“Il sale nel mondo greco (VI a.C. – III d.C.). Luoghi di produzione, circolazione commerciale, regimi di sfruttamento nel contesto del Mediterraneo antico” di Cristina Carusi

Prof.ssa Cristina Carusi, Lei è autrice del libro Il sale nel mondo greco (VI a.C. – III d.C.). Luoghi di produzione, circolazione commerciale, regimi di sfruttamento nel contesto del Mediterraneo antico pubblicato da Edipuglia: quale importanza aveva il sale nel mondo antico?
Il sale nel mondo greco (VI a.C. – III d.C.). Luoghi di produzione, circolazione commerciale, regimi di sfruttamento nel contesto del Mediterraneo antico, Cristina CarusiInnanzitutto è necessario dire che, nel mondo antico così come oggi, il consumo di sale è essenziale per l’equilibrio interno del corpo e per la normale attività biologica delle cellule e dei tessuti. Tuttavia, la quantità di sale che ogni individuo consuma è molto più elevata di quella strettamente necessaria per il corretto funzionamento dell’organismo – attualmente, nell’Europa contemporanea, si consumano circa 3 kg di sale all’anno invece del solo chilogrammo realmente necessario, mentre Fernand Braudel riteneva che nell’Europa di età moderna se ne consumasse il doppio della quantità attuale e per il mondo antico un passo del De agricultura di Catone ci spinge ad ipotizzare che il consumo fosse almeno il triplo di quello odierno.

Il motivo per cui, oggi come allora, il consumo effettivo di sale è tanto più elevato delle reali necessità di salute risiede nel fatto che mangiare sale non risponde soltanto ad un bisogno fisiologico dell’organismo, ma, soprattutto, alla necessità di soddisfare le esigenze del gusto. Di questo erano già consapevoli gli antichi: Plutarco, ad esempio, sosteneva che il sale fosse il più essenziale ed indispensabile dei condimenti perché rendeva tutti i cibi gustosi, e ne paragonava la funzione a quella della speranza per la vita e della luce per i colori – come vivere è insopportabile senza speranza e percepire i colori è impossibile senza luce, così tutti i sapori sono sgradevoli e privi di attrattiva senza il sale. Questo era particolarmente vero nel mondo antico, dove i cereali rappresentavano circa il 70-75% dell’apporto calorico ed il sale era ancora più essenziale per rendere appetibile una dieta particolarmente insipida e monotona. Sempre Plutarco considerava il sale qualcosa di divino, perché, esattamente come l’acqua o la luce, soddisfaceva uno dei bisogni essenziali dell’uomo, ovvero stimolava l’appetito fornendo al corpo l’indispensabile apporto del nutrimento. Sarebbe sbagliato credere che questo non debba essere considerato un bisogno primario, dato che adattare il cibo all’appetito è essenziale non tanto per vivere, nel senso di assicurare il funzionamento del corpo umano, quanto – per dirla con Plinio – per «vivere una vita degna di un essere umano». In questi termini, il consumo di sale costituisce un atto in cui il gusto, che è un fatto culturale, gioca un ruolo più rilevante del semplice istinto naturale e non deve dunque sorprendere che gli antichi Greci e Romani lo considerassero un tratto distintivo della loro civiltà, messo spesso in contrasto con l’inferiorità culturale di quei popoli ‘barbari’ o marginali che non conoscevano il sale o erano costretti a fare ricorso a dei surrogati.

Questo bisogno, sia fisiologico che, soprattutto, culturale, è ciò che spiega l’enorme importanza del sale nel mondo antico. Non si deve tuttavia dimenticare che il sale aveva anche un’altra cruciale funzione, ovvero quella di agente conservante. Nel mondo antico, infatti, il sale costituiva il principale e quasi l’unico sistema in grado di garantire la costituzione di scorte alimentari e il commercio a lunga distanza di alimenti altrimenti deperibili, contribuendo così a prolungare nel tempo e nello spazio la disponibilità delle risorse alimentari. Anche qui, per spiegare quanto gli antichi stessi fossero consapevoli di ciò, si può di nuovo citare Plutarco, che accostava la funzione del sale a quella dell’anima, l’elemento divino della persona umana, dato che entrambi si opponevano al decadimento ed alla morte preservando intatta la materia mortale.

