“Il Risorgimento tra storia e finzione” a cura di Roberta Colombi

Prof.ssa Roberta Colombi, Lei ha curato l’edizione del libro Il Risorgimento tra storia e finzione pubblicato da Franco Cesati, quale rappresentazione letteraria ha ricevuto, dall’Ottocento ai giorni nostri, il Risorgimento italiano?
Il Risorgimento tra storia e finzione, Roberta ColombiIl Risorgimento, in quanto momento costitutivo della nostra identità nazionale, ha subito nel tempo letture di vario tipo sia da parte della storiografia che da parte del racconto letterario, tese proprio a individuare in esso a seconda dell’orientamento ideologico, miti fondativi o vulnus irrisolti di quel delicato processo. Entrambe le narrazioni, storiografiche o letterarie, a ben vedere hanno attraversato diverse fasi da quella apologetica a quella moderata e liberale fino alla visione critica (gobettiana e poi gramsciana) di una “rivoluzione fallita” a cui si sono aggiunte varie forme di revisionismo. Indubbiamente però il racconto letterario ha offerto sempre l’opportunità di un altro sguardo sui processi storici e in particolare il Risorgimento è stato attraversato prestissimo da una prospettiva critica che ne metteva in luce i limiti e le contraddizioni, attraverso le lenti speciali della scrittura narrativa. Penso ai romanzi di De Roberto e Pirandello che, secondo la lettura di Spinazzola, inaugurano una linea antistorica tesa a smascherare la caduta e la degenerazione degli ideali risorgimentali.

Seguire la rappresentazione che la letteratura ha realizzato di quella fase storica, significa porsi nella disponibilità ad accogliere prospettive diverse sui fatti che la storiografia ha tramandato e a volte monumentalizzato, ma soprattutto disporsi a leggerli attraverso il suo specifico linguaggio e il problematico rapporto che quello intrattiene con la realtà/verità storica.

Le tantissime iniziative editoriali e i convegni, sollecitati dalla ricorrenza del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia nel 2011, in Italia e all’estero, hanno aperto una fertile prospettiva di interdisciplinarietà che continua a incoraggiare indagini su quell’importante momento storico e sulle narrazioni che ne sono state fatte. I saggi raccolti in questo volume, che offrono analisi di opere lungo un percorso che dall’Ottocento giunge alla contemporaneità, mostrano infatti che è ancora possibile, oltre che utile, tentare altri percorsi, inediti, per comprendere la complessità di quella fase storica e cercare di ricostruire, con le risorse della letteratura, la ricchezza di un Risorgimento ancora inesplorato.

In particolare i contributi presenti in questo volume presentano un dato interessante. Una comune attitudine critica sembra essere ciò che pur nelle differenze sottende la rilettura delle opere esaminate. Il corpo a corpo coi testi, la volontà di aderire ad essi e di leggerli con una prospettiva meno strumentale e deformante possibile, tesa semmai a restituirli alla loro storia, ci dice qualcosa anche rispetto al bisogno di allontanarsi sempre più dalle pregiudiziali ideologiche che hanno appesantito una lettura eccessivamente univoca del nostro Risorgimento.

Ad esempio nei casi in cui gli stessi protagonisti raccontano in “presa diretta” la loro esperienza, la letteratura si mostra capace di mettere in discussione scontate interpretazioni storiografiche e contribuire a suggerire quadri più complessi, che includano ciò che è stato a lungo dimenticato od omesso.

