
Quali sono, a Suo avviso, i mali del servizio pubblico radiotelevisivo nostrano?
In Italia, fin dalle origini, la radio di Stato e poi il servizio pubblico (dopo il 1944) è sottoposto a un rigido controllo politico. Nella formulazione reithina, quella che dà corpo alla BBC, il public service broadcasting deve vivere di una duplice autonomia: dal condizionamento economico (rifiuto del modello commerciale americano) ma anche dalle pressioni politiche. Questo è il limite principale della RAI, che passa da un diretto controllo governativo, con la Democrazia Cristiana dagli anni Cinquanta fino alla riforma del 1975, alla “lottizzazione” degli anni Settanta Ottanta e Novanta. Per tornare, oggi, forse, a un modello di forte “ingerenza governativa”. Si fa fatica a pensare che, pur essendo “tv di Stato”, il servizio pubblico è tale solo se dimostra piena autonomia dalle forze politiche.
Abbiamo ancora bisogno di un servizio pubblico radiotelevisivo?
Io penso – ed è quello che cerco di dimostrare nel libro – che abbiamo bisogno più che mai del servizio pubblico. Anche in una funzione che potremmo definire “nazionale”: il servizio pubblico può diventare il vero “volano” della cultura audiovisiva nazionale. In parte lo è già (si pensi al ruolo della RAI in relazione al cinema italiano), ma potrebbe esserlo di più e meglio. In gioco c’è qualcosa di molto importante: l’Italia vuole essere un Paese nel quale si producono in maniera rilevante contenuti audiovisivi, oppure un Paese di semplici “consumatori”. In questa partita il servizio pubblico gioca un ruolo di primo piano, nella definizione del futuro assetto del sistema dei media nazionale.
In un panorama mediatico rivoluzionato dall’avvento del web, che funzione può svolgere la TV nell’industria culturale nazionale?
Ormai il servizio pubblico non può più essere concepito esclusivamente come radio o televisione. Il servizio pubblico deve assolvere alle sue funzioni come operatore presente universalmente, sulle piattaforme in cui può raggiungere la cittadinanza. Editore multipiattaforma, come si dice. E la RAI sul web ha già una sua discreta presenza. È inutile pensare ai media come confinati in recinti, ormai il sistema mediale è pienamente convergente. Sulla rete vengono fruiti contenuti audiovisivi realizzati secondo modalità “televisive”. Il punto non sono tanto le tecnologie o le piattaforme. Il punto è la presenza forte di un attore pubblico nazionale, caratterizzato da logiche non-commerciali. Una buona informazione, ma anche un buon intrattenimento e una buona fiction, veicolo di valori civili e del gusto della condivisione, sono le finalità del servizio pubblico del futuro. Certo, in Italia ci sarebbe molta strada da percorrere. Alleggerire le elefantiache strutture RAI, rendere il servizio pubblico soprattutto un “editore”, metterlo al centro dei processi produttivi del sistema mediale convergente… Ecco alcuni obiettivi per il servizio pubblico di domani.
Qual è la situazione negli altri paesi europei?
In generale il servizio pubblico è sotto attacco ovunque. In Svizzera, per esempio, nel 2018, si voterà un referendum che potrebbe significare la sua chiusura. E in Svizzera il servizio pubblico ha svolto e svolge un ruolo essenziale, considerata la complessa identità linguistica del Paese. In molti altri Paesi il servizio pubblico è attaccato per motivi differenti. Anche in Gran Bretagna, lo scorso anno, il Governo Conservatore ha provato a “ridimensionare” il ruolo della BBC, ma essa è ancora molto popolare nel Paese, e il progetto è stato largamente rivisto. Siamo in un’epoca in cui si fatica a guardare oltre i particolarismi e a pensare al bene comune. Il servizio pubblico è stata senz’altro un’istituzione al servizio del bene comune. Penso sia necessario un lavoro pedagogico che faccia capire quanto questo sia importante per il futuro delle nostre società.
Quale futuro per il servizio pubblico?
Dipende molto ovviamente dai singoli Paesi. Ci sono Paesi, come la Gran Bretagna, in cui – pur con inevitabili errori – il servizio pubblico del broadcasting ha saputo guadagnarsi una grande autorevolezza. Qui il futuro del servizio pubblico sembra maggiormente garantito. In altri Paesi non sembra esserci unanimità sul ruolo positivo del psb. In Italia la RAI non gode di una reputazione particolarmente positiva, è poco seguita proprio dalle generazioni più giovani per esempio. Il futuro del servizio pubblico, in questo caso, va riguadagnato sul campo, con una lenta ma decisa opera di riforma (per esempio dei meccanismi di governance, che dovrebbero essere tesi a valorizzare la competenza e il merito) e di miglioramento. È una strada complicata, ma alla fine penso ne varrebbe la pena.