Quali impieghi trovava il sale nel mondo antico?
Proprio ciò che ho appena detto fa capire quali erano i principali impieghi del sale nel mondo antico: innanzi tutto il consumo alimentare, su cui penso di essermi già dilungata abbastanza, e poi la conservazione degli alimenti. Numerosi prodotti, come carne, verdure e latticini venivano conservati sotto sale o in salamoia, ma è indubbio che il tipo di salagione di gran lunga più diffuso fosse rappresentato dal pesce e dai suoi derivati. Le conserve e le salse di pesce erano estremamente popolari e diffuse nel mondo antico, tanto che fare una lista dei prodotti più noti e consumati sarebbe impossibile. È importante dire che la preparazione di salagioni non riguardava solo la sfera domestica, ma era praticata anche a livello industriale, con alcuni centri di lavorazione che trattavano enormi quantità di prodotto, destinato al commercio su vasta scala. In tutto il bacino del Mediterraneo, e specialmente nel settore occidentale, sempre più numerosi sono i resti di impianti di salagione che continuano a venire alla luce negli ultimi decenni grazie alle indagini archeologiche: la maggior parte di essi sono databili al periodo tra il I ed il III secolo d.C., quando sembra che vi sia stata una vera e propria ‘esplosione’ dell’industria della salagioni dovuta ad una forte crescita della domanda, generata, probabilmente, dalla presenza di legioni romane nelle aree periferiche dell’impero, dove questi prodotti sarebbero stati altrimenti irreperibili. Non si deve tuttavia sottovalutare l’importanza che la fabbricazione di salagioni ebbe anche nel mondo greco: le fonti letterarie inducono a credere si trattasse di una produzione molto intensa, forse sino ad ora rimasta ‘in ombra’, a livello archeologico, a causa di tecniche di produzione le cui tracce sembrano più difficili da riscontrare sul terreno.

Occorre infine ricordare che il sale era importante anche per l’allevamento del bestiame, dove aveva un ruolo fondamentale per la dieta animale ed era impiegato per i prodotti derivati, in particolare la preparazione dei formaggi e la concia delle pelli. Il sale era poi usato in quantità ridotte nella fabbricazione della tintura di porpora ed in alcuni procedimenti metallurgici, tra cui la raffinazione dell’oro ed il trattamento del piombo argentifero. Da ultimo, ma non per importanza, il sale trovava larga applicazione anche in campo medico grazie alle sue caratteristiche cauterizzanti, astringenti e solventi: come riferisce Plinio, si poteva ricorrere al sale, tra le altre cose, per curare morsi, pustole o bruciature, per disturbi agli occhi, alla bocca e alla gola, per le coliche, per la gotta e per l’idropisia.

Quali erano le tecniche e i luoghi di produzione?
Le fonti antiche rivelano chiaramente che agli occhi dei Greci e dei Romani il sale era considerato un prodotto essenzialmente legato al mare. Ciò non sorprende se si considera che nel bacino del Mediterraneo, a fronte di una scarsa presenza di significative risorse di salgemma, le condizioni ambientali e climatiche – come la forte salinità del mare, il clima secco e ventoso e la conformazione del litorale – sono estremamente favorevoli alla formazione di sale tramite l’evaporazione solare delle acqua marine. Tutte le zone costiere in cui il mare tende a penetrare nella terraferma ed a stagnarvi, come lagune, paludi o laghi costieri, sono luoghi privilegiati per la produzione di sale. Se ne deduce, con anche la conferma delle testimonianze antiche, che lungo il litorale Mediterraneo la formazione spontanea di sale fosse ampiamente diffusa e che potesse garantire quasi ovunque una produzione ‘naturale’ non trascurabile. Gli stessi contesti naturali, inoltre, offrivano condizioni assai propizie all’installazione di bacini artificiali per l’evaporazione delle acque marine che, grazie alla descrizione di alcuni autori antichi come Rutilio Namaziano, Manilio e Nicandro di Colofone, possiamo ipotizzare fossero del tutto simili, nella loro struttura e nel loro funzionamento, alle saline moderne. Un impianto di saline romane è stato scoperto e scavato qualche anno fa a Vigo, in Galizia, ed in effetti le sue caratteristiche sono del tutto simili alle descrizioni letterarie delle saline antiche ed all’aspetto delle saline moderne.

