
Nella Vita nova il poeta fiorentino narra la vicenda del suo amore per Beatrice: quale evoluzione ne accompagna il racconto?
Il percorso evolutivo relativo al protagonista coinvolge vari piani del racconto. Alla storia di amore, morte e assunzione al cielo incentrata sulla figura di Beatrice s’intreccia quella dell’enuclearsi di una nuova poetica, che coincide con lo sviluppo di una più moderna concezione dell’amore: non quella di marca feudale dei trovatori e dei poeti siciliani già recepita nella Toscana prestilnovista, per cui la donna amata era tenuta a ricompensare l’amante che la serviva lealmente, sulla falsariga del rapporto fra signore e vassallo, ma un sentimento – se vogliamo più democratico – che lungi dall’implicare un meccanismo così rigido e schematico prevede che l’innamorato si appaghi solo dell’ammirazione e della conseguente esaltazione tributate alla donna stessa. Parallelamente scorre anche la sublimazione della passione che dall’amore sensuale e concupiscente dei primi paragrafi del racconto diviene infine un amore tutto spirituale, che persiste anche dopo il passaggio di Beatrice a miglior vita, perché non più rivolto alla sua bellezza terrena ma a quella della sua anima, ormai assunta in paradiso, in cui si specchia la suprema bellezza divina. L’approdo del racconto, che Petrarca terrà ben presente per l’organizzazione del suo Canzoniere, mirava anche a conciliare l’esperienza amorosa e la poesia erotica con la dottrina cristiana, secondo la quale l’unico amore lecito sarebbe stato quello coniugale. Un amore solo spirituale, deprivato della sua componente sensuale e come tale peccaminosa, risolveva una contraddizione altrimenti insanabile agli occhi di chi ambiva ad essere un poeta cristiano, se non addirittura il poeta per eccellenza della cristianità.
In che modo è possibile rinvenire nell’opera i fondamenti teorici dello stilnovo?
L’episodio centrale della Vita nova, prima della morte di Beatrice, è costituito dall’invenzione, allora sensazionale, di quello che Dante chiama nel prosimetro “stilo della lode” e che poi, nel ventiquattresimo canto del Purgatorio, durante l’incontro con l’anima di Bonagiunta Orbicciani, ribattezzerà “dolce stil novo”, con formula che gli storici della letteratura, a partire da De Sanctis, avrebbero promosso a categoria storiografica appunto. Quando una donna fiorentina non meglio precisata gli domanda perché lui insista ad amare una fanciulla che gli ha persino negato il saluto, Dante personaggio risponde che il suo è un amore di nuovissimo conio, il quale non pretende di essere ricambiato ma si accontenta di poter pronunciare l’elogio della bellezza della donna amata. I fondamenti teorici e programmatici dello stilnovismo vengono posti proprio qui. La scelta di un lessico soave, fatto spesso di diminutivi, ne è una conseguenza, cui gli amici di Dante, specie Guido Cavalcanti e Cino da Pistoia, aderiranno con modalità ben diverse l’uno dall’altro. Senza la Vita nova del resto non si capirebbe fino in fondo il ruolo di vero e proprio caposcuola esercitato sulla cerchia dei suoi amici fiorentini dal giovane Dante. Né si comprenderebbe come lo stesso viaggio visionario che, attraverso il peccato e l’espiazione, lo porta fino a Dio sia preparato dalla spiritualizzazione dell’amore profano realizzata nel racconto della Vita nova.
Come si sviluppa lo schema narrativo della Vita nova?
La caratteristica immediatamente evidente del testo è quella di essere composto da prose e rime che si alternano le une alle altre. Era una novità eclatante nell’ambito della letteratura in lingua materna, anche se da questo punto di vista Dante aveva alle spalle una lunga tradizione di prosimetri latini tardoantichi e medievali che andava da Boezio ad Alano da Lilla, autori entrambi a lui molto cari. La scommessa di Dante era quella di riuscire a coordinare una serie non tanto breve di liriche in modo che raccontassero una storia ad alto tasso di autobiografismo e tuttavia in cui si potesse riconoscere una valenza universale. Per realizzare tale intento egli dovette ricorrere al tessuto connettivo della prosa sul modello boeziano. Su tale base strutturale e stilistica si dipana un racconto che accoglie vari luoghi comuni della lirica cortese, specie nel segmento iniziale: dal sogno del cuore dell’innamorato che Amore in persona dà in pasto all’amata fino alla necessità di salvaguardare il vero amore nascondendolo ad occhi indiscreti con lo stratagemma di fingere di amare un’altra donna (le cosiddette donne dello schermo che il protagonista fa mostra di corteggiare per distogliere ogni sospetto da Beatrice). Ognuna di queste scene, a cominciare dal colpo di fulmine puerile, mira a configurare l’amore di Dante per la giovane Portinari come un sentimento di intensità straordinaria, esclusivo e totalizzante, e perciò stesso destinato ad un esito soprannaturale, quindi glorioso. Il racconto procede attraverso alcuni snodi fondamentali, il primo dei quali è costituito dalla negazione del saluto da parte di Beatrice sdegnata verso Dante perché, a suo giudizio, ha trasgredito il codice d’onore cortese rivolgendo alla seconda donna schermo attenzioni troppo vistose. Ne consegue, come detto, la dichiarazione dello stile della lode o stilnovo. Poi il tema fondamentale della morte – introdotto fin dall’inizio con il resoconto del trapasso di una non meglio identificata amica di Beatrice e ripreso poi con quello della morte del padre di Beatrice stessa – apre alla svolta finale, con la dipartita di lei che prelude alla metamorfosi della passione in amore spirituale. A sottolineare questo passaggio decisivo Dante introduce abilmente, prima di chiudere, l’episodio del traviamento per cui il protagonista afflitto dalla perdita dell’amata si lascia andare ad un nuovo intenerimento per una giovane che guardandolo dalla finestra lo compatisce. Il montaggio, che rifletta un fatto di vita vissuta o no, serve difatti ad enfatizzare la scena finale con il ritorno definitivo a Beatrice e l’apoteosi della sua anima che appare agli occhi del protagonista collocata nell’Empireo.
