“Il ritratto” di Anna Maria Riccomini

Prof.ssa Anna Maria Riccomini, Lei è autrice del libro Il ritratto pubblicato da Carocci: qual era l’importanza del ritratto nel mondo greco, etrusco e romano?
Il ritratto Anna Maria RiccominiSin dalla prima età arcaica gli scultori sono chiamati a rappresentare – oltre alle immagini divine – quelle degli uomini e delle donne d’alto rango che agli dèi facevano offerte prestigiose o che volevano lasciare memoria di sé sulle proprie tombe. Queste prime immagini umane non erano “ritratti” nel senso moderno del termine, ma piuttosto immagini simboliche di determinati valori, ritenuti all’epoca prerogativa delle classi più alte, come la nobiltà d’animo, il coraggio, la ricchezza e la raffinatezza. Sul modello del mondo greco, anche gli Etruschi elaborano, fin dal VII-VI secolo a.C., una tipologia ritrattistica intesa a individuare gli esponenti dei ceti più elevati: il loro stile di vita raffinato, la conoscenza della cultura greca e greco-orientale sono evidenti nelle acconciature, nell’abbigliamento e nella scelta di farsi raffigurare come dei banchettanti.
Solo alla fine del IV secolo a.C., proprio nel momento in cui sviluppa l’interesse verso il genere letterario della biografia, gli scultori elaborano i primi ritratti fisiognomici, in cui cioè si cercava di riprodurre la somiglianza fisica e di comunicare la psicologia e il carattere del personaggio raffigurato. Nasce, dunque, quello che ancora oggi definiamo “ritratto”: una novità di enorme portata, una svolta decisiva nell’arte occidentale.
Il mondo romano elaborerà tipologie ritrattistiche autonome e peculiari, capaci di tenere insieme e di far “dialogare” le tante culture del suo immenso impero, ma il modello greco sarà sempre il punto di riferimento principale per ogni nuova riflessione artistica sul ritratto.
La scelta di dedicare un intero manuale al ritratto si spiega, naturalmente, con l’importanza che questo genere artistico ha avuto nel mondo antico, ma è anche un omaggio all’immenso debito che il ritratto moderno ha nei confronti di quello greco-romano.

Quali tipologie sono state elaborate dalle diverse civiltà?
Fin dalla prima età arcaica i Greci hanno ideato le statue-ritratto funerarie e quelle che raffigurano offerenti, che dovevano essere esposte nei santuari: in entrambi i casi, si tratta di giovani uomini quasi sempre nudi (la nudità ha qui un valore eroizzante) o fanciulle riccamente abbigliate, pertinenti ai ceti più elevati della società. Dalla fine dell’età arcaica si introducono i primi ritratti di statisti (riconoscibili dalla presenza dell’elmo o di un abbigliamento particolare) e quindi quelli di uomini di pensiero, solitamente caratterizzati da una vistosa barba e dall’atteggiamento riflessivo. In onore di Alessandro Magno si elaborano l’iconografia del sovrano vittorioso sul cavallo rampante (che tanta fortuna avrà anche in età moderna) e quella del sovrano seduto in trono come Zeus (poi imitato dagli imperatori romani). In ambito etrusco-italico si sviluppano la produzione di teste votive in terracotta dipinta e quella di ritratti funerari, sui coperchi delle urne cinerarie, che raggiungono – in alcuni casi – un’immediatezza espressiva davvero straordinaria.
Con la progressiva estensione dei confini del suo impero, Roma entra in contatto con tradizioni culturali e figurative sempre nuove e anche la ritrattistica partecipa di queste novità: tra le produzioni romane più curiose e originali ci sono i ritratti dei notabili locali sui rilievi di Palmira, dove le figure in toga si mescolano a quelle vestite all’orientale, i ritratti dipinti su lino o legno dall’Egitto (molti dall’oasi del Fayyum), dove i defunti pettinati e abbigliati secondo la moda del tempo compaiono talvolta accompagnati dalle divinità egizie o circondati dai loro simboli o ancora – sempre per rimanere nell’Egitto romano – i ritratti degli imperatori scolpiti in granito o in porfido, secondo lo stile e l’iconografia degli antichi Faraoni.
Un fenomeno, poi, tipicamente romano è quello dei ritratti di personaggi storici (generali, imperatori, ma anche semplici privati) raffigurati nelle sembianze di divinità: è questo il tipico caso in cui la testa riproduce le reali fattezze ritrattistiche, mentre il corpo si ispira a noti modelli scultorei greci, ideati per le statue degli dèi.

