“Il sogno di Ragnar” di Elisabetta Barberio

Dott.ssa Elisabetta Barberio, Lei è autrice del libro Il sogno di Ragnar, edito da bookabook: in quale periodo storico si situa la vicenda da Lei narrata?
Il sogno di Ragnar, Elisabetta BarberioIl romanzo è ambientato nel IX secolo, il quale possiamo considerare insieme al X secolo, la fase di massimo sviluppo della cosiddetta “epoca vichinga”. Sappiamo che il periodo dell’espansione vichinga intorno al globo, nuove scoperte ci dimostrano che le loro abilità nella navigazione li portarono molto più lontano di quel che si pensasse, viene convenzionalmente riconosciuto partendo dal 793 d.C., data emblematica in cui la popolazione nordica saccheggiò il monastero di Lindisfarne in Britannia, fino al 1100, con la caduta normanna del Regno di Inghilterra, anche se su quest’ultima gli studiosi hanno pareri discordanti.

Il IX secolo fu un’epoca di grandi conflitti. Carlo Magno morì nell’814, lasciando il regno con le sue innumerevoli provincie sotto la guida dei tre figli, Carlo il Giovane, Carlomanno ribattezzato Pipino e Ludovico il Pio; mentre la Britannia era divisa in molti territori, tra i più rilevanti troviamo i sette Regni Anglosassoni: Wessex, Mercia, Northumbria, Essex, Anglia Orientale, Kent e Sussex. Questi ultimi furono più di tutti oggetto di incursioni e conquiste da parte dei vichinghi, inizialmente per la loro posizione geografica, in parte affacciati sul Mare del Nord, in seguito per la loro frammentazione politica, considerata nel tempo una facile preda per insediarsi stabilmente e acquisire il potere.

Per onestà aggiungo che il termine “vichingo” non comprende tutta la popolazione scandinava ma prevalentemente gli abitanti delle zone costiere, grandi navigatori, chiamati “re del mare”, i quali decisero di cercare ricchezze altrove e di espandersi; sulla derivazione della parola ci sono ancora delle incertezze, tuttavia si è unanimi pensare che fosse di natura dispregiativa, come “pirata” o “filibustiere”.

Cosa l’affascina di quel periodo?
Il medioevo è un’epoca tra le più interessanti, non solo perché si assiste concretamente alla costruzione del Cristianesimo come istituzione, ma anche per la sua eterogeneità. Siamo abituati a pensare che il medioevo sia un monolitico e compatto insieme di mille anni, cristallizzato, infarcito di superstizioni e dominato da una arretratezza sociale su larga scala.

Le cose non stanno affatto così; anzi, molte delle questioni legate all’attualità, come la globalizzazione, l’emancipazione femminile e l’importanza di una istruzione accademica, ebbero origine proprio in quegli anni.

Il IX secolo rispecchia appieno quel continuo dinamismo con le sue molteplici realtà, decretando fondamentali cambiamenti a livello geo-politico e religioso. L’arrivo delle popolazioni nordiche gettò certamente scompiglio tra i territori cristiani, tuttavia influenzò in modo significativo e permanente il futuro dell’Europa. Molto di ciò che oggi consideriamo tradizione lo dobbiamo anche al loro apporto, alle loro razzie, allo scambio culturale, commerciale e religioso che intrattennero per oltre duecento anni, contribuendo a formare un nuovo tipo di società medievale.

Come era organizzata la società vichinga?
Parto subito dicendo che le comunità scandinave erano molto più strutturate di quel che la letteratura, la cinematografia, e la storia fino a qualche decennio fa, vogliono farci credere. L’archeologia ha da tempo sconfessato l’idea che i nordici fossero, passatemi il termine, “primitivi” dal punto di vista sociale.

Il territorio era suddiviso in più regni, ogni regno aveva o un re o un governatore locale chiamato Jarl; il concetto di unità nazionale venne col tempo, direttamente proporzionato alle ambizioni degli stessi nordici che volevano più prestigio per loro, ma anche dettato dall’incontro con le comunità cristiane, in cui il potere era più centralizzato e nelle mani di una aristocrazia ricca ed elitaria, a dispetto di quella scandinava che possiamo considerare una “aristocrazia rurale”.

Nel mondo nordico il potere era gestito dai clan famigliari e generalmente trasmesso attraverso la linea di sangue; la famiglia era il collante sociale e si basava sulla fedeltà, suggellata da giuramenti dal valore giuridico e rituali per avere il benestare degli Dèi. Le cose cambiarono nel tempo con l’avvento del Cristianesimo al Nord e la percezione della tradizione pagana e di tutti i culti ad essa riconosciuti si evolsero in qualcosa di nuovo.

