
Nelle tiepide terre del Sud, il cane Buck, nato dall’incrocio di un sanbernardo con una cagna scozzese da pastore. vive padrone incontrastato della casa € della fattoria del giudice Miller. Ma nell’autunno del 1894, quando la scoperta di giacimenti auriferi nel Klondike trascina verso i geli dell’Alaska uomini da tutte le parti del globo, Buck viene proditoriamente venduto e mandato nel nord. Non più accarezzato e rispettato, in un paese selvaggio e ostile, egli è costretto a piegarsi alla legge primitiva del bastone e della zanna, a sopportare i finimenti, a tirare la slitta del corriere del governo canadese; i suoi muscoli si fan duri come ferro, si risveglia in lui l’istinto primordiale delle antiche generazioni, il suo grido diventa “l’inarticolata voce della lotta per l’esistenza”.
Più triste si fa la sua vita quando passa, con la sua muta, al servizio di tre cercatori d’oro, litigiosi e incapaci che, mossi romanzescamente all’avventura, s’accasciano di fronte alla dura realtà della pista artica. Buck li segue assai malvolentieri, pieno di tristi presentimenti: i tre periscono infatti con gli altri cani in un crepaccio; Buck per caso è salvato da Thornton che diventa da quel momento, per una specie di misteriosa, intima comprensione, il suo amico, il suo amore, il suo dio.
Il sentimento di Buck verso il padrone è pura adorazione: due volte gli salva la vita, infine gli fa vincere 1600 dollari in una scommessa, tirando per cento metri una slitta con un carico di mille libbre. Ma, durante le lunghe peregrinazioni in cui accompagna Thornton alla ricerca d’una miniera abbandonata, Buck sente rinascere in sé, sempre più forte, l’istinto atavico che lo spinge a correre nella foresta, ad avvicinarsi al lupo, “il suo fratello selvatico”. Soltanto l’amore per il padrone lo trattiene tra gli uomini; e quando Thornton viene ucciso da una banda di Indiani, egli corre via a fianco dei selvaggi fratelli, cantando col suo ululato la canzone dei giorni primitivi del mondo.
Il richiamo della foresta è il primo romanzo di Jack London, che in esso rivela la propria fede nell’evoluzionismo biologico e nell’onnipotenza dell’ambiente; ma, nonostante la tesi, il libro è tutto vivo: vivo è Buck, vivi son gli altri cani, con i loro eroismi, le loro ferocie, le loro ambizioni. Non meraviglia che, nell’America del suo tempo, il libro avesse grande fortuna, richiamando gli uomini industrializzati e meccanizzati all’acre profumo selvaggio dell’istinto, alla verità primordiale della natura e della vita.»