Il bel saggio di Claudio Gigante su Ricciardi, ad esempio ridisegna, grazie alle opere di questo patriota napoletano, un quadro più complesso del processo risorgimentale. Emerge come l’attivismo meridionale abbia avuto un posto di rilievo nella storia della costruzione dello stato unitario grazie al nesso esistente tra «opposizione al regime borbonico e slancio nazionale» fortemente sentito da molti dei suoi protagonisti. Rilevare attraverso la testimonianza di un protagonista il contributo offerto dal Mezzogiorno alla causa comune sposta «verso Sud» la ricostruzione di un Risorgimento esportato e decostruisce il pregiudizio di un Meridione indifferente, ignorante e ostile ai principi di uno stato liberale. Una integrazione importante a quella ricostruzione della storia nazionale che spesso concentra l’attenzione solo alla fase conclusiva di un lungo processo che invece, oltre ad avere lontane radici, ha visto coinvolti molti e diversi attori della cultura meridionale, spesso profondamente consapevoli degli esiti futuri.

In modo diverso anche il saggio di Matteo Di Gesù offre un contributo nel quale evidente è il valore testimoniale della letteratura. Oltre a considerare i testi esaminati come fonte storica per «denunciare» la presenza di un’organizzazione criminale nella società siciliana già negli anni dell’unificazione e dei suoi legami, prima con «i movimenti antiborbonici siciliani», poi «con le classi dirigenti della Nuova Italia», il lavoro svolto, su due opere molto diverse e cronologicamente distanti, mira a verificare in che modo, la controversa vicenda della «partecipazione» della mafia alla rivoluzione garibaldina del 1860, «sia stata raccontata e quali possibili letture ideologiche del Risorgimento siciliano abbia prodotto».

L’allontanamento dalle pregiudiziali ideologiche che hanno appesantito una lettura eccessivamente univoca del nostro Risorgimento si registra anche altrove.

Ad esempio, nel mio saggio su Le Confessioni, romanzo icona del nostro Risorgimento, si coglie come la relazione di sostanziale infedeltà che lo scrittore nella sua ricostruzione intrattiene con la storiografia, tradisca l’esigenza di offrire attraverso la scrittura romanzesca uno spazio di critica e di utopia che ci parla delle aspettative oltre che delle delusioni di Nievo e del suo tempo. Emerge infatti dal testo un orizzonte spirituale da valorizzare per rendere più ricca di sfumature la prospettiva politica del testo, spesso appesantito, insieme a tutta la cultura risorgimentale, da una connotazione troppo marcatamente ideologica.

Oppure si veda il saggio di Gabriele Pedullà che, nel rilevare l’evoluzione delle posizioni politiche verghiane nei confronti del processo risorgimentale, propone una rilettura della novella Libertà come espressione di una riflessione maturata nei confronti dell’idealismo garibaldino e non solo. Eludendo la lettura gramsciana, su cui si è attestata la critica, e ricollocando il testo e le esigenze che esso esprime nel contesto della pubblicistica del tempo, l’analisi condotta consente di ribadire quanto, anche nel caso di Verga, le manipolazioni o le omissioni rispetto ai dati storiografici, mostrano di avere la funzione di testimoniare una prospettiva culturale che fa luce sulle ansie di quel particolare momento storico dove il socialismo con le sue promesse avanzava in Europa.

Nei contributi invece dedicati agli scrittori del nostro Novecento o degli anni Duemila, si registra un maggior interesse verso la riflessione estetica piuttosto che verso quella ideologica. Anche questo è il segnale di un mutamento nell’attitudine critica con cui si guarda oggi alle rappresentazioni letterarie di quel periodo.

La rilettura che del romanzo risorgimentale della Banti propone Hanna Serkowska ad esempio mira a problematizzare il tipo di conoscenza che può scaturire da narrazioni sul tema storico. Il suo contributo apre ad un orizzonte imprevisto alla storiografia, a quelle ipotesi di strade diverse che si sarebbero potute percorrere e che la letteratura può ancora suggerire grazie ad un racconto «contro fattuale» che, come sostiene Jeremy Black, presenta l’opportunità di «una diversa comprensione della storia umana su cui incidono soprattutto l’agentività umana e il caso».

