“Il teatro del letto. Storie notturne tra libri, eroi, fantasmi e donne fatali” di Mario Baudino

Il teatro del letto. Storie notturne tra libri, eroi, fantasmi e donne fatali, Mario Baudino«“Il letto è tutta la nostra vita. Perché vi si nasce, vi si ama, e vi si muore.”» Parole di Guy de Maupassant, tratte da un breve racconto del 1882, Il letto, con cui si apre il libro di Mario Baudino, Il teatro del letto. Storie notturne tra libri, eroi, fantasmi e donne fatali, edito da La nave di Teseo; una storia sociale e letteraria del letto, celebrato nella sua irrinunciabile essenzialità: il letto «è il nostro teatro, il teatro del potere, dell’amore, della morte, in altre parole dell’io».

Il letto «in sé non è cambiato molto, almeno per quanto riguarda il disegno di base, la struttura essenziale, dai tempi di Tutankhamon ai giorni nostri. Un pianale variamente costruito, un’intelaiatura di corregge o doghe di legno, o semplicemente un asse, in tempi moderni una rete metallica destinata a sostenere eventuali materassi – il cosiddetto pagliericcio molto diffuso fino a mezzo secolo fa non ha un’articolazione strutturale diversa, solo ingloba nella sua struttura a molle coperta da una tela morbida ed eventualmente imbottita, il materasso stesso –, e ovviamente quattro sostegni per alzarlo da terra, al riparo dall’umidità e dagli insetti. Manca dall’elenco delle invenzioni perfette che stilò una volta Umberto Eco – a proposito del libro (“è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici: una volta che li avete inventati, non potete fare di meglio”) ma ha caratteristiche analoghe. Come la ruota, non è mai stato migliorabile se non marginalmente.»

Particolarmente suggestivo il rapporto tra letto e lettura, sin dalle sorprendenti affinità semantiche: «Libro e letto sono probabilmente legati anche dall’etimologia, perché sembrerebbero derivare entrambi dal verbo greco lego, che significa sia “parlare” o “recitare ad alta voce”, e quindi successivamente “leggere” – così lo intesero i romani che ne trassero il latino legere –, sia “adagiare” e “mettere a letto”. O almeno, questa è una delle interpretazioni possibili di un complicato garbuglio filologico. Nati gemelli ma forse inconsapevoli l’uno dell’altro, hanno atteso per più di due millenni l’occasione di finalmente incontrarsi: e ne sono stati così felici che in seguito non si sono separati mai più. […] Una traccia significativa di questa contrapposizione e trasformazione è rimasta nell’espressione livre de chevet, che noi fa pensare al comodino su cui giace un volume molto amato.»

Paradigmatico al riguardo Marcel Proust, «a partire al notissimo e ormai proverbiale incipit della Recherche: “Per molto tempo sono andato a letto presto […] sentivo di dover posare il libro che credevo d’avere ancora in mano, e soffiare sul lume. Non avevo cessato, dormendo, di riflettere su ciò che avevo letto, ma le mie riflessioni avevano preso un corso del tutto particolare […] come dopo la metempsicosi, i pensieri di una vita anteriore: il tema del libro si staccava da me, ero libero di prestargli attenzione o no, come volevo.” La metempsicosi è una metafora degli effetti della lettura, delle vite possibili, delle vite desiderate, delle vite narrate. L’argomento del libro che si legge diventa “nostro” come in un’esistenza parallela.»

Il letto è stato anche associato a piaceri proibiti, che qui venivano alimentati da torbide letture: «a partire dal XVIII secolo – quando […] le abitudini di lettura stanno velocemente cambiando e diffondendosi in più larghi strati della società – scatta una sorta di allarme tra i medici». Nel 1716 compare in Inghilterra un saggio anonimo «col maestoso titolo Onania, ovvero la malattia odiosa dell’auto-polluzione e tutte le sue conseguenze in entrambi i sessi, trattati con consigli spirituali e fisici a quelli che hanno già offeso se stessi con questa abominevole pratica» che metteva in guardia dai terribili danni causati dalla pratica della masturbazione. Tra i rimedi proposti, vi era quello di non leggere a letto.

«Non era il solo, anzi, il suo punto di vista era ormai diffuso. Già nel 1703 l’educatore francese Jean-Baptiste de La Salle […] aveva ammonito i fedeli a non imitare “quelle persone troppo occupate a leggere o in altre attività”, rivolgendo loro un pressante invito a non rimanere a letto “se non per dormire, e la vostra virtù ne avrà gran beneficio”.» Col tempo, si giunse alla conclusione «largamente condivisa che la lettura andasse innanzi tutto vietata nel suo insieme a quanti fossero colpiti dall’orribile male. E non solo quella: il letto doveva essere un luogo privo, sostanzialmente, di ogni e qualsiasi attività se non il sonno e il dovere matrimoniale.» Il medico di Losanna Samuel-Auguste Tissot, in un trattato dal titolo De la santé des gens de lettres (1768) «associava le malattie nervose all’eccesso di lettura, soprattutto in campo femminile. E additava la perniciosa “moltiplicazione infinita dei romanzi, da cent’anni a questa parte”; che proprio le signore, dalla più tenera infanzia alla vecchiaia, “leggono con tale ardore da non voler distrarsi un momento, da non fare il minimo movimento, e sovente vegliando fino a molto tardi la notte per soddisfare questa passione; il che rovina del tutto la loro salute”.»

«Se almeno fino a tutto il XVIII secolo portarsi un libro a letto era per lo più considerato un vizio, si fece strada e durò fino a quello successivo l’idea che fosse anche e soprattutto un rischio per la propria incolumità. L’Ottocento è costellato di episodi che fecero rumore, come quello, documentato in varie sedi, di un certo Lord Walsingham: un mattino del 1831, a Londra, fu rinvenuto carbonizzato nel proprio letto, e l’incidente ebbe un adeguato risalto sulla stampa.»

Il letto, tuttavia, mantenne il suo richiamo di ameno rifugio per gli amanti della lettura: «In tutto il Settecento, in modo particolare in Francia ma non solo, il piacere di leggere a letto […] si diffonde nell’ambito delle classi privilegiate (il popolo continua a dormire alla bell’e meglio e a essere largamente analfabeta) con impetuosa rapidità.» Voltaire, ad esempio, «nei giorni freddi quasi non ne usciva, e se ne stava, pare, anche dall’alba al tramonto in un letto assai affollato di libri, e affiancato da un tavolo con carta, penna, calamaio, caffè; tutto quanto poteva giovare al benessere del lettore.»

Baudino ci accompagna con sapida maestria attraverso i secoli, immergendoci nelle tepide atmosfere di coltri sgualcite; un libro da leggere, se non a letto, certamente mettendosi comodi, come «suggerisce Cervantes nel rivolgersi, presentando il suo Don Chisciotte, al desocupado lector, ossia qualcuno che abbia tempo, calma, serenità e anche uno spazio adeguato dove sistemarsi».

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