“Il prezzo della democrazia. Soldi, potere e rappresentanza” di Julia Cagé

Il prezzo della democrazia. Soldi, potere e rappresentanza, Julia CagéIl prezzo della democrazia. Soldi, potere e rappresentanza
di Julia Cagé
traduzione di Stefano Travagli
Baldini+Castoldi

«In questo libro racconterò i tentativi – spesso vani, ma sempre istruttivi – di regolare i rapporti tra denaro e democrazia, e soprattutto tenterò di trarne delle conclusioni per il futuro. Partirò dal presupposto che è possibile cambiare le cose, a condizione che ognuno sia consapevole dei termini essenziali del dibattito, il che implica di entrare nei «dettagli» delle legislazioni e delle esperienze dei diversi Paesi.

Infatti, non è tutto nero; soprattutto su questa sponda dell’Atlantico, dove l’attaccamento a un certo ideale democratico ed egualitario resta forte. Le donazioni ai partiti e alle campagne elettorali, per esempio, sono rigidamente regolamentate in Francia e in Belgio sin dall’inizio degli anni Novanta. Cosa che limita di fatto il potere dei più ricchi. Anche in Italia e in Spagna esistono delle limitazioni, sebbene l’importo massimo sia più elevato. E in altri Paesi, come la Germania e il Regno Unito, dove non esistono regole di questo tipo, negli ultimi anni sono stati compiuti notevoli sforzi in direzione della trasparenza, per ridurre i rischi di cooptazione del personale politico da parte degli interessi privati. L’esistenza stessa di un sistema di finanziamento pubblico della democrazia – sistema che ha impiegato moltissimo tempo a instaurarsi, e sui fondamenti filosofici e politici del quale, oltre che sul suo corretto funzionamento, forse non si è mai sufficientemente riflettuto e discusso – è una cosa eccellente, malgrado tutti i difetti che presenta e le riforme necessarie.

Cosa possiamo constatare? Da un lato, la rimessa in discussione in sempre più Paesi del tetto massimo alle donazioni private in nome della sacrosanta «libertà d’espressione», divenuta su questo terreno il bastione dei conservatori desiderosi di conservare a ogni costo i loro privilegi finanziari; dall’altro, cosa ancora più inquietante, la rimessa in discussione dei sistemi di finanziamento pubblico della vita politica. La conseguenza della sensazione condivisa – peraltro corrispondente alla realtà – che la democrazia elettorale sia ostaggio di una minoranza è troppo spesso il rifiuto della democrazia stessa. In tutte le sue forme. Negli Stati Uniti, dove è ormai consolidato il fatto che gli uomini politici rispondono esclusivamente alle preferenze dei più ricchi, non soltanto i cittadini non vanno più a votare, ma la stragrande maggioranza trova inaccettabile che i soldi delle loro tasse possano finanziare le elezioni.1

Le presidenziali del 2016, che hanno visto la vittoria di […] Donald Trump, hanno segnato ufficialmente la fine del finanziamento pubblico della democrazia nazionale negli Stati Uniti; finanziamento che era stato istituito più di quarant’anni fa. Anche in Francia, l’aumento dell’astensione sembra testimoniare che stiamo di fatto imboccando la stessa strada. Stiamo assistendo, in un certo senso, alla sconfitta della rappresentanza.

In Italia, fin dalla sua nascita, il Movimento 5 Stelle ha fatto dell’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti uno dei suoi principali cavalli di battaglia. Ha vinto facilmente su questo terreno: la legge che ha vietato i finanziamenti diretti è stata approvata nel 2014, e gli ultimi finanziamenti sono stati erogati nel 2017. Le elezioni politiche del 2018, che hanno visto la vittoria travolgente dei partiti populisti di destra e di sinistra, sono state le prime in Italia negli ultimi quarant’anni a svolgersi senza il rimborso delle spese elettorali. […]

Ovviamente, non possiamo ridurre l’avanzata dei populismi al fatto che la democrazia elettorale è ostaggio del denaro e degli interessi privati. Non possiamo ridurla a questo, ma possiamo interrogarci. Possiamo interrogarci, per esempio, sui 37 milioni di euro10 spesi nel Regno Unito per il referendum più costoso nella storia del Paese: quello sulla Brexit. […]

Il costo della democrazia non è necessariamente alto in assoluto: in Francia, gli undici candidati alle presidenziali del 2017 hanno speso complessivamente 74 milioni di euro, ovvero meno di 1,50 euro per francese adulto. Nulla ci obbliga a seguire l’esempio americano e a lasciare che le spese dei candidati superino il miliardo di euro. Ma se questo costo – per quanto ragionevole – è ripartito in modo diseguale, e in particolare se una manciata di ricchi donatori privati finanzia il grosso delle campagne e del funzionamento dei partiti politici, allora è l’intero sistema a essere minacciato. […] La storia ci insegna che potremo fermare gli eccessi dei finanziamenti privati della democrazia solo limitando tali finanziamenti per legge e sostituendoli con un importante sistema di sovvenzioni pubbliche.»

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1 Negli Stati Uniti, non soltanto la partecipazione elettorale è molto bassa, ma la minoranza dei cittadini che si reca alle urne è poco rappresentativa dell’insieme del corpo elettorale. Questa scarsa partecipazione porta automaticamente a un deficit di rappresentanza. L’astensione avvantaggia largamente il Partito repubblicano. Secondo Benjamin Page e Martin Gilens, che utilizzano dati di sondaggi a partire dall’inizio degli anni 2000, tra gli astensionisti i democratici sono presenti in misura maggiore rispetto ai repubblicani con uno scarto di circa 16 punti percentuali.

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