Marco Viscardi, invece, analizzando l’opera di Bianciardi, «controcanto» alla «beatificazione del processo di unificazione nazionale», mostra come nella scrittura letteraria della storia ormai si sia affermato senza più remore la consapevolezza dei labili «confini fra verità effettuale e realtà potenziale» a favore della fantasia e della passione demitizzante della critica. Nelle narrazioni di quest’autore si coglie la volontà di «rivitalizzare il Risorgimento». La sua scrittura, nelle forme dell’ucronia e della controstoria, istaura un nesso tra quella stagione e la resistenza, e in generale la contemporaneità, dove sopravvivono come allora dissidi e contrapposizioni sconfitti ed emarginati. Infine il saggio di Monica Venturini, definisce i romanzi che negli anni Duemila parlano delle vicende insurrezionali risorgimentali e di brigantaggio, tappe di una «riscrittura collettiva» che torna a riflettere su eventi «problematici e irrisolti» della nostra storia. Nei testi presi in esame l’epopea risorgimentale diventa strumento per proporre un’attualizzazione della storia passata, facendo leva su questioni ancora al centro dei nostri interessi, in modo da far dialogare passato e presente, andando oltre la questione del Risorgimento come rivoluzione passiva e tradita.

In che modo la testimonianza letteraria costituisce, oltre che una fonte, una forma specifica di conoscenza?
Senz’altro, alla luce anche delle attuali prospettive della ricerca storiografica e dei cultural studies, le testimonianza che la letteratura consegna di un particolare momento storico offre una straordinaria opportunità, di verificare quanto essa possa essere trattata come fonte per contribuire alla ricostruzione di una storia della cultura in termini di “storia globale”. L’intenzione però sottesa al libro, e al convegno da cui è nato, è stata quella di voler guardare alla testimonianza letteraria non solo come una fonte, utile per una storia della cultura sempre più inclusiva, ma come forma specifica di conoscenza.

La letteratura che racconta la storia non va considerata solo come una risorsa per la storiografia, non integra semplicemente le sue lacune, bensì va vista nella specificità della sua dimensione finzionale, grazie alla quale si può cogliere la possibilità di guardare a quella storia con altra prospettiva, spesso meno preoccupata della fedeltà al dato e più interessata a mostrare il proprio modo di leggere in profondità e criticamente la realtà.

Se, come il dibattito storiografico sembra confermare, attraverso le testimonianze letterarie si può raggiungere una maggiore penetrazione di quanto accadde agli uomini di allora, le cui attese e delusioni non sono diverse da quelle di oggi, allora forse si può, senza troppo imbarazzo, riconoscere alla letteratura lo statuto di un sapere speciale atto a comprendere l’uomo nel suo rapporto con la storia, sociale e politica, che lo circonda, senza per questo usurpare il terreno della storiografia

Da un lato la narrazione letteraria rintraccia ciò che sfugge agli archivi, ciò che non compare nella storia pubblica, dall’altro accade che rappresenti anche ciò che “avrebbe potuto essere”, ma nel far ciò getta luce su qualcosa di profondo. Secondo quanto si legge sin dalla Poetica di Aristotele «Lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere. Perciò la poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia; la poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare» (Aristotele 1964, p. 94). Animato da un proposito più vasto e più filosofico di quanto possa fare uno storico, tradizionalmente attento all’accertamento di “ciò che è stato”, il racconto letterario che nel rappresentare il passato intreccia prove e possibilità, realtà e immaginazione, offre una personale ricerca sull’uomo, la società, la storia.

Per questa ragione si è voluto aprire il volume con il contributo di uno storico, Adriano Roccucci, e di chiuderlo con le riflessioni di una scrittrice, Maria Attanasio. Il primo ha il merito di presentare all’interno di un dibattito ancora vivace una prospettiva “porosa” che, pur riconoscendo le specificità disciplinari, è aperta ad accogliere e valorizzare i contributi che la letteratura può offrire allo sguardo dello storico. L’intervista alla Attanasio, condotta da Margherita Ganeri, mostra come all’interno del laboratorio creativo di una scrittrice la componente della documentazione storiografica, e in generale della cultura storica, interagisca con gli interessi e la tensione conoscitiva che sottende una scrittura concepita come ricerca. Entrambi questi interventi offrono una testimonianza di come, pur nella diversità, la relazione con il passato e la sua rappresentazione imponga una visione problematica del potere di tutti i linguaggi che in quanto tali possono imporre visioni, ma anche aprire prospettive nuove con cui guardare il mondo, passato e presente.

