“Il silenzio e le forme. Modelli e rappresentazione nelle letterature europee moderne” a cura di Laura Cannavacciuolo, Vincenzo Arsillo, Michele Costagliola d’Abele e Giuseppina Notaro

Prof.ssa Laura Cannavacciuolo, Lei ha curato con Vincenzo Arsillo, Michele Costagliola d’Abele e Giuseppina Notaro l’edizione del libro Il silenzio e le forme. Modelli e rappresentazione nelle letterature europee moderne pubblicato dalle Edizioni dell’Orso: quale rilevanza assume, nella cultura occidentale, il silenzio?
Il silenzio e le forme. Modelli e rappresentazione nelle letterature europee moderne, Laura Cannavacciuolo, Vincenzo Arsillo, Michele Costagliola d'Abele, Giuseppina NotaroRagionando sulle forme di rappresentazione del silenzio, la maggior parte degli autori presenti in questo libro ha avviato le proprie ricerche a partire da un interrogativo preliminare, ovvero come si definisce il silenzio e quali problematiche rivela la sua inafferrabilità. L’esplorazione del tema, che in primo luogo richiama l’ambito del non-detto e dell’assenza di suono, rinvia al lettore innanzitutto il senso di un paradosso insito nel linguaggio stesso, ovvero, la significatività di «un’assenza che lascia spazio ad una presenza» che finisce per essere complementare (e significativa) a quella voce che il silenzio sembra negare. Il silenzio è innanzitutto un problema filosofico che pertiene al linguaggio tout court. Dunque non può che essere un elemento speculativo determinante nella creazione, soprattutto se ci riferiamo all’ambito artistico-letterario.

Quali forme ha acquisito nello spazio letterario?
Ragionando insieme agli altri curatori (Vincenzo Arsillo, Michele Costagliola d’Abele, Giuseppina Notaro) riguardo alle traiettorie che avrebbero dovuto guidare l’allestimento del volume, è stato fin da subito chiaro che non sarebbe stato perseguibile un criterio esaustivo. Il libro, infatti, rende conto di alcune delle varie forme in cui il silenzio tende a “tradursi” in letteratura, prendendo ad esempio una campionatura assai eterogenea di opere letterarie secondo una prospettiva plurilinguistica e interculturale. La sfida è stata quella di individuare, entro un orizzonte temporale e geografico vastissimo, «modelli e rappresentazioni» del silenzio, ammettendo taluni “sconfinamenti” nelle aree oltreoceaniche. I saggi raccolti in questo volume, dunque, discutono “casi” determinati, tanto più illuminanti quando paradigmatici rispetto alle possibilità di leggere, interpretare e tradurre il silenzio. Ne viene fuori un’articolazione variamente ripartita che registra i modi in cui il silenzio è tematizzato, le metafore e degli emblemi che tradizionalmente hanno rappresentato (e rappresentano) il silenzio, l’interpretazione degli spazi bianchi del testo, fino ad arrivare al nesso – sempre prolifico sotto l’aspetto espressivo – tra Silenzio e Potere.

In che modo è stato rappresentato nelle letterature moderne?
Un primo orizzonte di ricerca ha riguardato il silenzio come metafora. Partendo dal saggio di Felice Gambin dedicato al Libro degli emblemi di Andrea Alciato e alla tradizione della letteratura emblematica nel Siglo de Oro – un saggio illuminante impreziosito da una vasta rassegna iconografica ˗, il libro suggerisce un percorso di lettura ramificato che da Mallarmé (Bevilacqua) attraversa l’opera di Pascal Quignard (Altmanova), Clarice Lispector (Finazzi), José Cardoso Pires e Lourenço Mutarelli (Francavilla). Nei romanzi degli scrittori menzionati, in particolare, la riflessione sui temi dell’afasia e del mutismo è offerta attraverso punti di osservazione multipli. Il discorso metaforico, d’altra parte, di sovente si lega al discorso fenomenologico. Quignard e Cernuda mettono in evidenza come la riflessione sul senso del tacere/parlare tenda ad incrociare l’immagine di un silenzio inteso come spazio del preverbale, quel “momento in cui il tempo si arresta” (Altmanova) e permette all’essere umano di […] accedere a una dimensione ultratemporale (Candeloro). Questo stesso spazio liminare, viceversa, diventa una condizione necessaria per l’elaborazione della “poetica dell’ascolto” da parte di Rilke: nelle sue poesie il silenzio è l’“equivalente acustico dello spazio vuoto” (Corrado), dunque del distacco completo dal “rumore” della modernità.

La separazione dello scrittore dalla realtà, d’altronde, è una condizione ricorrente in molti dei testi citati. Il silenzio, per molti degli scrittori presenti nel libro, è innanzitutto raccoglimento, luogo di concentrazione che precede e alimenta la scrittura. Ecco che il silenzio, come traspare dalle pagine di Sartre, presentandosi quale “valore dominante della condizione umana” (Lussone) può riscattarsi attraverso il potere della scrittura: «L’écriture, c’est ça», scrive Sartre, «c’est la mise en forme d’un silence – un silence qui est très plein».

