
Quali caratteri strutturali definiscono il sistema di documentazione digitale?
Il libro analizza alcune delle caratteristiche strutturali che contraddistinguono i modi con cui noi oggi produciamo e usiamo i documenti digitali, caratteristiche che in parte contrastano con una serie di stereotipi diffusi. Innanzitutto noi oggi possiamo servirci della documentazione digitale perché siamo immersi in una logica di sistema: il produrre e l’usare i documenti digitali non si risolve infatti in azioni isolate svolte, in modo del tutto autonomo e arbitrario, da singoli soggetti umani, ma obbedisce a un insieme piuttosto complesso e stratificato di regole, convenzioni e prassi soprattutto di natura giuridica, ma anche di natura culturale e di natura tecnica. È proprio l’applicazione congiunta di tali regole, convenzioni e prassi che consente ad ogni individuo di produrre dei documenti digitali dotati di precise funzioni giuridiche e che come tali sono coerentemente riconosciti ed usati dagli altri componenti del consesso sociale. Questa visione sistemica ispira il titolo del libro, intitolato per l’appunto “Il sistema di documentazione digitale”, quasi a sottolineare come solo adottando una tale prospettiva si riesca a comprendere la vera natura del documento digitale e i meccanismi più o meno critici che ne regolano il ciclo di vita. L’apertura a quest’orizzonte sistemico svela tutta una serie di ulteriori caratteristiche strutturali: in primo luogo il forte legale con l’attuale ordinamento giuridico mantenuto dal sistema di documentazione digitale. Molte delle regole, convenzioni e prassi che governano, nella nostra società, la produzione ed uso del documento digitale sono infatti di matrice giuridica: il nostro sistema di diritto costantemente si preoccupa di discriminare – in base a un processo formale di modellizzazione – cosa debba considerarsi o meno un documento e quali siano le funzioni giuridiche che possono essere assegnate a quel particolare quid che soddisfa i requisiti giuridici per poter essere socialmente riconosciuto come documento. Con ciò viene anche a cadere uno degli stereotipi più diffusi: quello che spesso ci porta a intravvedere nel documento digitale un’esclusiva finalità probatoria, mentre in realtà il nostro ordinamento giuridico assegna alla documentazione digitale un’ampia pluralità di funzioni giuridiche, nettamente distinte da quella (si pensi come esempio alle variegate finalità giuridiche svolte dalla documentazione prodotta e usata dalle amministrazioni pubbliche). Un’ulteriore caratterista strutturale a cui si perviene adottando una prospettiva sistemica è rappresentata dalla natura dinamica del sistema di documentazione digitale. Infatti le regole, convenzioni e prassi che governano la produzione e l’uso del documento digitale non sono invariabili e definite una volta per tutte, ma esse evolvono per diversi ordini di ragioni: perché nel corso del tempo l’ordinamento giuridico da un lato muta i requisiti formali che un documento deve soddisfare per poter essere riconosciuto come tale – ad esempio per il diritto positivo più recente anche le banche dati possono, a certe condizioni, essere considerate dei documenti digitali – e dall’altro lato amplia le funzioni giuridiche che possono essere soddisfate dal documento in quanto tale, ma anche perché sulle modalità per realizzare quelle stesse finalità giuridiche che il diritto attribuisce al documento incide l’evoluzione culturale e soprattutto l’evoluzione tecnologica. Un’ultima caratteristica strutturale che emerge per il sistema di documentazione digitale è rappresentata dalla natura tendenzialmente “bicefala” del documento digitale: esso sempre più spesso deve risultare intellegibile non solo ai suoi utilizzatori umani finali, ma anche ad agent automatici che hanno necessità di “comprenderlo” per poter svolgere, per suo tramite, tutta una serie di operazioni ed elaborazioni. Esempi in questo senso sono offerti da tutti quei documenti digitali – partendo dalle fatture elettroniche per approdare ai documenti sanitari digitali conformi allo standard internazionale CDA2 – che sono nativamente prodotti in modo strutturato attraverso il ricorso a un linguaggio machine readable qual è l’XML, ma che poi nel contempo mettono a disposizione anche una loro coerente rappresentazione intellegibile agli utenti umani.