Quali sono i punti di contatto, i rimandi intenzionali o le cesure fra le diverse tradizioni figurative?
Il ritratto è la più immediata forma di celebrazione di una persona, lo strumento attraverso il quale un personaggio illustre o un anonimo privato vuole lasciare memoria di sé, delle proprie imprese (grandi o piccole che siano), dei propri modelli culturali. Decidere in che modo farsi ritrarre non è mai una scelta casuale.
Nel mondo greco-orientale i ricchi committenti si facevano immortalare in forme opulente, così da suggerire il benessere materiale, e quasi sempre sdraiati a banchetto, a indicare uno stile di vita colto e raffinato. Il modello greco influenzò presto anche la ricca clientela etrusca, i cui esponenti più facoltosi amavano farsi ritrarre a banchetto in compagnia delle proprie mogli (un privilegio negato alle greche) e che, a poco a poco, finirono per ostentare un’eloquente obesità.
I generali romani della tarda repubblica non seppero resistere al fascino del ritratto in nudità eroica, adottato da Alessandro Magno e diffuso dai sovrani ellenistici: Pompeo Magno imitò, addirittura, il tipico ciuffo rialzato sulla fronte di Alessandro (anastolé). All’epoca del soggiorno romano di Cleopatra, ospite di Cesare (46-44 a.C.), le matrone romane lanciarono la moda dell’acconciatura a boccoli “libici”, di gusto egizio e adottata dalla regina.
I rimandi intenzionali a determinati modelli simbolici s’intensificano in età imperiale: gli imperatori della gens giulio-claudia si pettinano tutti come Augusto (anche quelli che non avevano reali legami di sangue con il primo imperatore), a suggerire la legittimità della discendenza. Per lo stesso motivo, Settimio Severo adotta l’acconciatura e il tipo di barba di Marco Aurelio, anche se tra la dinastia degli Antonini e quella dei Severi (di origini africane) non c’era alcuna parentela. Le scelte di Vespasiano o di Caracalla si pongono, invece, come esempi di “rottura” con la tradizione: Vespasiano volle marcare la cesura con la dinastia giulio-claudia (che si era conclusa negativamente con Nerone), scegliendo un tipo ritrattistico ispirato ai modelli tardo-repubblicani, mentre Caracalla rifiutò di uniformarsi all’immagine del “buon imperatore” derivata dal modello di Marco Aurelio, a vantaggio di un’immagine più energica e torva, simbolo di forza e determinatezza, che aprirà la strada alla ritrattistica degli imperatori-soldato dei decenni centrali del III secolo d.C.

Qual è stata l’evoluzione stilistica e figurativa del ritratto nel passaggio dal mondo greco a quello romano?
Tra il II e il I secolo a.C., e cioè quando i Romani entrano prepotentemente nella scena politica del Mediterraneo e conquistano, uno ad uno, tutti i regni ellenistici, si intensificano i contatti tra il mondo greco e quello romano. Gli artisti che un tempo lavoravano per le corti o i ricchi committenti greco-orientali si trovano ora senza lavoro e si rivolgono ai nuovi conquistatori. Alcune famiglie di scultori sono attive, in questo periodo, sia in Grecia che a Roma e a trarre particolare vantaggio da questi continui scambi culturali è proprio la produzione artistica. In questa cruciale fase di passaggio e di progressiva romanizzazione del mondo greco, anche il ritratto “parla” un linguaggio internazionale. I generali romani, ma anche i semplici commercianti arricchiti, desiderano farsi ritrarre alla maniera dei greci: i più audaci si mostrano persino in completa nudità, secondo uno schema derivato dalle immagini divine e adottato in Grecia per i ritratti eroizzati di Alessandro Magno e dei sovrani ellenistici. Alcuni di questi ritratti in bronzo o in marmo mettono in crisi gli archeologi, che si interrogano sulla loro interpretazione: si tratta di ritratti di greci o di romani?
Se l’identificazione dei personaggi rimane, in alcuni casi, ancora incerta, è quasi certo che a scolpire quei ritratti siano stati artisti greci, e di provenienza greca sono anche i marmi utilizzati in scultura, fino almeno al principio del I secolo d.C., quando ha inizio lo sfruttamento intensivo delle cave di Luni.
Il naturalismo tipico dei ritratti ellenistici si combina, nelle immagini-ritratto dei nuovi committenti, con la ricerca di un minuzioso e persino esasperato realismo, attraverso cui si intendono esprimere i princìpi etici dell’antica aristocrazia senatoria, incentrati sui valori dell’austerità, della saggezza, della dignità.

Quali differenze si possono individuare tra i ritratti imperiali e i ritratti di privati?
In età imperiale il ritratto dei privati si modella sull’immagine del princeps o di quella dei suoi familiari. Dei ritratti imperiali si imitano fedelmente le pettinature e altri tratti caratteristici del volto (come l’uso o la foggia della barba per gli uomini) e persino dell’espressione, tanto da ottenere dei veri e propri “volti d’epoca”, che oggi aiutano gli archeologi a inquadrare cronologicamente i ritratti di personaggi sconosciuti. La somiglianza con i modelli imperiali è talvolta così stretta da creare incertezze sull’identificazione: intorno ad alcuni volti si discute ancora se si tratti di immagini di personaggi della famiglia imperiale o di privati che hanno inteso imitarli, persino nelle fattezze del volto. La ritrattistica privata attinge al modello imperiale anche nelle rappresentazioni in formam deorum, in cui cioè i personaggi ritratti sono immortalati con attributi divini o nello schema figurativo di celebri statue greche di divinità.
Nella sfera privata, questa forma di ritratto sembra quella preferita dai committenti provenienti dai ceti medio bassi o addirittura dai liberti (gli schiavi liberati) ed è la più adatta a “fissare” per l’eternità le doti (vere o presunte) di donne o di bambini che, in vita, non dovevano avere avuto molta visibilità e che proprio nei ritratti funerari ottengono una sorta di riscatto: le donne diventano delle nuove Afroditi, i bambini degli “Ercolini”, dei piccoli Mercuri alati o delle Diane cacciatrici.
L’unica eccezione è l’assimilazione con Giove, riservata all’imperatore, che si fa talvolta raffigurare in parziale o totale nudità eroica e con il fulmine e lo scettro in mano o seduto in trono.