Un’ulteriore modalità di rappresentazione del silenzio riguarda i modi attraverso i quali esso “si compone” nel testo. Esemplare, a tale proposito, la tecnica degli spazi bianchi di Mallarmé. Come si evince dalla lettura del poema Un coup de dés n’abolira le hasard, il poeta francese istituisce attraverso il non-detto il suo personale “gioco” con il lettore che, da parte sua, sperimenta così “la sensazione di poter scoprire e condividere col poeta un implicito”(Bevilacqua). Sugli aspetti retorici legati alla traduzione stilistica del silenzio torna anche Barbara Greco nel saggio dedicato ai micro-racconti dello spagnolo Max Aub, nei quali il gusto per il mistero è prodotto attraverso l’uso sapiente dell’ellissi narrativa, risorsa inventiva oltreché stilistica. La strategia dell’ellissi si ritrova poi variamente declinata nel saggio di Carmela Giordano dedicato alla figura dello “scop” nell’epica germanica, il poeta errante che narra le gesta eroiche degli antichi mediante racconti fortemente ellittici che, osserva l’autrice, rimandano al lettore vuoti interpretativi incolmabili. Il silenzio dello spazio bianco, in questo caso, anziché stimolare la “jouissance” del lettore alla quale faceva appello Mallarmé, rimanda a un irrimediabile vuoto conoscitivo, il silenzio determinato dai limiti della ricezione. Una modalità di lettura, questa, che in parte si ritrova nel saggio di Giovanna Fiordaliso a proposito dell’interpretazione dell’epistola di Garcilaso de la Vega a Boscán da parte del critico Guillén.

L’ultimo ambito di riflessione, infine, riguarda il rapporto tra Silenzio e Potere. Giorgio De Marchis a tal proposito riflette sul “sopravvalutato silenzio” dei protagonisti delle opere dello scrittore Eça de Queirós. Si tratta, nello specifico, di quei personaggi che decidono di tacere perché inadeguati alla carica istituzionale che ricoprono:, in questo modo, sottolinea De Marchis, Eça trova la chiave per contestare il sistema di potere portoghese dell’ultimo decennio del XIX secolo. Silenzio e contestazione politica si legano anche nell’opera del rumeno Gherasim Luca, laddove la sperimentazione poetica si lega al progetto di riscatto antitotalitario e all’esigenza di liberazione dall’intellettualismo repressivo. Una medesima ansia di liberazione si ritrova negli scrittori dell’Albania comunista indagati da Blerina Suta, i quali, come forma del dissenso e prassi di resistenza, si dedicano alla traduzione di Dante, poeta centrale nella elaborazione della cultura colta albanese, che diventa così modello-strumento di un’azione di resistenza e riconoscimento identitario di un intero popolo.

Quali esempi nel Novecento italiano?
Sul Novecento italiano discute Raffaele Manica nell’ampio saggio posto in apertura al volume. Il percorso, che prende avvio da un passo dello Zibaldone di Leopardi in cui il silenzio è associato alle “passioni forti” dell’uomo, procede mediante una campionatura di testi che mettono in luce, da varie angolazioni, le “qualità” del silenzio in letteratura. Tale approfondimento si avvale di uno sguardo a tutto campo che ricava esempi dalla poesia e dal romanzo, dal racconto e dalla sceneggiatura. Si passa dunque dall’ “interrogatorio della mutezza” presente ne La muta di Landolfi, alle declinazioni dell’incomunicabilità nei film di Antonioni e di Sergio Leone; dal “silenzio interiore” pirandelliano al “viaggio dentro il silenzio” di Palomar, fino ad arrivare ai più recenti riferimenti tratti dalla musica pop contemporanea. Nel contributo posto in chiusura del volume, invece, provo a riflettere sul valore e sul significato del silenzio nelle opere di Giuseppe Pontiggia. A tal proposito, guardando principalmente alla raccolta Prima Persona, ho esaminato alcuni concetti chiave della poetica dell’autore – la brevitas, la chiarezza, il concetto di critica “taoista” – alla luce della dialettica del dire/tacere.

Come si vede, il confronto tra le letterature, che costituisce l’occasione-spinta di questo libro, rende manifesta una fitta rete di occorrenze che definiscono le principali tracce di lettura all’interno del libro e che, intrecciandosi e sovrapponendosi, contribuiscono a rappresentare il silenzio come un concetto pluridimensionale e duttile, dunque difficilmente arginabile entro perimetri definiti.

Laura Cannavacciuolo è ricercatrice di Letteratura italiana contemporanea nell’Università di Napoli “L’Orientale”. È autrice delle monografie La fabbrica del grottesco (Napoli 2012), Salvatore di Giacomo. La letteratura e le arti (Pisa, 2015), Napoli boom. Il romanzo della città (Napoli, 2019), «Lavorare nella contemporaneità». Giuseppe Pontiggia lettore (Napoli, 2020). Ha curato i volumi La letteratura riflessa. Citazioni, rifrazioni, riscritture nella letteratura italiana moderna e contemporanea (Avellino, 2014), Across the University. Linguaggi, narrazioni e rappresentazioni del mondo accademico (Napoli, 2020), Michele Prisco tra radici e memoria (Napoli, 2021).

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