Quali problemi solleva la produzione, l’uso e la conservazione del documento digitale?
Il libro sottolinea come i problemi esistenti, in rapporto alla produzione e uso del documento digitale, non siano di natura strettamente tecnologica. Essi appaiono più precisamente correlati alle conseguenze dell’ingresso pervasivo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel campo documentale. Il primo di questi problemi, forse quello che agisce più sottotraccia, deriva dal fatto che l’abbraccio con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione permette certo d’indirizzare la documentazione verso risultati promettenti – grandi performance in tema di riproducibilità, trasmissibilità e riuso –, ma per goderne è necessario il pagamento di un pegno: accondiscendere a un paradigma digitale per nulla indulgente e che esige una faticosa esplicitazione preventiva di ciò che per il passato eravamo abituati a relegare alla sfera delle significanze implicite, veicolate dalla materialità tipica della documentazione cartacea. In altri termini la rinuncia al documento cartaceo ha comportato il venir meno di tutte quelle condizioni implicite che, incorporate in quella particolare materialità, garantivano in modo “silente” e senza ulteriori aggravi la produzione e l’uso della documentazione stessa: ciò che allora poteva rimanere implicito oggi deve invece essere tradotto in condizioni esplicite. Questa tensione esasperata all’esplicitazione – che si concretizza soprattutto corredando la documentazione digitale con set appropriati di metadati, predisponendo policy e definendo preventivamente i requisiti funzionali dei sistemi che devono farsi carico, nel corso del tempo, dei documenti digitali – rappresenta un importante aggravio, spesso disconosciuto, per una corretta produzione e uso del documento digitale. Ed essa probabilmente dà parzialmente conto del perché nel nostro paese, soprattutto nel settore delle amministrazioni pubbliche, l’espansione della documentazione digitale avvenga con tanta lentezza e con tante difficoltà. Un secondo problema con cui si confronta il sistema di documentazione digitale è rappresentato dal conflitto più o meno latente tra due pulsioni che costellano l’intera storia del documentare, ma che proprio lo scenario digitale sembra aver contrapposto ora più che mai: la pulsione alla dinamicità, giacché il documento è da sempre un tutt’uno con la propensione a muoversi nello spazio e nel tempo, per fungere da rappresentazione di un fatto i cui effetti giuridici e sociali possono così essere proiettati oltre l’accadimento puntuale di quest’ultimo; la pulsione alla credibilità, giacché una documento incapace di suscitare fiducia nei suoi utilizzatori, come surrogato credibile del fatto rappresentato, renderebbe il documento stesso una risorsa inservibile e questo indipendentemente da ogni considerazione in merito al suo supporto cartaceo o digitale. Tali pulsioni sono senza dubbio potenzialmente confliggenti: la credibilità poggia infatti su una dimensione di stabilità, che assicura che il documento sia rimasto inalterato, tale e quale a come era stato originariamente prodotto e dunque non soggetto ad alterazioni o manomissioni volontarie e accidentali, stabilità che però è messa a rischio ogniqualvolta il documento stesso si propaga nello spazio e nel tempo, al di fuori dunque del contesto che ha visto la sua originaria emissione. La documentazione in ogni caso non può prescindere da nessuna di queste due pulsioni pur contrapposte e dunque il documento alla fine si rivela come quel pragmatico prodotto sociale di sintesi, con cui esse sono reciprocamente poste in un equilibrio accettabile: un equilibrio però mai definitivo, ma che conosce nel corso del tempo processi di rottura e successive fasi di ricomposizione, mano a mano che il sistema di documentazione di ciascuna epoca storica evolve. Ebbene proprio nell’attuale sistema di documentazione digitale il rapporto tra le due pulsioni sembra conoscere una fase di accentuato contrasto: il paradigma delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha infatti immesso massicce dosi di dinamicità – materializzatesi negli alti livelli di riproducibilità, trasmissibilità, riusabilità assegnati al documento digitale –, pregiudicando così la sintesi precedentemente conseguita. Un nuovo stato di equilibrio deve essere pertanto riguadagnato, controbilanciando l’aumento