli e la fine della I Repubblica, la grande stagione referendaria dei primi anni ’90 colse la domanda di cambiamento che attraversava l’opinione publica italiana, domanda di mutamento che oggi ha trovato nuovi e diversi interpreti. A 20 anni dalla “morte” dell’Ulivo, che certo non si suicidò, ma venne “ucciso” dai leader dei vecchi partiti, quello che resta dei sogni e delle speranze di una intera generazione politica è un cumulo di macerie.

Quando e come nacque l’Ulivo?
L’Ulivo nacque come risposta a una duplice sconfitta: quella dei Progressisti, la coalizione delle sinistre che ruotava attorno al Pds, e quella del Patto per l’Italia, che metteva assieme gli eredi della Dc, Segni e i Popolari di Martinazzoli. Nel marzo del 1994 si erano tenute infatti le prime elezioni con le nuove regole elettorali semi-maggioritarie. Berlusconi e la sua creatura, Forza Italia, portarono alla vittoria il composito cartello di centro-destra, che comprendeva gli eredi del MSI e la Lega di Bossi. Una coalizione spuria che non resse alla prova del governo e implose dopo soli 8 mesi. Nel contempo, proprio a partire dalle ragioni della loro sconfitta, i leader del centro e della sinistra iniziarono un percorso coalizionale che sfociò nell’Ulivo.

In che modo si giunse alla candidatura di Romano Prodi?
Il libro ripercorre anche episodi meno noti, come per esempio, il fatto che già nel 1993, dopo la vittoria referendaria del 18 aprile, Prodi era il candidato premier della Dc di Martinazzoli. Un’ipotesi poi sfumata per la contrarietà sia di Occhetto, sia di Mario Segni. Prodi, dopo la crisi del governo Berlusconi I, nel dicembre del 1994, era ancora uno dei possibili candidati alla premiership di una nuova maggioranza che comprendeva i popolari di Buttiglione, il Pds, che, dopo le dimissioni di Occhetto, era oramai a leadership dalemiana e la Lega di Bossi. Nel febbraio del 1995 la sua candidatura, quale leader di una inedita coalizione che avrebbe dovuto mettere assieme il centro e la sinistra, venne di fatto ufficializzata con una improvvisata conferenza stampa dopo un suo incontro alla Camera con il gruppo dirigente dei Popolari. La sua candidatura era stata, più o meno segretamente, definita d’intesa tra i Popolari e il Pds di D’Alema: quel che è certo è che Prodi era un “democristiano” decisamente atipico e si sarebbe trovato, un po’ per caso, un po’ per scelta a svolgere un ruolo fortemente innovatore. Come ebbe più volte a ribadire, il suo Governo era figlio del maggioritario con tutto quello che questo implicava nei rapporti tra partiti, istituzioni e cittadini.

Sin dall’inizio emerse infatti, anche grazie al contributo di Arturo Parisi, una duplice identità di Prodi: candidato alla premiership della coalizione dei partiti di centro sinistra e leader di un movimento, quello appunto dell’Ulivo, che non era riducibile alla mera alleanza tra i partiti, ma che prefigurava scenari decisamente inediti di cui l’Ulivo come nuovo soggetto politico e il Governo sarebbero stati i capisaldi.

Quale fu l’importanza dei comitati Prodi nella campagna elettorale?
I Comitati svolsero diverse funzioni. Innanzitutto avvicinarono alla politica moltissime persone che videro in Prodi e nell’Ulivo uno strumento di “rigenerazione” della politica. Si può parlare a ragione di una nuova generazione politica che ebbe anche il grande merito di superare le antiche segmentazioni che avevano segnato con forza la storia del sistema partitico italiano. Dopo la caduta del Muro di Berlino erano venute meno le ragioni, anche solo simboliche, che avevano racchiuso l’opinione pubblica dentro i recinti delle vecchie subculture. I Comitati furono così il laboratorio sperimentale di un nuovo soggetto politico politico che, finalmente, chiudeva i conti con la storia del ‘900.

