
Con la medesima leggerezza del romanzo di esordio, lo scrittore invita di nuovo il lettore a godere dei semplici piaceri della quotidianità, esemplificati dal rito del caffè.
In una piccola caffetteria nel cuore del Giappone si serve un caffè molto particolare: il suo aroma, infatti, è in grado di far evocare a chi lo gusta emozioni del passato, spesso dimenticate, oppure che non si è stati in grado di affrontare.
Per poter godere di questa magia è necessario rispettare alcune regole. Prima di tutto il caffè va gustato con calma, un sorso dopo l’altro, seduti a uno specifico tavolino del locale. Proprio come spiegato in “Finché il caffè è caldo”, il caffè non si deve, per nessuna ragione, raffreddare: “Gira voce che cose inimmaginabili accadano a chi lascia anche una sola goccia, gelata, nella tazza.” Inoltre i viaggiatori nel tempo possono incontrare nel passato solo persone che sono entrate in quello stesso locale. Infine, “una volta tornati nel passato, non si può fare niente per cambiare il presente”.
Regole così stringenti hanno scoraggiato i più. Dopo averle ascoltate, “molti avevano deciso di andarsene via subito. Alcuni non avevano mai pensato seriamente di viaggiare nel passato. Altri sostenevano con rabbia che era solo una bufala e che tutte quelle regole irritanti dovevano essere semplicemente una copertura per nascondere che i viaggi nel tempo erano una solenne bugia. In parte, queste reazioni erano un modo per tirarsi indietro salvando la faccia”.
Solo alcuni dei clienti della caffetteria sono tanto coraggiosi da volersi davvero calare nelle emozioni del passato, con il rischio di ritrovare anche sofferenza e tristezza. A ognuno dei personaggi che si cimentano con questo viaggio è dedicato un capitolo del libro, che dunque appare composto da quattro differenti racconti, tra loro legati, ma singolarmente godibili: “La figlia”, “Il comico, “La sorella minore” e “L’uomo che non sapeva dire «ti amo»”.
La figlia del primo capitolo è la ventenne Yayoi Seto; nonostante la giovane età, la ragazza non riesce ad essere felice. Da piccola ha infatti perso entrambi i genitori in un incidente finendo poi sballottata presso diversi parenti, senza poter mai contare sull’affetto di nessuno. Yayoi desidera dunque ritornare nel passato per poter rivedere suo padre e sua madre, che per una strana coincidenza erano stati avventori di quella stessa caffetteria, pur sapendo che non potrà in alcun modo evitare che l’incidente accada.
C’è poi Todoroki, che nonostante una vita apparentemente riuscita e la brillante carriera, non è in grado di essere felice, forse perché per dedicarsi a raggiungere il successo professionale ha trascurato di apprezzare appieno i semplici piaceri quotidiani dell’esistenza.
Reiko invece, protagonista del terzo capitolo, risente di incomprensioni mai appianate con la sorella, a cui pure è legata da un profondo amore, che la fanno vivere oppressa dal senso di colpa.
Infine, l’uomo incapace di dire “ti amo”, a cui è dedicato l’ultimo capitolo, è Reiji, che dovrà imparare a comprendere e a esprimere i propri sentimenti.
Ogni cliente della caffetteria ha dunque una ragione diversa per voler tornare nel passato, ma a ciascuno di loro il magico viaggio servirà per poter meglio comprendere se stessi. È Kazu, la cameriera della caffetteria, guidarli nel viaggio nel tempo, ricordando loro le regole: “Questa caffetteria risale alla fine del Novecento. Anche allora si poteva viaggiare nel tempo, ma nessuno sa perché si possa fare, ne´ quale sia il senso di tutte queste regole così irritanti”. L’unica cosa certa è che debbono essere scrupolosamente rispettate
Analogamente a quanto accade alle protagoniste di “Finché il caffè è caldo”, anche qui il primo impulso dei personaggi sarebbe quello di cercare di modificare il passato, come unico mezzo per poter vivere meglio nel presente. Ma modificare ciò che è stato non soltanto non è possibile, ma anzi sarebbe sbagliato: di nuovo lo scrittore desidera aiutare i suoi lettori a comprendere che non bisogna tentare di cancellare ciò che è accaduto, ma bisogna imparare dai propri errori, dalla propria esperienza, comprendendo così come vivere meglio il presente e il futuro.
“Penso che sia troppo difficile rassegnarci all’idea che il passato non possa cambiare”, dice lo scrittore in un’intervista, “Ma credo che l’intervento e l’aiuto di altre persone nella nostra vita siano la chiave per superare i nostri rimpianti”.
Come nel caso dei suoi precedenti romanzi, anche “Il primo caffè della giornata” parla di morte, perdita e rimpianti ma, anche se gli argomenti possono apparire tristi, è con leggerezza che vengono affrontati e spesso i racconti dei personaggi strappano un sorriso. Più che concentrarsi su quanto sia drammatico non poter riavere indietro il proprio passato, né poterlo modificare, lo scrittore propone ai lettori un viaggio nei sentimenti, spesso tenuti nascosti: “I veri sentimenti della gente non sono in bella vista. Magari l’altro non sta pensando un bel niente, ma tendiamo a immaginare quello che sta provando senza neanche prenderci il disturbo di chiedere.”. Al contrario, la magia della caffetteria è proprio quella di permettere ai suoi avventori di riappropriarsi dei propri sentimenti e, imparando a condividerli con gli altri, poterli meglio comprendere.
Silvia Maina