Che caratteristiche assumono i volti femminili e cosa si può dire riguardo all’evoluzione del gusto nelle acconciature?
Nella ritrattistica femminile è più facile imbattersi in volti che presentano elementi di idealizzazione. Tanto nei ritratti ufficiali, delle imperatrici o comunque delle donne della famiglia imperiale, che in quelli privati, si tende a ingentilire i tratti del volto e a ridurre i segni dell’età. Soprattutto nei ritratti funerari, che per molte donne sono l’unico modo di “apparire” e lasciare un segno di sé, si insiste sulla bellezza della defunta. Anche in antico, come oggi, alle donne piaceva sperimentare nuove acconciature, tanto che nei ritratti di una stessa imperatrice possiamo riconoscere anche sei o sette diverse pettinature, se non di più: Faustina Maggiore, la moglie di Marco Aurelio, si pettina in modo diverso ogni volta che le nasce un figlio (e di figli ne ebbe ben tredici!).
Nei ritratti privati si riflette il variare delle acconciature ufficiali, secondo il principio secondo cui l’immagine dei cittadini dell’impero s’ispirava a quella dell’imperatore in carica. Le donne, ben più dei loro mariti, fanno di tutto per essere sempre all’ultima moda: gli archeologi hanno trovato parrucche e toupet in marmo, che potevano essere applicati alle teste per trasformare, all’occorrenza, la foggia della pettinatura delle statue o dei busti-ritratto.
Sia nei ritratti maschili che in quelli femminili, la scelta della pettinatura non è solo un fatto di gusto o di moda, ma spesso riflette precisi modelli ideologici: al principio del II secolo d.C., ad esempio, Traiano si pettina in modo simile ad Augusto, il fondatore dell’impero, e lo stesso farà Costantino, al principio del IV secolo, a sancire una sorta di nuova partenza dopo i decenni di crisi dell’anarchia militare.
In sintonia con il filellenismo del consorte (l’imperatore Adriano) Sabina, in alcuni ritratti, rinuncia alle complicate piramidi di trecce posticce divenute di moda in quegli anni e raccoglie i capelli in un semplice e morbido nodo, alla maniera delle Afroditi delle statue greche.

Che caratteristiche possedevano le formule “abbreviate” di ritratto?
Le formule “abbreviate” di ritratto sono tipiche della tradizione figurativa italica, e romana in particolare, e derivano dal concetto secondo cui l’immagine-ritratto di un individuo si identifica con la sua testa o, meglio, con il suo volto. Nel mondo greco, invece, l’immagine di una persona non può essere scissa tra testa e corpo, ma è un’unica entità, che come tale deve essere rappresentata.
Tra le formule “abbreviate” di ritratti, le più diffuse sono i ritratti entro clipeo (immagini clipeate), le erme e i busti. La testa-ritratto incorniciata da uno scudo (clipeo) ha precedenti nel mondo greco (già alla fine del V secolo a.C. il bellissimo Alcibiade si era fatto raffigurare sul proprio scudo, in sembianze di Eros) ed ha una specifica connotazione eroizzante. A Roma il ritratto entro clipeo assume da subito un ruolo pubblico, connesso con l’ideologia del trionfo militare.
Derivata anch’essa dal mondo greco, dove è attestata come sostegno di teste di divinità (spesso Hermes) o di atleti, nell’ambito della decorazione dei ginnasi, l’erma-ritratto (in cui la testa è sorretta da un pilastro) si diffonde in ambito italico dalla seconda metà del I secolo a.C., soprattutto tra i ceti elevati, anche se non è specificamente attestata per i ritratti imperiali.
La formula “abbreviata” più diffusa rimane comunque il busto-ritratto: una tipologia così tipicamente romana che non esiste neppure un nome per indicarla. In latino il busto-ritratto è l’immagine (imago) per eccellenza. È questo un formato ritrattistico così rappresentativo della romanità, da essere diventato il modello per ogni successiva rappresentazione “all’antica”, dal Medioevo in poi. L’evoluzione della forma del busto, che dal semplice accenno delle spalle arriverà a comprendere quasi tutto il torso e persino (in alcuni casi) le braccia, fornisce agli studiosi un valido elemento di datazione.
Tutte e tre queste formule si prestano a essere replicate con più facilità e meno dispendio di mezzi tecnici e denaro, rispetto alla statua intera, e ad essere collocate un po’ ovunque, anche in spazi ristretti o di intenso passaggio, come gli atri delle domus.

Anna Maria Riccomini è Professore associato di Storia dell’arte greca e romana presso il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia

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