“Il programma di stazione spaziale internazionale e la sua regolamentazione. Il caso del «fine vita» tra prospettive de iure condendo e de iure condito” di Marilena Montanari

Il programma di stazione spaziale internazionale e la sua regolamentazione. Il caso del «fine vita» tra prospettive de iure condendo e de iure condito, Marilena MontanariMarilena Montanari, Lei è autrice della monografia Il programma di stazione spaziale internazionale e la sua regolamentazione. Il caso del «fine vita» tra prospettive de iure condendo e de iure condito, edito dalla Lateran University Press: come si manifesta il preoccupante fenomeno dell’inquinamento e deterioramento ambientale nelle orbite terrestri?
Non siamo lontani dalla questione ambientale, così come si pone sul Pianeta Terra: purtroppo ogni processo vitale produce scarti, che sono il risultato di materia prodotta, utilizzata e infine dismessa dall’uomo. Il ciclo che avviene nella realtà terrestre, mutatis mutandis si realizza nello spazio extra-atmosferico, meta di sempre maggiori attività di esplorazione e utilizzazione umana.

L’inquinamento, nel nostro caso, è determinato specialmente dal sovraffollamento delle orbite e alla inalterabilità degli oggetti che vi sono stati lanciati dall’uomo nel corso degli anni.

Tale situazione è vincolata, si capisce, alle azioni di quanti sono abilitati a condurre le attività spaziali. Ebbene: nel passato dette attività sono state condotte da pochi Stati “condottieri”, che detenevano il know-how e le risorse economiche necessarie per lanciare oggetti spaziali. Nel periodo della Guerra Fredda, infatti, le due potenze USA e URSS detenevano e si contendevano il “controllo” dello spazio extra-atmosferico, erano i maggiori attori in tale settore e non vi era rischio di congestionamento della dimensione in cui tali attività umane venivano condotte, perché molto limitate in relazione alla vastità della dimensione.

Tuttavia, oggi assistiamo ad una repentina “democratizzazione” delle attività spaziali, derivante da un più agevole accesso alla dimensione extra-atmosferica tanto da parte di Stati, quanto da parte di privati. Questo fattore -congiunto alla mancata rimozione dei meno recenti oggetti spaziali, ormai in disuso- ha reso la dimensione extra-atmosferica congestionata e sta mettendo a serio repentaglio la prosecuzione futura delle attività spaziali (per lo meno nell’orbita GEO – Geostationary Earth Orbit e nell’orbita LEO – Low Earth Orbit).

Alla luce di questo scenario, entro i fora internazionali di natura tecnica e politica che si occupano di spazio extra-atmosferico, si è resa oggigiorno indispensabile la discussione delle misure volte a rimuovere lo space debris esistente e a mitigarne il futuro prodursi.

In che modo la Comunità internazionale si sta mobilitando per predisporre misure atte a salvaguardare la dimensione extra-atmosferica?
Possiamo declinare il termine salvaguardia in due prospettive: la prima militare, la seconda ecologica.

Sin dalle prime attività spaziali, con il lancio dello Sputnik-1 sovietico nel 1957 e dell’Explorer americano nel 1958, la Comunità internazionale ha seguito con attenzione l’evolversi del fenomeno. La questione, infatti, venne posta quasi immediatamente, nel 1959, entro la sessione annuale dell’Assemblea Generale dal Presidente USA D. D. Eisenhower, che aveva colto sia l’eccezionalità di un evento come il suddetto, sia l’ipotetica pericolosità dello stesso: emergeva infatti l’incubo del posizionamento di armi nello spazio o il posizionamento di satelliti-spia. Si sentiva, quindi, l’esigenza di ribadire che le attività spaziali condotte dovevano essere esclusivamente per scopi pacifici e, nel far questo, si chiedeva l’istituzione di un apposito organo all’interno del sistema delle Nazioni Unite: il c.d. Committee on the Peaceful Uses of Outer Space (COPUOS). Ancor oggi, il COPUOS è il forum di maggior rilievo in cui si discutono questioni relative ai problemi esistenti e potenziali che ineriscono la conduzione delle attività spaziali ad uso civile. Esso opera prevalentemente nei due sub-comitati in cui si articola: lo Scientific and Technical Sub-Committee e il Legal Sub-Committee. Mentre il primo si interroga sulle misure di carattere tecnico, il secondo focalizza la sua attenzione sul grado di implementazione dei trattati internazionali esistenti in materia e sulle legislazioni nazionali spaziali adottate da ciascuno Stato.

Accanto a tali Comitati del sistema ONU, vi sono poi altre associazioni di natura tecnica, primo fra tutti per la seconda prospettiva soprarichiamata è l’Inter-Agency Debris Committee IADC, che dal 1993 si occupa precipuamente della questione del debris, coinvolgendo le agenzie spaziali degli stati più attivi in ambito siderale. Quest’organo ha progressivamente adottato delle linee guida, volte a limitare la problematica dello space debris, contenendone l’insorgere e proponendo concrete azioni di rimozione di quanto è esistente.

Cos’è lo space debris? Cosa prevedono al riguardo le Space Debris Mitigation Guidelines e il progetto di Guidelines for the long-term sustainability of outer space activities?
Con il termine space debris o space junk si individua l’ammasso di detriti o beni inutilizzabili, fluttuanti nelle orbite terrestri. Esso può essere di origine naturale, come nel caso di piccoli pezzi di materiale cometario e asteroidale, oppure di origine artificiale, in quanto creato dall’uomo con materiali resistenti alle condizioni impervie dello spazio siderale.

