
A Suo avviso, si arriverà mai al sacerdozio femminile nella Chiesa Cattolica?
Penso di sì, nella misura in cui il sacerdozio dei fedeli non sarà visto più di secondo ordine rispetto a quello ministeriale e la sessualità femminile non sarà più considerata un impedimento per la presidenza nella liturgia. L’esclusione delle donne è stata determinata da motivi di carattere antropologico (la donna è stata considerata per natura inferiore all’uomo) e giuridico (la donna era sottomessa all’uomo e bisognosa di tutela) legati a contesti culturali che oggi risultano superati. Inoltre, si arriverà ad accettare il ministero femminile nella misura in cui il clero sarà educato ad ascoltare le donne, apprezzandone la presenza e condividendo con loro spazi di gestione ecclesiale. Un lento processo di declericalizzazione, così come auspica lo stesso papa Francesco, non potrà che favorire una sempre più ampia partecipazione responsabile dei laici e delle donne.
Papa Francesco parla di una Chiesa a due dimensioni: petrina e mariana. In cosa si identifica, a Suo avviso, questa dimensione?
Tradizionalmente quando si usa fare questa distinzione tra “petrino” e “mariano” si intende attribuire alla parte maschile della Chiesa un ruolo di guida e di autorità e a quella femminile una funzione di accoglienza e di cura della vita. Questa distinzione così netta tra maschile e femminile può generare molti equivoci se rinchiude le due polarità sessuali in ruoli codificati. Maria è modello anche per gli uomini, che sono chiamati ad essere accoglienti e a prendersi cura della vita. E Maria non è solo icona di silenziosa disponibilità, ma rappresenta la Madre che guida e governa la Chiesa. L’autorità non può essere appannaggio del solo maschio. L’esperienza dei nostri giorni che ha avuto modo di verificare la capacità delle donne di esercitare potere (regine, prime ministre, leader aziendali, vescove e pastore nelle chiese riformate, superiore di congregazioni religiose) e la cultura delle pari opportunità e dei diritti universali spinge verso una uguale compartecipazione tra uomini e donne dei ruoli gestionali.
Sempre nel Suo libro, Lei affronta il tema del celibato ecclesiastico: qual è l’evoluzione storica di questo istituto e quali le radici?
Il celibato ecclesiastico, non richiesto come obbligatorio per i presbiteri fin dai tempi apostolici, ha avuto un andamento vario nelle singole chiese, diventando legge per la chiesa cattolica di rito latino dal 1135 sia per preservare il clero da rapporti sessuali che potevano pregiudicare la purezza richiesta per l’esercizio del ministero, sia per difendere i beni della chiesa che, inalienabili, non dovevano disperdersi con la discendenza di figli legittimi. La legge ha favorito l’affermazione di una concezione negativa della donna e della sessualità e spinto verso la clandestinità rapporti affettivi vissuti nell’ipocrisia e nel nascondimento. Oggi da più parti si chiede una revisione di questa legge, e la presenza del movimento dei preti sposati spinge affinché nella chiesa non ci sia incompatibilità tra matrimonio e ministero sacerdotale, considerando positivamente la presenza della donna nella vita del prete.
Tra le figure femminili che hanno esercitato il potere da Lei descritte, quali ritiene profetiche in una prospettiva di maggiore inclusione femminile nell’amministrazione della Chiesa?
Le donne che io richiamo in questo libro sono tante e dalle molteplici caratteristiche. Dalle eroine bibliche, come Giuditta o Ester, che con la loro astuzia mettono in scacco il potere degli uomini per salvare il popolo, alle badesse medievali che hanno governato con fermezza comunità e territori; dalle carismatiche, come Caterina da Siena, che sono intervenute con autorità per spingere verso l’attuazione di una riforma della chiesa, alle mistiche, come Teresa d’Avila, vere e proprie maestre di vita che hanno espresso modalità di magistero femminile; dalle fondatrici di comunità religiose che hanno guidato con fermezza comunità affinché rispondessero alle esigenze dei tempi con opere concrete di presenza sui territori, alle missionarie impegnate con scelte ardite nell’evangelizzazione. Tutti questi ruoli possono essere oggi ancora vivi e attuali, ma necessitano coraggio da parte delle donne e disponibilità di ascolto e di accettazione da parte degli uomini. Forse l’esperienza di religiose e di laiche impegnate anche attualmente nei tanti difficili campi delle missioni e dei servizi di assistenza materiale e spirituale (per poveri, immigrati, giovani in difficoltà, donne maltrattate, anziani, malati ecc.) può essere indicativa per un coinvolgimento maggiore delle donne nei Dicasteri della curia romana, cioè ai vertici della Chiesa.