
Il sistema attuale è disegnato a misura di macchine, più che di esseri umani: il ritmo frenetico indotto dallo stile di vita attuale non ci è connaturato. E infatti ci causa stress eccessivo e inutile, malumore, agitazione, nervosismo. Il peggio è che non ci lascia l’opportunità di scoprire e attivare quelle potenzialità intangibili indispensabili nello svolgimento di quei compiti che richiedono anche creatività, intuizione, intelligenza emotiva, ispirazione, competenze non richiamabili con la forza, né in velocità.
Ritrovare e valorizzare la nostra peculiarità organicità, il fatto di avere un corpo e di non essere fatti di ingranaggi, di imparare il linguaggio delle emozioni, di padroneggiare le molteplici funzioni della nostra mente e di mettere in campo la nostra volontà potenzialmente libera, ci consente di attivare risorse… che nessuna macchina può vantare! Ritrovare la connessione con chi siamo davvero, senz’ombra di dubbio, ci aiuta a vivere una vita di maggior qualità.
Quali conseguenze può portare la mancanza di riposo?
Oggi sono numerosissimi gli studi nell’ambito delle neuroscienze – alcuni sono citati e documentati nel libro – che dimostrano che, mentre noi riposiamo, di fatto si attivano diverse funzioni nel nostro cervello che svolgono compiti indispensabili al corretto funzionamento, sia del nostro organismo, sia della nostra mente. Un esempio riportato da un ricercatore è quello di un ristorante con grande afflusso di pubblico che, periodicamente, deve necessariamente chiudere i battenti per poter mettere tutte le sedie sul tavolo e ripulire a fondo il locale. Senza questa attività, le conseguenze sono facilmente immaginabili, in termini di cattivi odori, di ambiente sgradevole, insalubre e di progressiva perdita di funzionalità. È interessante notare come, quando esauriamo le forze, l’interruttore non si spegne all’improvviso, sono singole cellule neuronali che vanno in ‘sciopero’, questo fa sì che noi abbiamo l’impressione di continuare a performare correttamente ma di fatto ci sono gruppi cellule che, per sovraccarico di attività, smettono di funzionare; quindi, di fatto, non abbiamo il 100% delle nostre risorse disponibili ma una quantità inferiore. Questo porta, prima di tutto, a un margine di errore molto alto in situazioni di stanchezza. Non mancano casistiche che confermano che non solo nel caso di piloti, chirurghi, manovratori di macchinari industriali, ma anche nella quotidianità casalinga o davanti a una pratica di ufficio, quando si è stanchi si fanno errori che possono portare a conseguenze pesanti. La mancanza di riposo, inoltre, deteriora il nostro organismo; senza lo spazio per l’indispensabile momento di recupero non è possibile il ripristino della normale funzionalità, con conseguenze non immediatamente identificabili ma, più a lungo termine, evidenti.
Le conseguenze possono essere fisiche ma anche psicologiche, quindi insofferenza, intolleranza, malumore, ansia, fino ad attacchi di panico dovuti semplicemente a eccessivo stress. Una volta era in auge il termine ‘esaurimento’ e la cura era una sola: il riposo. Oggi questa parola sembra essere uscito dal vocabolario ma non per questo il troppo lavoro ha smesso di mietere vittime.
In che modo è possibile sottrarsi al vortice delle cose da fare?
