“Il sapiente e il sovrano. Tommaso d’Aquino nel Paradiso di Dante” di Riccardo Saccenti

Prof. Riccardo Saccenti, Lei è autore del libro Il sapiente e il sovrano. Tommaso d’Aquino nel Paradiso di Dante edito da Carocci: che rapporto lega Dante Alighieri e il suo orizzonte dottrinale all’eredità di Tommaso d’Aquino?
Il sapiente e il sovrano. Tommaso d’Aquino nel <em>Paradiso</em> di Dante, Riccardo SaccentiDante mostra una singolare padronanza della cultura filosofia del proprio tempo. Tanto nei contenuti che nelle forme del suo periodare, in opere come il Convivio o la Monarchia, è esplicito il riferimento ai grandi autori della produzione intellettuale delle università e l’uso di strutture argomentative che appartengono alla tradizione degli studi universitari. La cultura filosofica delle università è dunque parte integrante del bagaglio dell’Alighieri, che la assorbe e la integra con la cultura poetica e letteraria. E fra gli autori della tradizione universitaria Tommaso occupa una posizione singolare nella considerazione del poeta fiorentino. Nel panorama degli studi dedicati all’Alighieri la questione del suo rapporto con il pensiero di Tommaso è stata più volte dibattuta, con esiti diversi, talvolta opposti, che vanno dall’immagine di un Dante pienamente tomista, che rifonde nei versi della Commedia il pensiero dell’Aquinate, ad un Dante averroista, che al contrario sposa l’autonomia del pensiero filosofico. L’approccio filologico allo studio del modo in cui l’Alighieri si muove nella produzione del dottore domenicano suggerisce una via diversa. Tommaso è uno dei maggiori autori a cui l’autore della Commedia guarda ma nel farlo l’accento sembra essere posto su alcuni elementi specifici della figura dell’Aquinate. Quest’ultimo infatti viene utilizzato da Dante come uno dei maggiori commentatori di Aristotele, al punto che nel Convivio, allorché si misura con alcuni testi cruciali del corpus aristotelico, come l’Etica Nicomachea, è al commento di Tommaso che si rifà in modo esplicito. Ugualmente lo studio dei testi danteschi ha messo in luce una conoscenza di altri commenti aristotelici dell’Aquinate, come ad esempio quello alla Metafisica.

Tommaso entra dunque nella “biblioteca” dantesca come uno dei maggiori maestri che si sono misurati con la tradizione aristotelica. E a questo si somma il Tommaso della Summa contra gentiles, che offre una elaborazione assai articolata di teologia naturale e soprattutto una distinzione fra l’argomentare della theologia che si impernia sulla Scrittura e quello che invece emerge dall’utilizzo del lumen naturalis rationis che è il carattere distintivo dell’essere umano. In Tommaso Dante coglie questi elementi culturali che entrano nella sua originale elaborazione intellettuale. La conoscenza che Dante ha della figura e dell’opera dell’Aquinate non è però consegnata solo alla frequentazione delle opere: vi è anche un’immagine del maestro domenicano che viene veicolata all’interno dell’ordine domenicano, che si riflette anche in elementi iconografici e che è parte dell’orizzonte storico e culturale nel quale l’Alighieri si muove e elabora il proprio pensare.

In che modo viene presentato, nei canti 10-13 del Paradiso, il dottore domenicano?
I canti del “cielo del Sole” sono dedicati al tema della sapientia e nella narrazione dantesca a Tommaso è affidata la guida della discussione che vaglia questo concetto e ne esplicita le caratteristiche. L’anima del dottore domenicano non solo presenta la prima corona di beati che il poeta pellegrino incontra e di cui egli stesso è parte. Lungo i quattro canti Tommaso è colui che spiega con le proprie argomentazioni due snodi essenziali: la connotazione morale della sapienza presentata come strettamente legata alla povertà, la specificazione del fatto che l’esercizio della sapienza è pratica dell’arte della distinzione. Si tratta di due elementi che hanno un duplice valore. Da un lato, essi appaiono come incarnati proprio della figura dell’Aquinate, la cui biografia è quella di chi cerca e pratica la sapienza dentro un ordine nel quale il voto di povertà è saldato con la cura per la cultura e la produzione dottrinale. E questo tratto è rafforzato nella messa in scena dantesca dal racconto della vita di Francesco d’Assisi, quasi il campione della povertà cristiana, che proprio l’anima di Tommaso presenta. Dall’altro lato, Tommaso spiega come la distinctio, ossia la pratica universitaria di analisi e studio, sia l’elemento che caratterizza la sapienza come metodo. Significativamente, nel racconto di Dante, l’Aquinate emerge come maestro di sapienza per una duplice ragione, cioè perché illustra cosa sia la sapientia e perché nel farlo egli mostra il proprio essere sapiente e si fa in qualche modo modello di una prassi magisteriale che Dante ricava dalla tradizione universitaria. È dunque una sorta di chiasmo quello che l’Alighieri costruisce fra i discorsi e le argomentazioni che fa pronunciare a Tommaso e la figura stessa del dottore domenicano annoverato fra i beati. E tale costruzione letteraria acquista uno spessore dottrinale perché restituisce la scansione di un discorso che si fa vera e propria quaestio, o più precisamente serie di quaestiones, che il poeta pellegrino pone all’anima beata di un grande maestro, la quale dispensa le proprie responsiones con il rigore argomentativo che proprio del sapiente.

