
di Paolo Prodi
il Mulino
«Oggetto di questo studio è il tentativo di cogliere alcuni aspetti del rapporto tra spirituale e temporale nell’esercizio concreto del potere da parte del papato della prima età moderna, all’incirca dalla metà del secolo XV alla metà del XVII. […] L’ottica con la quale possono essere messi a fuoco i vari livelli d’analisi è duplice: da una parte lo sviluppo del nuovo modello monarchico del papato dopo la conclusione della crisi conciliarista; dall’altra l’esercizio concreto del potere sulla Chiesa universale durante il tramonto della respublica Christiana medievale e l’ascesa irresistibile del sistema politico degli Stati moderni e della nuova economia. L’interesse del primo livello d’indagine consiste nel definire l’ideale monarchico del papato non tanto negli scritti dei più noti teorici — teologi e canonisti — ma come ideologia operante nel costume della corte romana, nella letteratura, nell’arte e in altri moduli espressivi, in particolare nel recupero di un modello classico non più visto come concorrenziale ed estraneo, ma come intrinseco alla nuova Roma dei papi. Il processo di sviluppo di tale modello sembra perfettamente parallelo a ciò che sta accadendo, più o meno contemporaneamente, negli altri Stati d’Europa e spesso li precede sulla via dell’esaltazione del potere personale del principe. Ma un secondo e fertile livello di ricerca può essere quello relativo alle conseguenze di questo processo sul piano del diritto e delle istituzioni della curia romana, nel governo della Chiesa e dello Stato. Lo sviluppo della centralizzazione ecclesiastica con i suoi corollari (politicizzazione, elefantiasi della burocrazia, abusi) sembra essere una risposta, la risposta storicamente data da Roma di fronte ai problemi posti dalle forze centrifughe che la minacciano da ogni parte sottraendole i suoi strumenti tradizionali di governo. […] La conclusione del processo sarà l’affermazione di una dimensione gerarchica e clericale che accentua la separazione della Chiesa dalla società secolare — abbandonando la simbiosi tradizionale dell’epoca precedente — e nello stesso tempo assorbe al proprio interno i metodi della società secolarizzata. La nuova disciplina tende a riprodurre all’interno della Chiesa, ben al di là delle prospettive coscienti degli individui, un volto esterno, una gerarchia, una organizzazione il più separati possibile ma in qualche modo speculari a quelli della società laica, con la clericalizzazione di molte sfere della vita cristiana precedentemente autonome.
Un punto essenziale per comprendere questo processo sembra essere il doppio ruolo, il carattere bi-dimensionale — ad un tempo spirituale e temporale — della sovranità papale sulla Chiesa universale e sul proprio dominio, lo Stato pontificio. Che i papi della seconda metà del Quattrocento e del Cinquecento siano stati visti dagli osservatori contemporanei (da Machiavelli a Paruta) sotto questo duplice aspetto è cosa ben nota, ma ciò che rimane quasi completamente inesplorato è il significato di questa simbiosi al livello delle strutture interne, nella curia romana e nelle province e diocesi dello Stato papale, sia sul piano religioso che su quello civile; così come rimangono egualmente quasi inesplorate le ripercussioni che questa simbiosi ebbe all’esterno, nel quadro generale della società europea, prima e dopo la Riforma. Dalla metà del quindicesimo secolo il papato fu consapevole che la principale garanzia della sua indipendenza nel nuovo sistema europeo degli Stati avrebbe potuto consistere soltanto nella formazione e nella gestione di un proprio Stato. A partire da questi anni il dominio temporale, trasformandosi in principato, assume un’importanza mai avuta nella vita della Chiesa e di Roma, trasformata in città capitale e divenuta un magnete capace di attirare una notevole parte delle forze intellettuali ed economiche della penisola. Questo principato romano non potrà o non saprà trasformarsi per le sue contraddizioni interne in Stato moderno maturo secondo l’evoluzione degli altri Stati secolari, ma la sua presenza nel mondo occidentale della prima età moderna è tutt’altro che passiva e secondaria come gran parte della storiografia tradizionale tende a fare proiettando all’indietro, sui secoli precedenti, le cupe ombre di un lungo tramonto.
Il tipo di indagine che cercherò di sviluppare suppone un più ampio ciclo storico nel quale gli elementi di continuità di lungo periodo prevalgono, attraversando le età del Rinascimento, della Riforma e della Controriforma, sugli elementi di mutamento dall’una all’altra di queste fasi (almeno rispetto alle più diffuse interpretazioni storiografiche). Sia nello sviluppo delle strutture e della disciplina ecclesiastica che negli sforzi per affermare l’autorità dello Stato (basta pensare alla continuità tra i papi del Rinascimento e il controriformatore Sisto V) è possibile cogliere una linea non certo priva di contraddizioni ma coerente come risposta ai problemi posti al papato dal mondo moderno.»