Fermandosi, naturalmente. Fermandosi e prendendosi degli spazi e dei tempi per sé, per fare ciò che piace, per fare qualcosa che fa bene, per fare qualcosa che diverte, che faccia sorridere, anche se non serve a nulla. Guardare le nuvole, chiacchierare di inezie, passeggiare senza meta, soffermarsi ad ascoltare il canto di un merlo, a notare le sfumature di colori dei fiori che crescono sul bordo di un marciapiede… tutto quello che ci aiuta a fermarci un attimo e a distogliere l’attenzione ossessiva da ciò che stiamo facendo, ci fa bene. Uscire a prendere una boccata d’aria, sgranchirsi le gambe, emozionarsi per il racconto che un collega ci sta facendo di un suo vissuto personale, sono tutte pause funzionali al nostro benessere. Riposo, etimologicamente, viene dal latino tardo repausare ‘fermarsi e fermarsi ancora’: grazie a piccole pause noi possiamo tollerare uno sforzo per un tempo molto più lungo. Sì, ma “come si fa a fermarsi?”, giustamente lei mi chiede. Dandosi l’intenzione di farlo prima di tutto. E poi, prendendo appuntamento con se stessi in agenda e onorandolo. Mettendoci nell’ordine di idee di poter e dover inserire quotidianamente dei tempi degli spazi interamente dedicati a sé.
Quali esercizi pratici possono aiutarci nella pratica del riposo?
La meditazione camminata, per cominciare. Con l’invito a tenersi aperti ai messaggi da tutti i cinque sensi, osservando i dettagli, permettendo all’attenzione di focalizzarsi sull’istante presente e lasciando scorrere via i pensieri.
La centratura, che ottiene lo stesso effetto portando però l’attenzione all’interno, soffermandosi sulla profondità e sul ritmo del respiro, sui messaggi che provengono dal corpo, sulle diverse sfumature di emozioni presenti, e sui diversi pensieri che si affacciano alla mente, identificandoli e poi lasciandoli andare. Questa attenzione porta necessariamente al cosiddetto “centro”, a una più profonda connessione con se stessi, e da questo punto interno ci si può chiedere “che cosa voglio per me in questo momento?”.
Un’altra pratica, più tradizionale, che ultimamente viene molto valorizzata, è quella della pennichella: 20 minuti dopo un pranzo sono l’ideale per un riposo profondo e per una ripresa ottimale dell’attività lavorativa. Quando 20 minuti non sono possibili, bastano anche pochi minuti di centratura occhi chiusi.
Da non sottovalutare anche l’ascolto della musica, ognuno deve trovare quella più rilassante per sé, e il contatto con la natura. Naturalmente, con il telefono silenziato o, meglio ancora, in modalità aereo.
Come il Suo libro si ricollega alle tesi del decluttering?
Liberarsi dal superfluo, non sprecare; una nuova moda che non poteva non nascere in una società consumistica in cui si accumulano valanghe di oggetti inutili. Il significato di decluttering diventa anche più profondo quando coinvolge il piano interiore, diventa un “andare all’essenziale”, vuol dire chiedermi “chi sono davvero?” e “che cosa mi piace davvero?”. Quindi vuol dire liberarmi dal gioco di un dover agire sempre compulsivamente per obiettivi, la maggior parte delle volte, determinati dall’esterno. Nel riposo è più facile sentire le risposte, che già sono dentro di noi, ma che hanno bisogno di un momento di calma e di silenzio per potersi manifestare e per poter essere ascoltate.
Il libro parla anche della mindfulness, la capacità di essere centrati sul qui e ora e su ciò che ci circonda, e di come questa pratica diventa importante per stare bene con se stessi e con gli altri. Il tema del riposo, che sembra solo una questione superficiale e marginale, si rivela invece fondamentale e diventa anche un’occasione di riflessione molto profonda sul senso della vita e su come viverla al meglio. Con tanti piccoli e semplici esercizi pratici che ci permettono di fare qualche passo in avanti in questa direzione.
Marcella Danon è psicologa e giornalista. Lavora nella formazione professionale, aziendale e in progetti istituzionali per la valorizzazione e l’espressione delle competenze individuali e di gruppo. Ha fondato e dirige, dal 2004 in Brianza, Ecopsiché – Scuola di Ecopsicologia che organizza percorsi di specializzazione e aggiornamento per l’applicazione dell’Ecopsicologia in diversi ambiti.