Quali spunti offre il Risorgimento visto dagli scrittori circa il valore della sinergia tra letteratura e storia?
Spesso le narrazioni del nostro Risorgimento, coeve o postume, hanno presentato e presentano il carattere di una controstoria, a volte restituiscono una riscrittura del processo unitario nazionale in un’ottica antirisorgimentale, orientando verso una lettura che ne sottolinei il carattere di “rivoluzione mancata”, oppure che induca ad una riflessione, pure interessante e necessaria, sul concetto di identità e sull’idea di nazione. Sebbene questo sia il tratto che accomuna, con gli opportuni distinguo e specificità, gli esiti delle riflessioni in questo campo, quel che credo sia importante è che, dal panorama offerto dai vari contributi del volume, emerga con chiarezza il valore della letteratura come fonte per una storia della cultura che sappia trasmettere una visione complessa della realtà passata e presente.

Inoltre, mi sembra importante che risulti altrettanto evidente come le testimonianze letterarie oltre a parlarci di quel tempo ci parlano anche di chi lo racconta. Ci offrono occasione di conoscere quell’epoca, ma anche gli uomini che in vari momenti l’hanno letta. Le rappresentazioni letterarie del Risorgimento, come di altri fasi storiche, appaiono sempre delle forme di riscrittura della storia che grazie alle risorse della dimensione finzionale a volte integrano, a volte contestano, la narrazione storiografica, a volte svelano scenari inediti esclusi da quella.

Il Risorgimento visto dagli scrittori, le loro narrazioni, offrono lo spunto per interrogarsi sul valore del rapporto tra letteratura e storia. Un rapporto in cui i due ambiti discorsivi col tempo si sono trasformati, assecondando un rapporto con la realtà divenuto sempre più incerto e problematico.

Ricostruire infatti il mosaico complesso di quella fase culturale attraverso lo sguardo degli scrittori, che da allora non hanno smesso di tornare a riflettere su quel periodo, è un modo per aggiungere fili alla trama di un racconto, la cui natura finzionale ci induce ad interrogarci sul valore conoscitivo della letteratura e sul rapporto che in questi casi essa stabilisce con la “verità” storiografica. Un rapporto di co-dipendenza indubbiamente produttivo, che però va collocato all’interno della dinamica storica. Nel corso del tempo, infatti, non solo ai due ambiti vengono attribuiti valori diversi ma cambia anche la natura del loro rapporto.

La scelta di raccontare la storia ricorrendo alla scrittura letteraria implica sempre una riflessione e una prospettiva con cui si decide di guardare gli eventi narrati. Il valore quindi di scegliere come oggetto di indagine un periodo storico e vedere la trasformazione delle rappresentazioni che ne vengono fatte, al di là dell’aspetto storico documentario, risiede nel mettere a fuoco la riflessione compiuta su quegli eventi, la lettura che se ne è fatta nel corso del tempo e le sue trasformazioni. Questo finisce per fare luce sulla nostra storia culturale, sui suoi processi di cambiamento, compreso il senso e la funzione attribuita alla scrittura letteraria.

Seppure all’interno di mutati orizzonti culturali e temporali e dei diversi dispositivi utilizzati, quel che questo percorso ha fatto emergere, è che la scrittura letteraria che si confronta con la storia sollecita sempre una profonda riflessione su di essa, sull’uomo e sulla responsabilità etica della scrittura. Il Risorgimento è solo stata l’occasione per fare questo viaggio esplorativo.

Roberta Colombi è Professore Associato di Letteratura italiana all’Università “Roma Tre”

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