
Il letto «in sé non è cambiato molto, almeno per quanto riguarda il disegno di base, la struttura essenziale, dai tempi di Tutankhamon ai giorni nostri. Un pianale variamente costruito, un’intelaiatura di corregge o doghe di legno, o semplicemente un asse, in tempi moderni una rete metallica destinata a sostenere eventuali materassi – il cosiddetto pagliericcio molto diffuso fino a mezzo secolo fa non ha un’articolazione strutturale diversa, solo ingloba nella sua struttura a molle coperta da una tela morbida ed eventualmente imbottita, il materasso stesso –, e ovviamente quattro sostegni per alzarlo da terra, al riparo dall’umidità e dagli insetti. Manca dall’elenco delle invenzioni perfette che stilò una volta Umberto Eco – a proposito del libro (“è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici: una volta che li avete inventati, non potete fare di meglio”) ma ha caratteristiche analoghe. Come la ruota, non è mai stato migliorabile se non marginalmente.»
Particolarmente suggestivo il rapporto tra letto e lettura, sin dalle sorprendenti affinità semantiche: «Libro e letto sono probabilmente legati anche dall’etimologia, perché sembrerebbero derivare entrambi dal verbo greco lego, che significa sia “parlare” o “recitare ad alta voce”, e quindi successivamente “leggere” – così lo intesero i romani che ne trassero il latino legere –, sia “adagiare” e “mettere a letto”. O almeno, questa è una delle interpretazioni possibili di un complicato garbuglio filologico. Nati gemelli ma forse inconsapevoli l’uno dell’altro, hanno atteso per più di due millenni l’occasione di finalmente incontrarsi: e ne sono stati così felici che in seguito non si sono separati mai più. […] Una traccia significativa di questa contrapposizione e trasformazione è rimasta nell’espressione livre de chevet, che noi fa pensare al comodino su cui giace un volume molto amato.»
Paradigmatico al riguardo Marcel Proust, «a partire al notissimo e ormai proverbiale incipit della Recherche: “Per molto tempo sono andato a letto presto […] sentivo di dover posare il libro che credevo d’avere ancora in mano, e soffiare sul lume. Non avevo cessato, dormendo, di riflettere su ciò che avevo letto, ma le mie riflessioni avevano preso un corso del tutto particolare […] come dopo la metempsicosi, i pensieri di una vita anteriore: il tema del libro si staccava da me, ero libero di prestargli attenzione o no, come volevo.” La metempsicosi è una metafora degli effetti della lettura, delle vite possibili, delle vite desiderate, delle vite narrate. L’argomento del libro che si legge diventa “nostro” come in un’esistenza parallela.»
Il letto è stato anche associato a piaceri proibiti, che qui venivano alimentati da torbide letture: «a partire dal XVIII secolo – quando […] le abitudini di lettura stanno velocemente cambiando e diffondendosi in più larghi strati della società – scatta una sorta di allarme tra i medici». Nel 1716 compare in Inghilterra un saggio anonimo «col maestoso titolo Onania, ovvero la malattia odiosa dell’auto-polluzione e tutte le sue conseguenze in entrambi i sessi, trattati con consigli spirituali e fisici a quelli che hanno già offeso se stessi con questa abominevole pratica» che metteva in guardia dai terribili danni causati dalla pratica della masturbazione. Tra i rimedi proposti, vi era quello di non leggere a letto.
«Non era il solo, anzi, il suo punto di vista era ormai diffuso. Già nel 1703 l’educatore francese Jean-Baptiste de La Salle […] aveva ammonito i fedeli a non imitare “quelle persone troppo occupate a leggere o in altre attività”, rivolgendo loro un pressante invito a non rimanere a letto “se non per dormire, e la vostra virtù ne avrà gran beneficio”.» Col tempo, si giunse alla conclusione «largamente condivisa che la lettura andasse innanzi tutto vietata nel suo insieme a quanti fossero colpiti dall’orribile male. E non solo quella: il letto doveva essere un luogo privo, sostanzialmente, di ogni e qualsiasi attività se non il sonno e il dovere matrimoniale.» Il medico di Losanna Samuel-Auguste Tissot, in un trattato dal titolo De la santé des gens de lettres (1768) «associava le malattie nervose all’eccesso di lettura, soprattutto in campo femminile. E additava la perniciosa “moltiplicazione infinita dei romanzi, da cent’anni a questa parte”; che proprio le signore, dalla più tenera infanzia alla vecchiaia, “leggono con tale ardore da non voler distrarsi un momento, da non fare il minimo movimento, e sovente vegliando fino a molto tardi la notte per soddisfare questa passione; il che rovina del tutto la loro salute”.»
«Se almeno fino a tutto il XVIII secolo portarsi un libro a letto era per lo più considerato un vizio, si fece strada e durò fino a quello successivo l’idea che fosse anche e soprattutto un rischio per la propria incolumità. L’Ottocento è costellato di episodi che fecero rumore, come quello, documentato in varie sedi, di un certo Lord Walsingham: un mattino del 1831, a Londra, fu rinvenuto carbonizzato nel proprio letto, e l’incidente ebbe un adeguato risalto sulla stampa.»
Il letto, tuttavia, mantenne il suo richiamo di ameno rifugio per gli amanti della lettura: «In tutto il Settecento, in modo particolare in Francia ma non solo, il piacere di leggere a letto […] si diffonde nell’ambito delle classi privilegiate (il popolo continua a dormire alla bell’e meglio e a essere largamente analfabeta) con impetuosa rapidità.» Voltaire, ad esempio, «nei giorni freddi quasi non ne usciva, e se ne stava, pare, anche dall’alba al tramonto in un letto assai affollato di libri, e affiancato da un tavolo con carta, penna, calamaio, caffè; tutto quanto poteva giovare al benessere del lettore.»
Baudino ci accompagna con sapida maestria attraverso i secoli, immergendoci nelle tepide atmosfere di coltri sgualcite; un libro da leggere, se non a letto, certamente mettendosi comodi, come «suggerisce Cervantes nel rivolgersi, presentando il suo Don Chisciotte, al desocupado lector, ossia qualcuno che abbia tempo, calma, serenità e anche uno spazio adeguato dove sistemarsi».