Con quali specificità l’Alighieri intende la figura di Tommaso e come si colloca questa visione della funzione dottrinale, religiosa e politica del magister domenicano nell’orizzonte storico dei primi decenni del Trecento?
In Dante vi è il Tommaso autore di grandi testi filosofici e teologici e vi è l’immagine del Tommaso “beatificato” nel cielo del Sole che si fa quasi guida di un argomentare rigoroso sulla sapienza che è a sua volta esercizio di sapienza. Sono elementi che suggeriscono un approccio del tutto originale dell’Alighieri alla figura e all’eredità del dottore domenicano che acquista una pluralità di valenze. Esso infatti riflette certamente gli interessi filosofici del poeta fiorentino ma presenta anche un chiaro connotato di ordine politico. Il Tommaso dei canti del cielo del Sole, infatti, offre al poeta pellegrino la risposta anche all’ultimo dei suoi quesiti, quello che attiene alla natura di Salomone, descritto dalla Scrittura come il più sapiente fra gli uomini. La risposta dell’anima dell’Aquinate si articola con il consueto rigore argomentativo della risposta ad una quaestio nella quale si offre un saggio di “distinzione” che chiarifica le cose a proposito del nesso fra sapienza e regalità rappresentato dalla figura dell’antico re di Israele. Quest’ultimo, si spiega, fu certo il più sapienza fra gli uomini ma non con riferimento alla sapientia intesa in senso olistico, come totalità del sapere. Piuttosto, Salomone eccelse fra gli uomini quanto alla sapienza che è propria dei sovrani, quella che li rende buoni e saggi reggitori del proprio regno. La precisazione non è solo dottrinale, nella misura in cui, negli anni in cui Dante pone mano alla stesura del Paradiso, il ricorso a Salomone come icona di una regalità che si qualifica in termini di sapienza, cioè di un padroneggiare il sapere della filosofia e della teologia, è il pernio della costruzione del modello di regalità di Roberto d’Angiò. E in questo processo di costruzione ideologica che tende a rafforzare e consolidare il regime angioino non solo a Napoli ma in tutta l’Italia “guelfa”, il ricorso alla teologia di Tommaso d’Aquino era stato parte integrante della strategia degli intellettuali della corte napoletana. Basti ricordare che la proclamazione della santità di Tommaso è fortemente voluta e sostenuta proprio da re Roberto e dalle figure chiave della sua corte, che figurano fra i testimoni del processo di canonizzazione. Di fronte a questo scenario e all’uso politico e ideologico che in esso si consuma dell’Aquinate e della sua opera, Dante propone quasi un contro-modello che grazie al dispositivo poetico della Commedia unisce alla cogenza argomentativa la forza della messa in scena poetica. In quest’ultima proprio l’anima di Tommaso, nell’esercizio della sapientia che connota il dottore domenicano come maestro di distinzione, fissa i caratteri di un ideale di sapienza segnato dalla povertà, da uno specifico connotato metodologico e infine da una diversificazione, quella fra la sapienza dei maestri e quella dei principi, che ribaltano lo schema angioino e ne denunciano le criticità. Dante “beatifica” così un Tommaso che ha anche questo forte profilo antiangioino e lo fa in anticipo sulla canonizzazione della chiesa, che avverrà solo nel luglio 1323 ad Avignone, alla presenza di Roberto d’Angiò, quasi due anni dopo la morte del poeta fiorentino.

Riccardo Saccenti insegna Storia della filosofia medievale all’Università degli Studi di Bergamo

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