“Il ponte sulla Drina” di Ivo Andrić: riassunto trama

Il ponte sulla Drina (Na Drini čuprija) è un «romanzo del narratore serbocroato, premio Nobel 1961, Ivo Andrić (1892-1975), scritto tra il luglio 1942 e il dicembre 1943 e pubblicato a Belgrado nel 1945. Attraverso la storia del ponte gettato sul fiume Drina a Višegrad (una cittadina, della Bosnia orientale, ai confini con la Serbia), si evocano le vicende degli abitanti di questa regione dalla fine del XV secolo agli anni della prima guerra mondiale.

Chi ordina di erigere il ponte è Mehmed Pascià Sokolović, un nobile musulmano nato nei dintorni della città, che, condotto in Turchia ancora fanciullo, ha fatto carriera a corte sino a diventare gran visir e genero del sultano. La direzione dei lavori viene affidata allo spietato Abidaga, il quale impone gravosi sacrifici alla popolazione locale e in particolare ai cristiani, costretti a lavorare come schiavi, senza retribuzione e spesso persino senza cibo. A questa situazione intollerabile si ribella uno dei lavoratori forzati, Radisav di Unište. Nella speranza che i turchi rinuncino alla realizzazione del loro progetto e se ne vadano, egli demolisce nottetempo ciò che si è costruito di giorno, ma è presto catturato e condannato a un atroce supplizio: lo impalano e lo lasciano agonizzare per due giorni in un punto ben visibile del cantiere, come terribile monito per quanti siano stati tentati di seguirne l’esempio. Mehmed Pascià viene però informato delle crudeltà e dei ladrocini perpetrati dal suo rappresentante e, dopo averlo punito costringendolo a restituire il maltolto ed esiliandolo in una sperduta località dell’Anatolia, lo sostituisce con Arifbeg, uomo rigoroso e severo ma onesto.

Il nuovo fiduciario elimina subito i sistemi schiavistici instaurati dal suo predecessore e la costruzione, ora affidata a uomini regolarmente retribuiti e nutriti, procede con ben maggiore alacrità. Il ponte è finalmente ultimato nel 1571 e diventa per i višegradesi un elemento familiare della loro esistenza: “Nella successione delle trasformazioni e nel celere fiorire delle generazioni umane, esso restò immutabile come l’acqua che gli scorre sotto. Invecchiò naturalmente anch’esso, ma secondo una scala cronologica assai più ampia non solo della vita umana, ma anche della durata di intere serie di generazioni, tanto ampia che, a occhio nudo, non si poté notare quell’invecchiamento. La sua vita, benché di per sé stessa mortale, rassomigliò all’eternità, perché la sua fine rimase oltre la portata della vista”.

Il romanzo continua descrivendo i principali avvenimenti seguiti alla costruzione del ponte: l’alluvione del 1799 che induce musulmani, cristiani ed ebrei a dimenticare temporaneamente le discordie religiose e a unirsi in un clima di fratellanza per fronteggiare la sventura comune; la rivolta di Karagjorgie, scoppiata nel 1804 e sfociata poi nell’indipendenza della Serbia, nel corso della quale vengono esposte sul ponte le teste impalate dei fautori dei ribelli, tra i quali Jelisije di Čajnice, un vecchietto un po’ svanito che passava di lì per caso, e Mile di Lijeska, un ragazzo sorpreso a cantare strofette antigovernative. Poi una pestilenza che porta a sospendere il traffico sul ponte per impedire la diffusione del contagio; e la tragica morte della bella Fatima, costretta da motivi d’interesse a sposarsi contro la propria volontà e gettatasi nella Drina il giorno delle nozze.

All’inizio del 1878 passano per Višegrad le truppe turche in ritirata, poiché in seguito al trattato di Berlino la Bosnia è ora occupata dagli austriaci; sul ponte si intrecciano accese discussioni, e il focoso Osman Karamanlija fa inchiodare per l’orecchio destro a un palo il pacifico Alihodža Mutelević, reo di non condividere le sue opinioni.

Con l’arrivo degli austriaci, inizia per la città una nuova vita: spariscono lentamente ma inesorabilmente le antiche usanze musulmane; mutano l’aspetto esteriore delle strade, le abitudini di vita, le consuetudini di lavoro, le norme amministrative e fiscali; sull’orologio di Višegrad suona insomma l’ora del progresso. Intanto il ponte continua a essere teatro di episodi singolari: l’allucinante partita a “trentuno” tra l’accanito giocatore Milan Glasinčanin e un misterioso straniero che si scopre essere il diavolo e che deve rinunciare a riscuotere la vincita, cioè l’anima e la vita dell’avversario, per scomparire al primo canto del gallo; o la tragedia di Gregor Fedun che, di guardia sul ponte per arrestare un pericoloso bandito, se lo lascia sfuggire sotto gli occhi travestito da vecchia e, deferito alla corte marziale, si uccide per sfuggire al disonore.

E la città si fa sempre più moderna e ricca. Vi affluiscono in gran numero bottegai stranieri, soprattutto ebrei polacchi come Caler, il proprietario dell’”Albergo al ponte”, diretto dalla sua bellissima cognata Lotika e frequentato da funzionari e ufficiali austriaci nonché da giovani della borghesia musulmana. I višegradesi poveri vanno invece all’osteria di Zarija, dove è di casa Čorkan, lo scemo del paese, che tutti prendono spietatamente in giro per i suoi folli amori.

I primi anni del XX secolo vedono il collegamento di Višegrad con la ferrovia, il formarsi di un gruppo di studenti socialisti e l’annessione dell’intera regione all’Impero austroungarico. Il ponte è sempre luogo d’incontro: vi si discutono gli avvenimenti politici e i problemi sociali, e vi sbocciano intrighi amorosi non sempre a lieto fine. Si arriva così al 1914 e allo scoppio della prima guerra mondiale. Il giorno di san Vito, come tutti gli anni, le associazioni serbe organizzano una merenda all’aperto, ma mentre la gente balla e canta, i gendarmi portano la notizia dell’attentato di Sarajevo. La festa è interrotta e anche per Višegrad incominciano giornate grigie e pesanti. Gli arresti dei serbi, le fughe dei giovani, le esecuzioni delle spie o delle persone ritenute tali divengono avvenimenti consueti. Poi la guerra si avvicina. Mentre si sentono rombare i cannoni, alcuni degli abitanti sgombrano, altri si asserragliano nelle proprie case, cercando di aiutarsi a vicenda. Infine, sotto l’incalzare dell’offensiva serba, gli austriaci sono costretti a ritirarsi, ma prima di abbandonare la città fanno brillare una mina posta da tempo sotto uno dei pilastri centrali del ponte. Chi vede per primo lo scempio è il vecchio cantastorie Alihodža che ne muore di dolore.

Vero protagonista del romanzo è il ponte, che congiunge non soltanto le due rive della Drina ma i destini umani di tutti gli abitanti di Višegrad, a qualsiasi religione essi appartengano. Si susseguono le generazioni, ma il ponte resta, testimone di grandi avvenimenti storici e di piccoli drammi quotidiani, delle gioie e delle sofferenze degli uomini. Nelle sofferenze, musulmani, cristiani ed ebrei sviluppano quelle forme di tolleranza e di solidarietà sulle quali si fonda la loro convivenza. Il ponte è dunque il simbolo dell’intera città, anzi di tutta la Bosnia, dove elementi culturali ed etnici assai diversi si sono avversati per secoli prima di giungere a costituire un’unità abbastanza compatta.»

tratto da Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature, Bompiani

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