Gli antichi conoscevano anche il salgemma ed il sale derivato dall’evaporazione di sorgenti e laghi salati dell’entroterra, ma queste risorse giocavano un ruolo più marginale ai loro occhi, tanto che la formazione di sale in contesti lontani dal mare veniva spesso percepita come un fenomeno eccezionale. Ancora più eccentriche erano considerate le tecniche di estrazione del sale che facevano ricorso al calore artificiale, come la bollitura di acqua salata o l’uso di ceneri salate usate come surrogato, legate, come dicevo poco fa, a popolazioni considerate barbariche o comunque lontane dall’orizzonte culturale e geografico del mondo greco e romano.

Quali informazioni offrono le fonti letterarie antiche riguardo al sale?
Nella maggior parte dei casi le fonti letterarie antiche menzionano il sale in modo cursorio e casuale: si tratta perlopiù di notizie sparse ed eterogenee, provenienti da contesti in cui l’interesse principale dell’autore non riguardava il sale e dove le informazioni che egli fornisce sono solitamente succinte e spesso non circostanziate. Ecco perché una ricerca come quella che ho esposto nel mio libro richiede un attento lavoro di analisi ed interpretazione dei passi estratti dalle opere antiche e, quando possibile, la loro integrazione con testimonianze non solo epigrafiche ed archeologiche, ma anche toponomastiche ed etnografiche.

Tra le poche eccezioni, a livello letterario, bisogna citare la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, che, nel libro XXXI, dedica un lungo excursus al sale, soffermandosi sulle tecniche ed i luoghi di produzione, sulle caratteristiche e gli impieghi di alcuni tipi di sale, inclusa la fabbricazione delle salse di pesce, e sulle sue proprietà curative. Dal momento che Plinio presentava la sua opera come un inventario ed un bilancio delle conoscenze acquisite sino a quel momento su ogni aspetto della natura, anche il suo trattato sul sale costituisce un importante repertorio di notizie ricavate dalla letteratura scientifica e medica precedente – per noi oggi in gran parte perduta – e ci consente di capire quali fossero, in generale, le principali nozioni sul sale circolanti nel mondo antico. L’altro autore che voglio citare – ed al quale ho fatto già riferimento – è Plutarco, che, all’interno di un’opera intitolata Questiones convivales, dove metteva in scena delle conversazioni erudite tra commensali, aveva inserito una sorta di elogio del sale, anche questo un topos letterario che sembra fosse in voga sin dal tempo della sofistica ed i cui esiti, se non fosse stato per Plutarco, sarebbero andati del tutto perduti.