Uno degli aspetti più interessanti della società nordica era l’apertura verso le donne. Non fraintendetemi, la donna doveva avere comunque la protezione dell’uomo e la radice germanica prevedeva ancora la dicotomia libero/schiavo, ma le donne potevano usufruire di certe libertà che non si riscontravano nelle altre culture. Ad esempio, potevano assistere alle assemblee, potevano andare in battaglia, avevano la gestione totale della casa e dei suoi beni, in più avevano potere decisionale sull’accudimento dei figli; da diversi punti di vista, il mondo nordico aveva delle caratteristiche che oggi definiremmo democratiche.

Come si articolava la mitologia vichinga?
La domanda è assai complessa e non è possibile rispondere in modo esaustivo in questa sede, alcune cose però le possiamo dire.

La mitologia nordica era un sistema variegato, poco organico e dalle origini molto antiche. Si ipotizza che in epoca preistorica i fenomeni religiosi in Scandinavia fossero di tipo naturalistico, legati intimamente ai cicli naturali e al mondo animale, molti ritrovamenti totemici e simili danno prova di questo modello cultuale. Le fonti riguardanti il periodo vichingo testimoniano proprio questo retaggio sia nelle credenze che nei rituali e nei culti e nel cercare di ottenere la benevolenza degli Dèi, ultime vestigia degli antichi spiriti pagani della Natura.

Le divinità predominanti nordiche in “età vichinga” sono gli Asi, divinità supreme che governavano i mondi, chiamati “i Signori del cielo”, poi c’erano i Vani, anch’essi importanti ma in qualche modo assoggettati agli Asi, con cui intrattenevano relazioni sia dal punto di vista amoroso che conflittuale.

Intorno a queste due famiglie di Dèi orbitavano molte creature: giganti, nani, elfi, troll, animali dalle caratteristiche eccezionali, formando un pantheon assai complesso e in continuo movimento. Badate bene, i termini “giganti”, “nani”, “troll”, etc… non descrivevano né dimensioni né fattezze ma specie diverse di esseri che vivevano tra i nove mondi conosciuti nella cosmogonia nordica; è stata poi la narrativa e le interpretazioni successive a identificarli con le connotazioni fantasiose con cui li identifichiamo adesso.

Un dato da tenere in considerazione è che non esisteva una vera e propria casta sacerdotale riconosciuta che possedesse il potere sui culti o rappresentasse il divino sulla terra (come ad esempio i Druidi per i Celti). Le figure del sacerdote o della sacerdotessa erano gestite dalla politica ed erano viste sotto la loro finzione sociale, di fatto non avevano una vera e propria autonomia sulle credenze. Spesso era il re o il governatore locale a celebrare i culti ma anche questo cambiò in modo radicale con il Cristianesimo.

Inoltre, voglio precisare che molto di ciò che sappiamo adesso della mitologia nordica deriva da scritti e traduzioni cristiane, infatti la scrittura come la intendiamo oggi fu introdotta in Scandinavia nel XII secolo, proprio dai missionari cristiani mandati per fare proselitismo o da nordici convertiti, perciò è possibile che abbiano risentito di quella influenza.

L’incontro tra Ragnar e Alexandra segna anche quello tra due mondi: il mondo Franco, da un lato, e quello Norreno, dall’altro; quali conseguenze produrrà, nel Conte, tale scoperta?
Il romanzo inizia con il rapimento di Alexandra durante l’assedio di Parigi nell’845 d.C. Alexandra è una donna dalle qualità eccezionali, medichessa ed erbana presso la corte di Carlo il Calvo, è stata istruita dai monaci franchi, è sapiente e dotata di grande audacia. L’incontro con Ragnar durante la razzia destabilizza entrambi: Ragnar perché non si è mai imbattuto in una donna in territorio nemico con quelle caratteristiche, Alexandra perché si ritrova davanti a un uomo e a una cultura molto diversi da come le erano stati raccontati, che la porterà a ricredersi.

Oltre la storia d’amore, e il voler raccontare fatti e tradizioni storicamente documentati in quegli anni, l’intento è quello di descrivere identità culturali diverse, attraverso le lotte e il confronto tra le idee e le tradizioni.

“Il sogno di Ragnar” vuole essere certamente un omaggio alle saghe nordiche mettendo in risalto anche i temi della modernità, come l’abbattimento di certi stereotipi, l’integrazione tra i popoli e il riconoscimento delle donne come parte attiva della società medievale.

Elisabetta Barberio vive a Bologna ed è Laureata in Filosofia; da molti anni si interessa di storia del Cristianesimo, storia medievale e culture antiche. I suoi studi si concentrano maggiormente sugli aspetti antropologici e cultuali del passato attraverso il confronto tra le tesi accademiche e quelle ritenute non convenzionali. Dal 2020 si cimenta con la narrativa storica. Il sogno di Ragnar è il suo primo romanzo.

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