di dinamicità con maggiori garanzie di stabilità. Tale esigenza di riassestamento sistemico del fenomeno documentale digitale – che la diplomatica e l’archivistica indagano, cercando d’individuare i metodi per garantire anche nel nuovo scenario la qualità documentale fondamentale rappresentata dalla stabilità e variamente denominata come “autenticità”, “credibilità”, “affidabilità”, “attendibilità”, “veridicità” – si manifesta in termini molto concreti anche nel nostro quotidiano: ogniqualvolta, come individui o come opinione pubblica, siamo posti dinnanzi a una grande abbondanza informativa che si esprime anche come abbondanza di documenti, resa ora finalmente possibile dall’ICT, ma rispetto a cui sempre più numerosi emergono in noi i dubbi sull’effettiva fiducia che possiamo riporre su quanto ci viene messo documentalmente a disposizione, con tanta facilità e tanta sovrabbondanza. Un terzo problema che attraversa il sistema di documentazione digitale è rappresentato dal tentativo di risolvere il conflitto latente ora descritto, tra pulsione documentale alla dinamicità e pulsione documentale alla stabilità, in una chiave puramente tecnologica. Così in sostituzione di figure e luoghi istituzionali che il nostro ordinamento giuridico tradizionalmente individua come strumenti a tutela della stabilità documentale – si pensi ad esempio al ruolo del notaio e a quello degli archivi delle amministrazioni pubbliche – si ricorre a puri ritrovati tecnologici, di cui la blockchain rappresenta l’ultima manifestazione in ordine di tempo. Questa rincorsa esclusiva alla dimensione tecnologica, che sembra togliere spazio a ogni altro possibile contributo, rischia però di essere un inconsapevole atteggiamento “fideistico”: essa infatti non si accompagna a interrogativi sulla sua sostenibilità a lungo termine e sulla sua reale efficienza, nel raffronto con soluzioni di natura più tradizionale che fino ad oggi hanno dato buona prova di se. Si tratta di un cambiamento di prospettiva che rischia di avere delle ripercussioni importanti: nella storia dell’Occidente una delle prerogative tipiche del potere sovrano è sempre stata quella di farsi garante della credibilità della documentazione, essendo quest’ultima ritenuta un tassello fondamentale nell’ordinato funzionamento del consesso sociale, ma la deriva tecnologica in atto rischia di sottrarre quella prerogativa ai pubblici poteri oggi democratici, sull’onda di una sorta di cieco affidamento ai ritrovati tecnologici e alle tecnocrazie che li governano.
In che modo teoria del diritto e archivistica affrontano e interpretano il fenomeno documentario digitale?
La teoria del diritto e l’archivistica affrontano il fenomeno documentario digitale da punti di vista diversi, ma complementari. La dottrina giuridica ha per lo più uno sguardo analitico focalizzato sul documento digitale in sé e per sé, che indaga interpretando le norme di diritto positivo e la giurisprudenza con due finalità sostanziali: in prima battuta comprendere quali siano i requisiti essenziali del processo formale di modellizzazione a cui si è più sopra fatto riferimento e con cui l’ordinamento giuridico perviene a riconoscere o meno un certo quid informativo come un documento digitale, considerato che l’introduzione delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione ha comportato un’estensione del concetto giuridico di documento, in quanto si sono moltiplicati i modi e i ritrovati tecnici per conseguire le finalità tipiche del documentare; in seconda battuta comprendere come il documento digitale riesca a svolgere, per tramite dei nuovi ritrovati tecnologici, le molteplici funzioni giuridiche già tipiche della documentazione cartacea o che man mano il diritto positivo assegna ex novo, dando così luogo a uno sforzo di traduzione nel nuovo contesto digitale delle molteplici implicazioni giuridiche del documentare. Si potrebbe anche dire che la teoria del diritto indaga la natura giuridica del documento digitale procedendo in un constante raffronto con il documento cartaceo e individuando tra i due ambiti per lo più forti analogie e più eccezionalmente delle diversità irriducibili, anche se in proposito la dottrina giuridica non è sempre del tutto concorde. L’archivistica assume invece uno sguardo non focalizzato analiticamente sul documento digitale in sé e per sé, ma su quegli aggregati documentali che sono oggi gli archivi digitali