
Quali innovazioni e sperimentazioni caratterizzano il teatro contemporaneo?
Il problema del teatro, dal Novecento in poi, è stato quello di trovare una sua specificità. L’avvento della drammatizzazione audiovisiva, a partire dal cinema, ha portato il teatro a chiedersi quale esattamente fosse la sua essenza. Nel contemporaneo le innovazioni sono molte e in particolare attengono al concetto di performance, ovvero al fatto che la specificità teatrale consista esattamente nell’idea di presenza, di corporeità materiale. Ma ce ne sono molte altre che provo a delineare nel libro. Per esempio la scena come re-enactment della realtà, o come luogo in cui si producono immagini viventi, o ancora immagini sonore.
Come si sono evoluti regia, drammaturgia e attorialità?
Dobbiamo considerare che la pratica della regia è molto recente, esiste solo dalla fine dell’Ottocento. Come dicevo prima, la regia e l’attorialità a teatro sono stati dei modi per definire ciò che c’è di peculiare nell’arte teatrale, ovvero l’elemento dello spettacolo. Pensiamo che, tranne rari casi, la storia del teatro come arte fino alla fine dell’Ottocento è una storia di drammaturghi, di scrittori. Il teatro è stato considerato per gran parte della sua storia un genere artistico soprattutto letterario. Nel contemporaneo queste evoluzioni sono complesse ma affondano le loro radici in quel processo di autonomizzazione dell’evento scenico dal testo drammaturgico che è all’origine del teatro contemporaneo.
Che rapporto ha il teatro con le nuove tecnologie digitali?
Molto forte, e da ben prima della pandemia. Pensiamo solo che esiste un ramo del teatro contemporaneo che si chiama “Digital Performance”. È chiaro che il digitale mette in discussione quell’idea di presenza, di evenemenzialità, di cui parlavo prima. Non a caso è stato un tema ripreso spesso nel corso degli esperimenti digitali in streaming durante la pandemia. Diciamo che il digitale è uno strumento che inserisce il teatro dentro una logica della riproducibilità che finora non aveva mai conosciuto.
Come è cambiato il pubblico teatrale?
C’è la falsa convinzione che il pubblico teatrale sia diminuito negli ultimi decenni. In realtà non è esattamente così. Il pubblico è di fatto aumentato, soprattutto grazie al teatro commerciale e “televisivo”. Quello che è diminuito è il numero di appassionati. In altre parole non è tanto il fatto che la gente non va a teatro, quanto che il teatro, come dicevo prima, non è più così centrale nella vita delle nostre società occidentali (pur rimanendo i teatri dei luoghi fortemente caratterizzanti le città che li ospitano). Come accennavo, si va a teatro per ragioni culturali, non più perché si cerca nel teatro una risposta alle questioni che la vita e la realtà ci pongono. È ovviamente una semplificazione del discorso, e ci sono diverse eccezioni in merito, ma la sostanza è questa.
Quali prospettive a Suo avviso, per il teatro?
Il teatro è un’arte che ha resistito a guerre e pandemie. Esisterà fino a quando esisterà l’umanità perché è l’arte più umana che esista, quindi non cesserà mai da questo punto di vista. Ma il punto non credo sia questo. Indubbiamente il teatro subisce e subirà delle evoluzioni, e la più evidente è quella della riproducibilità. Esattamente come è successo con la musica un secolo fa, un’arte altrettanto performativa anche se essenzialmente tecnica, potranno esistere degli oggetti teatrali che affiancheranno, e non sostituiranno, l’esperienza dal vivo. Nel libro provo a tracciare alcune strade per il futuro del teatro, partendo però dall’idea che qualsiasi cambiamento non ne stravolgerà mai del tutto la natura. La conferma è proprio quanto sta accadendo in questi giorni. Se il cinema fatica a ritrovare il proprio pubblico dopo due anni di stop, i teatri sono tornati a riempirsi.
Francesco Ceraolo insegna Storia del teatro nell’Università del Salento. Tra i suoi libri: Registi all’opera (Bulzoni, 2011), Verso un’estetica della totalità (Mimesis, 2013), Teorie dell’evento (a cura di, Mimesis, 2017).