Come si provvedeva nel mondo greco all’approvvigionamento del sale?
Il catalogo dei luoghi di produzione del sale che ho realizzato nel mio libro, e che si basa sull’apporto di testimonianze sia dirette che indirette, dimostra che le risorse di sale erano largamente diffuse all’interno del bacino del Mediterraneo e nel suo immediato hinterland. Se ne può dedurre che la maggior parte degli insediamenti antichi che sorgevano lungo le coste, o a poca distanza da esse, si approvvigionassero adeguatamente attraverso il mercato locale o, al limite, ricorrendo al commercio a breve raggio. Ciò sembra confermato dal fatto che nei testi antichi i riferimenti al commercio interregionale di sale sono estremamente scarsi e riguardano soprattutto popoli che vivevano nell’entroterra, lontano dal mare. Anche il fatto che il sale, nonostante la sua grande importanza, sia concreta che culturale, avesse, come risulta dalle fonti, un prezzo piuttosto basso, conferma che si trattava di un prodotto facilmente reperibile quasi ovunque. La situazione è diversa per alcune qualità di sale, come il cosiddetto “sale ammoniaco” dell’Africa settentrionale o il sale della Cappadocia, che, essendo particolarmente rinomate per ragioni mediche o culinarie, avevano certamente un valore economico più elevato e, a giudicare dalla fama di cui godono nelle fonti antiche, dovevano essere oggetto di commerci a vasto raggio. Si consideri, infine, che in quei casi in cui il sale era fondamentale per il funzionamento di attività produttive di un certo rilievo – mi riferisco in particolare agli impianti di salagione del pesce che ho menzionato prima – l’approvvigionamento non poteva fare affidamento solo su risorse locali e vi è in effetti ragione di credere che l’importazione di sale, da centri vicini e non, giocasse un ruolo cruciale per il funzionamento degli impianti. In sostanza, l’approvvigionamento di sale nel mondo antico era reso possibile dall’esistenza di molteplici reti commerciali che si sovrapponevano ed interagivano sia a livello locale che interregionale, mentre sembra più limitato l’apporto del commercio ‘internazionale’ a lunga distanza, a differenza di quanto avveniva nell’Europa tardo-medioevale e moderna, dove, però, i centri di produzione erano meno equamente distribuiti.

Quali regimi di sfruttamento del sale erano diffusi nel sistema greco-romano?
Per quanto riguarda il mondo delle poleis, le poche testimonianze di cui si dispone parlano soprattutto di saline appannaggio di santuari, ma questo non esclude la presenza sia dello stato che dell’iniziativa privata nella raccolta del sale che si formava spontaneamente sulle coste così come nell’installazione e nella gestione di saline naturali o artificiali. È interessante notare, inoltre, che la maggior parte delle città stato non svilupparono misure fiscali legate allo sfruttamento del sale; le poche eccezioni in cui questo sembra essersi verificato, come le città di Bisanzio e Roma, sono proprio realtà in cui la produzione ed il commercio di sale svolgevano un ruolo di primo piano nell’economia locale. La prospettiva sembra invece cambiare per quanto riguarda i regni greco-macedoni di età ellenistica, dove il controllo statale e la conseguente pressione fiscale appaiono decisamente più marcati. Nel regno tolemaico d’Egitto questo controllo si concretizzava nella gestione diretta della produzione da parte dell’apparato amministrativo e nell’appalto a privati della vendita del sale, entrambi sostenuti da un sistema di tassazione pro capite – anche se non si può affermare con certezza che si trattasse di un monopolio statale in senso stretto. La situazione appare invece più variegata all’interno degli altri regni ellenistici così come sul territorio delle province romane, dove, accanto a saline di proprietà reale o statale, si riscontrano anche impianti appannaggio di varie realtà locali e dove non sembrano essere esistite misure fiscali ‘universali’. In effetti ritengo che una delle importanti acquisizioni del mio studio sia aver mostrato che, tra le convinzioni erroneamente diffusesi nelle opere generali sulla storia del sale, sia in particolare da rigettare l’idea che anche nel mondo antico il sale costituisse un oggetto privilegiato di tassazione e che il suo sfruttamento fosse perlopiù sottoposto al controllo delle autorità statali, così come avveniva in alcune realtà dell’Europa di età moderna.

Cristina Carusi è attualmente Professore Associato di Storia Greca presso l’Università di Parma. In precedenza ha rivestito incarichi di ricerca e insegnamento presso il Center of Hellenic Studies (Washington, DC), l’Università del Texas (Austin) e lo Institute for Advanced Study (Princeton). I suoi interessi di ricerca vertono sulla storia e l’epigrafia greca, con particolare attenzione agli aspetti giuridici, istituzionali ed economici del mondo delle poleis. È autrice di due monografie e di numerosi contributi in volumi e riviste scientifiche di rilevanza internazionale.

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