e la cui logica di aggregazione permette alle organizzazioni – in particolare a quelle pubbliche –, di poter funzionare e di poter conseguire i propri compiti, a partire dalle funzioni giuridiche svolte dai singoli documenti digitali. L’archivistica ha pertanto elaborato delle tecniche di gestione documentale che permettono alle organizzazioni di predisporre e sedimentare i propri archivi digitali in modo efficiente e secondo criteri di sostenibilità, con una logica aggregativa efficace in rapporto alle peculiari esigenze di funzionamento di ciascuna organizzazione e con l’applicazione di metodi che salvaguardano la credibilità della documentazione digitale da ogni possibile manomissione o alterazione accidentale e volontaria. Va tra l’altro rilevato che una parte delle criticità che, ancora nell’attuale scenario digitale, contrassegnano il difficile rapporto tra le amministrazioni pubbliche del nostro paese da un lato e i cittadini e le imprese dall’altro trovano la loro origine proprio in un insufficiente ricorso, da parte del settore pubblico, alle tecniche di gestione documentale. Un caso esemplare in questo senso è rappresentato dall’obbligo di trasparenza, che la nostra normativa più recente ha imposto agli apparati pubblici anche come strumento per combattere i fenomeni corruttivi: esso conosce ancora una serie di ostacoli nell’essere ottemperato, anche in ragione del fatto che le organizzazioni pubbliche non riescono a progettare i propri archivi digitali con una visione unitaria e realmente aggregativa che consenta una loro agevole fruizione esterna, obiettivi questi che sarebbero invece a portata di mano qualora si facesse ricorso alle tecniche messe a disposizione dall’archivistica. Ancora una volta dunque si evidenzia come il ricorso esclusivo alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, non accompagnato da definizione di policy e da interventi sugli assetti organizzativi, si riveli un’arma spuntata: lo scenario digitale è infatti ben altra cosa dal mero e passivo consumo di risorse ICT.
I due approcci, quello della teoria giuridica e quello dell’archivistica, sono dunque fortemente compenetrati. È per questo che cercando di andare oltre ogni divisione disciplinare, il libro indaga il fenomeno documentale digitale integrando queste due visioni, a loro volta intrecciate con una terza: quella della diplomatica.
Quale riflessione ha più recentemente sviluppato la diplomatica in relazione al documento digitale?
La diplomatica è una disciplina umanistica che si formalizza verso la fine del XVII secolo e che nel corso del tempo si è evoluta, assumendo un profilo di scienza storico-erudita: impegnata dunque prevalentemente nell’indagine dei documenti risalenti al periodo medievale (in particolare i “diplomi”, di qui la denominazione assunta dalla disciplina stessa), anche al fine di accertarne l’autenticità e poter così legittimare il loro uso come fonti per la ricerca storica. In tempi più recenti la diplomatica però è stata chiamata in causa anche come risorsa per indagare le criticità del documento digitale: nell’ultimo decennio del secolo scorso in Nord America, soprattutto grazie all’opera della studiosa italiana Luciana Duranti, si è assistito a un utilizzo di questa disciplina per individuare i metodi necessari a salvaguardare l’autenticità dei documenti digitali e all’inizio di questo secolo in Italia le riflessioni della diplomatista Giovanna Nicolaj hanno impresso delle forti innovazioni alla disciplina, al punto da porre delle solide premesse per un suo ruolo attivo nell’indagine del sistema di documentazione digitale e da cui il libro trae particolare ispirazione. Diversi sono gli apporti di questa “nuova” diplomatica allo studio critico della documentazione digitale. In primo luogo la sua capacità d’analisi della struttura del documento digitale non come un carattere fisso e invariabile, ma come una dimensione che si organizza in funzione delle diverse finalità giuridiche che sono assegnate alla stessa documentazione digitale e per questa via la diplomatica s’intreccia fortemente con la teoria del diritto. In secondo luogo la capacità della disciplina ad approcciarsi alla documentazione digitale con uno sguardo sistemico. Questo da un lato illumina le vicende di produzione e d’uso del documento digitale non come eventi puntuali, ma come l’effetto di uno stratificato insieme di regole, convenzioni e prassi