Nella grande categoria dello space debris artificiale rientrano sia satelliti giunti al termine della loro vita operativa o che non sono mai stati funzionanti, sia stadi di razzi che si sono sganciati dalla capsula spaziale contenente satelliti da posizionare, sia oggetti molto piccoli come bulloni, naselli meccanici, coperture di payloads o gl’innumerevoli frammenti di oggetti generatisi a seguito di collisioni spaziali, di deterioramento di oggetti fluttuanti o di esplosioni nello spazio. Abbiamo quindi tanto un’eziologia diversificata, quanto una classificazione inevitabilmente generica dello space debris.

Una cosa, però, è univocamente certa: negli ultimi anni tali detriti sono aumentati vertiginosamente, divenendo un problema emergente per l’alta probabilità di collisione con satelliti attivi che, a loro volta, producono altra spazzatura contribuendo ad ingenerare il disastroso scenario della c.d. sindrome di Kessler: secondo la quale persino i frammenti più piccoli potrebbero divenire fortemente pericolosi e con un’elevata carica distruttiva, a causa dell’alta velocità orbitale che li trasforma in veri e propri proiettili.

Come dicevo in precedenza, le prime linee guida vennero adottate dallo IADC nel 2002, quale organo tecnico inter-agenziale con il compito di monitorare la spazzatura spaziale esistente e a prevenire il crearsene di altra. Diversamente, le Space Debris Mitigation Guidelines elaborate entro lo Scientific and Technical Sub-Committee del COPUOS vennero approvate nel 2007 in sessione plenaria (nel documento A/62/20) e adottate dall’Assemblea Generale ONU con Risoluzione n. 62/217 del 22 dicembre 2007. Si tratta di norme comportamentali che devono essere adottate tanto nella fase di progettazione di un programma spaziale quanto in quella di esecuzione ed operazione, al fine di prevenire l’insorgere di ulteriori rifiuti che andrebbero ad ammassarsi al debris esistente.

Il progetto di Guidelines for the long-term sustainability of outer space activities, invece, si pone un obiettivo di più ampio respiro, di cui la mitigazione e la rimozione dei detriti spaziali è solamente un singolo aspetto. Si tratta, infatti, di linee guida volte a promuovere la sostenibilità delle attività spaziali, ribadendo come esse debbano essere condotte nel rispetto dell’ambiente extra-atmosferico, nonché esser tali da non precludere la conduzione di ulteriori attività nel futuro. Tali concetti richiamano fortemente l’idea di sviluppo sostenibile che è stata introdotta con la Conferenza mondiale Rio +20 e che ha portato, dalla predisposizione prima degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e poi degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, questi ultimi contenuti nell’Agenda 2030 ONU.

In sintesi possiamo affermare che il COPUOS abbia effettivamente considerato molteplici aspetti della sostenibilità di lungo periodo delle attività spaziali e che il Sub-Comitato tecnico scientifico abbia iniziato a lavorare sulla questione già a partire dal 2010. A tal riguardo è da segnalare la creazione di un gruppo di lavoro incaricato a predisporre il progetto di linee guida che ha individuato, tra le aree tematiche di riferimento, quella dell’utilizzo sostenibile dello spazio a supporto dello sviluppo sostenibile della Terra, lo space debris, la space situational awareness, il clima spaziale, i regimi di regolazione e normativi degli attori operanti nell’arena spaziale. Ma, ad oggi, il Sub-Comitato sta ancora lavorando sul progetto di articoli, perché non è stato ancora raggiunto il consensus generale sul documento.

Il Suo studio si interroga sul fine-vita del più imponente oggetto spaziale ad oggi esistente, la Stazione Spaziale Internazionale: quali orientamenti de iure condendo delinea nella sua opera?
Ad oggi l’immaginario comune è che la Stazione Spaziale Internazionale sia il più grande laboratorio orbitante esistente che verrà utilizzato ancora a lungo ed in parte è vero; esso, però, non perde la sua natura di manufatto artificiale che, in quanto tale, è soggetto ad avaria e deterioramento: dovrà pertanto essere, prima o poi, rimosso. Ciò nonostante, gli Stati coinvolti nel progetto non sono ancora riusciti ad accordarsi su un programma di rimozione della struttura orbitante, nel momento in cui essa diverrà inattiva; la reticenza anche nell’intavolare tale tematica è, d’altro canto, comprensibile perché si presenta non poco angariata. Ciononostante nella monografia ho inteso prospettare, prendendo a riferimento quanto avvenuto in precedenza in altri programmi spaziali, quali potranno essere le soluzioni adottate dalla partnership, riflettendo sulle conseguenze giuridiche che potrebbero derivare dalla rimozione di un oggetto così imponente, ma che si presenta, in realtà, come un agglomerato di oggetti. Circa gli orientamenti concreti che ho individuato, però, mi riservo di non anticipare nulla, mutuando dal linguaggio cinematografico il principio “no spoiler”; rimando, piuttosto, alla lettura del testo quanti fossero interessati a cogliere maggiori dettagli sia tecnici che giuridici di quanto ho appena delineato. Ad Astra!

Marilena Montanari è Ricercatrice a contratto presso il Dipartimento di studi sulla Comunità internazionale dell’Institutum Utriusque Iuris della Pontificia Università Lateranense di Roma

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