Che rapporto intrattiene il testo con la Commedia?
Ho già detto che il prosimetro giovanile costituisce l’antefatto narrativo imprescindibile del poema della maturità, ma ardirei dire di più. Sono convinto che, nonostante il diverso statuto formale delle due opere, Dante le abbia concepite, sia pure a distanza di qualche tempo l’una dall’altra, come due valve di un vero e proprio dittico poetico e narrativo. La lettura antologica che la scuola inevitabilmente ci propone ha finito per far perdere di vista questa contiguità. Eppure se si leggono di seguito i due testi essi rivelano di essere palesemente due momenti successivi di un unico racconto, tanto che la scena finale della Vita nova con l’anima di Beatrice nell’alto dei cieli si mostra quasi come l’addentellato lasciato alla fine del prosimetro per l’attacco del poema che in qualche misura ne continua il racconto. Aggiungerei che Vita nova e Commedia, se letti di seguito l’una all’altra appunto, ricompongono la storia di un poeta innamorato di una giovane donna che muore, sicché lui va nell’aldilà a ritrovarla, evidentemente concepita sulla falsariga del grande mito di Orfeo ed Euridice. Naturalmente rispetto alla favola antica il racconto dantesco si carica di valenze dottrinali forti, per cui il viaggio nell’oltremondo a rivedere Beatrice diventa un percorso catartico dell’anima che riporterà sulla terra un messaggio di salvezza cristiana. Ma la presenza in filigrana è manifesta, tanto che a ben vedere il personaggio Dante si presenta come una sorta di Orfeo cristianizzato, il quale allineandosi ai comandamenti di Dio si sottrae al fallimento: a differenza dell’Orfeo classico, trasgressore dei precetti degli dèi inferi – cioè del monito di non voltarsi a guardare Euridice finché non fossero entrambi fuori dall’Averno – e perciò destinato non a un esito glorioso bensì allo scacco di riperdere l’amata risucchiata per sempre nella morte.
Quale interpretazione è dunque possibile fornire del capolavoro giovanile di Dante?
Si tratta di un testo che, pur scritto alla fine del secolo XIII e immerso nella cultura della sua epoca, ha in sé una grande modernità, tanto che ha fruito di un rilancio in grande stile da parte dei preraffaelliti e nella cultura anglosassone dell’Ottocento in genere. La sua funzione, per così dire, di innesco del poema ultraterreno certo non esaurisce le potenzialità del testo, che sono quelle di una storia d’amore la quale vuole proporsi come esemplare per il superamento della mentalità cortese e per l’approdo alla proposta di un amore disinteressato, dunque idealizzato. Per comprenderne appieno il valore bisogna procedere oltre la percezione comune di una collezione di singoli momenti poetici, alcuni dei quali altissimi e memorabili (chi non ha in mente il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare?). Nella Vita nova Dante faceva le prime prove di quella intrinsecità fra poesia e narrazione che sarà costitutiva del poema sacro. Egli esordiva così sulla scena letteraria italiana con un libro complesso sia sul piano formale che su quello dei contenuti, presentato al pubblico come un ritratto dell’artista a giovane e della sua infelicità terrena che avrebbe potuto trovare riscatto solo in cielo e grazie al sostegno della grazia divina.
Stefano Carrai è Professore Ordinario di Letteratura Italiana presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha fornito una sistemazione storiografica della poesia toscana duecentesca (La lirica toscana del Duecento, Laterza, 1997) e si è occupato ripetutamente di Dante, (Dante elegiaco, Olschki, 2006; Dante e l’antico, Edizioni del Galluzzo-SISMEL, 2012), di cui ha anche curato una edizione della Vita nova (Milano, Rizzoli, 2009). Su Boccaccio ha pubblicato il volumetto Boccaccio e i volgarizzamenti (Antenore, 2016). Altri studi sulla lirica rinascimentale sono raccolti nei volumi I precetti di Parnaso (Bulzoni, 1999) e L’usignolo di Bembo (Carocci, 2006). Si è occupato anche di autori della modernità: Svevo, su cui ha pubblicato il volume Il caso clinico di Zeno e altri studi di filologia e critica sveviana (Pacini, 2010), e Saba, cui ha dedicato una monografia (Salerno, 2017). Ha scritto inoltre un libro sul tema dell’invocazione al Sonno nella lirica italiana (Ad Somnum, Antenore, 1990).