
In che modo gli scrittori e i poeti hanno rappresentato l’avventura umana al di fuori della Terra?
Tutti gli eventi di grande portata suscitano reazioni forti e contraddittorie; accade anche con la conquista dello spazio e della Luna. Il fascino e lo stupore convivono con la paura per qualcosa di epocale e con la consapevolezza del valore del nostro Pianeta, da difendere. La letteratura, rispetto ad altre discipline, può far convivere in una stessa pagina queste opposte tensioni restituendo il reale in tutta la sua complessità. La letteratura si trasforma così in un doppio telescopio: da puntare dalla Terra al cielo per percorrere le vie aperte dalla tecnica, e prima tracciate dalla sola fantasia, con la parola scritta; e da puntare dal cielo alla Terra, per osservare le conseguenze della corsa allo spazio sul pianeta in un momento, dal dopoguerra in poi, di enormi trasformazioni, soprattutto in Italia, dove si passa rapidamente dalla ricostruzione postbellica alla modernità del Miracolo economico. I testi letterari raccontano anche le rimozioni, individuali e sociali, danno voce a ciò che si spinge oltre l’ufficialità. Con gli scrittori si vola nel cielo e si fa ritorno sulla Terra. Per questo motivo il libro è stato pensato come un viaggio che coinvolge il lettore; un viaggio in compagnia di tanti scrittori e poeti che hanno accolto le sfide lanciate da sonde, spedizioni e astronauti per tradurle in esperienza e conoscenza. Si parte con Tommaso Landolfi che nel 1950, nell’anno del primo congresso internazionale di astronautica, pubblica Cancroregina; si prosegue con i racconti e gli articoli di Buzzati; Moravia e Pasolini conducono in un altrove cosmico guardato da Primo Levi e Calvino con le lenti della scienza; e ci sono ancora Solmi, Zanzotto, Consolo, Rodari, Volponi, Morselli… Tutti narrano con la narrativa, la poesia e il saggio, con la figuralità letteraria, il cielo, tra scoperta e violazione. Non sono gli unici nomi di questa avventura; tra gli altri figurano coloro che erano presenti negli studi della RAI nelle ore della lunga diretta televisiva dedicata all’allunaggio. È un laboratorio socio-culturale di grande interesse e, nel libro, sono trascritti per la prima volta gli interventi di chi, del mondo letterario, viene interpellato accanto agli interlocutori della scienza. Perché, come dichiara Andrea Barbato nel corso della trasmissione, la scienza non può bastare a se stessa: è indispensabile il dialogo tra le due culture.
Quali autori, a Suo avviso, hanno più efficacemente descritto le innovazioni tecnologiche e la società italiana dal dopoguerra a oggi?
Credo che ogni autore abbia raccontato e interpretato a proprio modo le novità della scienza e della tecnica e, insieme, la società italiana. Ognuno ha dato il proprio contributo seguendo le proprie coordinate poetiche. Direi che una caratteristica comune è quella che evidenziavo poco fa: da parte della letteratura non c’è né l’esaltazione né la condanna per ciò che avviene nello spazio. Piuttosto, nei versi, nella finzione narrativa o nell’analisi saggistica, le diverse posture convivono. Anche un autore come Pasolini, che si è sempre dichiarato allergico alla tecnica e al mondo da essa dominato, pur con le sue posizioni corsare e luterane, riesce a vedere nella prima impronta umana su un altro suolo che non sia quello terrestre, qualcosa da salvaguardare: in quell’orma, così simile alle impronte preistoriche, coglie la coesistenza di passato e futuro.
Ovviamente la conquista dello spazio spinge gli scrittori ad affrontare in modo nuovo alcuni temi cari alla letteratura, come quelli del rapporto dell’uomo con la tecnica, della pervasività dell’artificio a discapito della natura, della corporeità umana e dell’adattamento dell’uomo che pare forzare quello avvenuto in secoli di storia. Gli autori e i loro testi – quelli qui attraversati vanno dal 1950 alla fine degli anni Ottanta – sono disvelanti per guardare al passato, oggi tanto celebrato, con maggior consapevolezza e per osservare ciò che ora si sta preparando negli immensi territori dello spazio, sottraendolo al mero interesse commerciale ed economico e conservarne la meraviglia.
Alessandra Grandelis svolge attività di ricerca sulla letteratura italiana contemporanea all’Università di Padova. Si occupa dell’opera di Alberto Moravia: ha curato Se è questa la giovinezza vorrei che passasse presto (2015), raccolta di lettere del giovane Moravia, e le edizioni dei romanzi Gli indifferenti (2016) e La noia (2017)