Cosa significò la vittoria alle elezioni del 21 aprile 1996?
Va ricordata una cosa. Parisi diceva spesso, facendo arrabbiare Romano Prodi, che non era stato l’Ulivo che aveva vinto le elezioni, ma che le aveva perse invece il Polo di centrodestra. In effetti il Polo di centrodestra ottenne più voti dell’Ulivo e dei suoi alleati nel proporzionale, ma perse perché non riuscì a trasportare quelli stessi voti nei collegi del maggioritario. L’elettorato penalizzò il Polo di centrodestra in quanto coalizione debole, con un leader poco credibile e convincente e premiò, al contrario, l’Ulivo in quanto coalizione e soprattutto il suo leader: era quello che molti analisti chiamarono il valore aggiunto dell’Ulivo. Si era passati dal sistema dei partiti, che poggiava sul voto proporzionale, ad una logica incentrata sul maggioritario e sulle coalizioni: un mutamento che sembrava lasciarsi alle spalle le grandi disfunzionalità che avevano contrassegnato il sistema politico italiano.

Come si innescò la crisi del governo Prodi e chi ne furono i responsabili?
Nel libro ricostruisco il famoso “complotto” di D’Alema e Marini che avrebbe portato alla caduta del governo Prodi nell’ottobre del 1998. Diciamo che la teoria del complotto contiene solo una parte di verità. In realtà la caduta del governo Prodi era già scritta nel momento in cui l’Ulivo rinunciò alla sua soggettività politica. Prodi e Parisi in una prima fase non avevano dubbi: l’Ulivo avrebbe dovuto essere una nuova formazione politica in grado di raccogliere la domanda di mutamento che attraversava la società italiana. Fino a fine aprile del 1995 per loro non sussistevano dubbi: l’Ulivo come partito politico avrebbe dovuto bilanciare la Quercia e garantire a Prodi quelle “truppe” parlamentari che avrebbero conferito al leader la forza che in realtà, dipendendo dai partiti, non fu in grado di esprimere compiutamente. Del resto le ambizioni di D’Alema, che aveva messo in cantiere la “Cosa 2” e di Marini, convinti assertori della centralità dei partiti dell’Ulivo rispetto all’Ulivo come coalizione, erano chiare e furono la causa di tensioni sin dalla costruzione della coalizione e della composizione delle liste elettorali. Bertinotti sarebbe stato solo il detonatore della crisi: ma anticipò di qualche mese quello che sarebbe comunque stato il destino del governo Prodi. A questo si aggiunga la vera e propria pregiudiziale antiulivista di Cossiga e del suo Udr: per il “picconatore” l’Ulivo era un’anomalia italiana, un fenomeno politico del tutto eccentrico rispetto ad una competizione bipolare di tipo europeo incentrata su un partito socialdemocratico e una formazione cattolica.

A distanza di 20 anni, quale giudizio si può dare sulla caduta del governo Prodi?
Innanzitutto va detto che quella caduta una lezione di certo l’aveva data. Sostituire un leader eletto direttamente dai cittadini con un altro indicato dalle segreterie dei partiti non portò fortuna a chi fu l’artefice di quell’operazione. Penso a D’Alema, le cui strategie di gioco da allora furono condizionate negativamente da quella scelta. Dico anche che il governo Prodi fu il primo governo coalizione della storia politica italiana: definito da un’alleanza politica e da un programma politico di tipo pre-elettorale. Da allora in poi i programmi elettorali, fino a poco prima del tutto inutili, cominciarono ad acquisire un rilievo e una centralità crescenti. La caduta del governo Prodi segnò con forza il ritorno ad un vecchio modello incentrato sul governo di partito che aveva partorito, dal dopoguerra in poi, molte delle degenerazioni e delle disfunzionalità che avevano segnato il nostro sistema politico.

Quale futuro a Suo avviso per il centrosinistra in Italia?
Per il centrosinistra si prospetta una lunga marcia nel deserto: gli esiti sono imprevedibili e non è scontato che possa giungere alla terra promessa. Certo ritrovare quel “desiderio” di cui l’Ulivo era stato la cifra, quella capacità di mettersi in sintonia con le domande che segnano la società italiana, può essere solo un primo requisito, poi dovranno comparire nuovi leader e nuovi protagonisti, ma il rischio concreto che si prospetta, per ora, è quello della residualità. La vicenda dell’Ulivo, la sua storia vera, quella che grazie a moltissimi documenti inediti ho cercato di ricostruire nel libro, di certo può fornire al nuovo centrosinistra molte sollecitazioni e molti insegnamenti. Almeno spero.

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