in equilibrio dinamico e dall’altro lato individua nel cosiddetto “ancoraggio archivistico” – la logica che porta una parte della documentazione digitale ad aggregarsi negli archivi detenuti dalle amministrazioni pubbliche – una soluzione per l’appunto di sistema alla credibilità dei singoli esemplari documentali: come se quell’ancoraggio consolidasse delle isole di stabilità, a cui approda la documentazione digitale immersa nel mare magnum della dinamicità alimentato dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. E in questo modo la diplomatica si apre anche a un intenso confronto con l’archivistica. Così nel percorso di pensiero tracciato dal libro la disciplina è usata come trait d’union con la dottrina giuridica e con la scienza degli archivi: una sorta di chiave di volta, che permette di portare avanti una visione multidisciplinare a tre dimensioni sul fenomeno documentale contemporaneo. Tanto più che, come sottolineo anche nel libro, nel modo in cui correntemente la nostra società guarda al documento digitale, si avverte una sorta di “fame di diplomatica”, anche se quasi mai riconosciuta come tale. Prevalgono infatti per lo più degli approcci unilaterali, ora quelli delle discipline giuridiche, ora quelli delle discipline legate all’ICT, che con logiche talvolta autoreferenziali pongono in primo piano aspetti diversi del fenomeno documentale, senza che dunque sia mai possibile guadagnare una visione sfaccettata e finalmente d’insieme al sistema di documentazione contemporaneo: proprio a questo ruolo di reductio ad unum della pluralità di interpretazioni sul documento digitale si candida legittimamente la diplomatica, come si dimostra nelle pagine del volume.
Quali prospettive, a Suo avviso, per il sistema di documentazione digitale?
Tanto le opportunità quanto le criticità manifestate dal documento digitale incidono, spesso in modo significativo, sul nostro quotidiano e sul nostro esercizio dei diritti di cittadinanza, come anche evidenziano gli esempi più sopra riportati. È dunque essenziale che quella parte della classe dirigente chiamata a governare lo sviluppo del sistema di documentazione digitale, nell’ambito di una società e di una democrazia sempre più digitali, assuma un approccio che al di là della mera frenesia da consumo delle risorse ICT sappia criticamente associare gli sforzi tecnologici a contributi di altra natura e di diversa provenienza disciplinare. Solo in questo modo il sistema di documentazione digitale riuscirà a concretizzare le proprie potenzialità e a soddisfare le tante promesse suscitate, soprattutto in un paese come il nostro in cui periodicamente si invocano riforme degli apparati pubblici capaci di ammodernare i rapporti con la comunità dei cittadini e con il mondo delle imprese.
Alessandro Alfier sta svolgendo un dottorato in scienze documentarie alla Sapienza Università di Roma. Archivista informatico presso il Ministero dell’economia e delle finanze, nel cui contesto si occupa di conservazione degli archivi digitali, da alcuni anni è docente a contratto del Master in formazione, gestione e conservazione degli archivi digitali (FGCAD) dell’Università degli studi di Macerata. È stato relatore in convegni e autore di pubblicazioni sui seguenti temi: restituzione su web degli strumenti di ricerca per gli archivi storici, documento digitale, gestione e conservazione degli archivi digitali, ruolo dei metadati. Tra le pubblicazioni più recenti: L’archivistica e l’attualità del presente: riflessioni sugli archivi negati dalla via italiana alla trasparenza, in Federico Valacchi e Lorenzo Pezzica (a cura di), “Dimensioni archivistiche. Una piramide rovesciata” (Editrice Bibliografica, in corso di pubblicazione); Il fascicolo informatico: le sue ragioni funzionali in quanto rappresentazione credibile del processo, in “Cantiere Documenti digitali. Report 2018”, pp. 57-82 (Edizioni ForumPA, 2019); Gli archivi sanitari nell’epoca della sanità elettronica: una sfida ai paradigmi tradizionali della scienza archivistica?, in Stefano Pigliapoco (a cura di), “Documenti e archivi nella sanità elettronica: le evoluzioni indotte dal nuovo scenario tecnologico, organizzativo e archivistico, Macerata”, pp. 131-187 (EUM, 2016); La conservazione degli archivi digitali: “brodo di coltura” per un nuovo paradigma archivistico, «Atlanti: Review for modern archival theory and practice», XXV/1, 2015, pp. 193-209.