
È comprensibile che poco si ricordi di Giovanni Paolo I, non solo per la brevità del pontificato, ma anche perché la successione fu clamorosa, e progressivamente contribuì a offuscarne il ricordo. Per la prima volta dopo quasi cinque secoli, infatti, il 16 ottobre venne eletto, nel corso di un conclave molto contrastato, un non italiano. E venne scelto dai cardinali un papa che invece tutti ricordano: Karol Wojtyła, il cinquantottenne arcivescovo di Cracovia divenuto protagonista di un pontificato lunghissimo che lo rese popolare in tutto il mondo grazie a ben centoquattro viaggi internazionali. Al vigoroso e discusso pontefice polacco sono poi succeduti, dal 2005, il bavarese Joseph Ratzinger e quindi, dal 2013, il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio, due figure altrettanto controverse.
Luciani è stato dunque l’ultimo pontefice non italiano. Dopo di lui, in quel 1978 divenuto “l’anno dei tre papi” che ho ricostruito nel libro, è infatti iniziata una lunga successione di pontefici non italiani. Un periodo che storicamente ha solo due precedenti: il settantennio avignonese, durante il quale si susseguirono ben sette papi originari della Francia meridionale (1305-1378); e, andando a ritroso, l’epoca di quelli venuti dall’oriente, tra il VII e l’VIII secolo.
Accennavo al fatto che il ricordo di Giovanni Paolo I, pur lontano nel tempo, è comunque nel complesso positivo. E questo principalmente per una ragione, e cioè perché la sua semplicità dimessa, con il suo sorriso impacciato e timido, conquistò l’opinione pubblica, non solo in Italia. Come dimostra il titolo dell’editoriale di «Le Monde», uno dei più autorevoli quotidiani internazionali, e certo non sospetto di apologia del papato, che commentava la morte improvvisa e sconvolgente del pontefice evocando Le temps d’un sourire, “Il tempo di un sorriso”. In pochi giorni, infatti, Luciani aveva saputo imporsi grazie a un modo di esprimersi comprensibile e accattivante, anche se non ebbe il tempo nemmeno d’impostare il suo pontificato. Uno stile semplice il suo, ma non improvvisato, come dimostra nel libro la minuziosa e acuta analisi dello storico Roberto Pertici, che ha indagato, guardando soprattutto alla dimensione comunicativa, l’intera opera omnia, pubblicata in ben nove volumi interamente e liberamente accessibili in rete (www.albinoluciani.it), del prete bellunese che fu vescovo di Vittorio Veneto e infine patriarca di Venezia prima dell’elezione in un conclave brevissimo.
Quale influenza ha avuto su di lui la sua origine veneta?
Direi un’influenza considerevole perché Luciani, nato nel 1912 a Forno di Canale (oggi Canale d’Agordo) in Cadore, non è praticamente mai uscito dalla sua terra, se non per brevi periodi: i mesi trascorsi a Roma soprattutto per partecipare ai lavori del concilio Vaticano II e, in seguito, alcuni viaggi internazionali da patriarca. Cosa abbia comportato questa origine è spiegato molto bene nel libro da Gianpaolo Romanato, il più recente e intelligente biografo di Pio X, altro papa pienamente veneto. E proprio a Sarto, che regnò dal 1903 al 1914 imprimendo una svolta all’istituzione papale, Romanato accosta per più di un aspetto Luciani: per la solida preparazione di base, per l’attenzione al catechismo, per la predicazione efficace, per la volontà di rinnovamento. Anche se, a causa della mancanza di tempo, durante il brevissimo pontificato quasi nulla riuscì a mettere in atto Giovanni Paolo I. A differenza invece di Pio X, che in undici anni contrastò e represse con asprezza il modernismo, ma soprattutto fu un riformatore: seppe infatti modernizzare le antiquate strutture della curia romana, volle e quasi concluse la sistemazione del diritto canonico, rinnovò la religiosità cattolica e riuscì a svincolare il papato da molti condizionamenti politici ormai insostenibili.
È nota l’affermazione di Giovanni Paolo I secondo cui «Dio è papà; più ancora è madre»: quale significato teologico ha la maternità di Dio?
La frase di Luciani, durante l’incontro per l’Angelus, colpì enormemente e sembrò una novità, ma si riallaccia a un filone ben presente nella letteratura biblica e nella tradizione cristiana. Linea sottile ma indubbia che nel libro è ripercorsa con finezza da una studiosa francese, Sylvie Barnay. L’immagine, che vuole sottolineare la sollecitudine amorosa di Dio nei confronti della creatura umana, è già nei testi sacri ebraici e viene sviluppata da non pochi autori cristiani. Ma appunto di un’immagine si tratta. Così la spiegano, già tra il III e il IV secolo, intellettuali cristiani di prim’ordine come Clemente di Alessandria e Gregorio di Nazianzo. E quest’ultimo, raffinatissimo teologo, dichiara con nettezza come Dio non debba essere pensato con categorie umane: un dio che dunque non è né maschio né femmina.
Quale fondamento hanno le ipotesi complottiste sulla scomparsa improvvisa del pontefice?
Nessuno. Lo dimostrò nel 1989 un bel libro, A Thief in the Night, dello scrittore inglese John Cornwell, di formazione cattolica ma poi allontanatosi dalla chiesa, e dunque non sospetto di atteggiamenti apologetici. La conclusione dell’inchiesta di Cornwell, condotta e scritta benissimo, è che il papa non fu ucciso, ma lasciato solo sì, al punto da soccombere schiacciato dal peso della carica. Come rappresentò con efficacia una vignetta di Konk, pubblicata sullo stesso numero di «Le Monde» ricordato prima, che raffigura la piccola figura di Luciani per terra, con gli occhiali in frantumi, travolto da un’enorme tiara.
E a rafforzare la ricostruzione dello scrittore è il quadro non compiacente, anzi desolante, ma del tutto credibile, che Cornwell offre del piccolo mondo vaticano. Tanto è vero che il suo libro non è piaciuto, e non piace, ad apologeti. Questi addirittura lo hanno assimilato a quello furbo e dozzinale di David Yallop, In God’s Name, che cinque anni prima, nel 1984, diffuse enormemente la tesi dell’assassinio. Ma su basi fragilissime. La risposta di Cornwell, incoraggiato nella sua inchiesta dallo stesso Giovanni Paolo II, fu al contrario convincente, ed è miope non rendersene conto.
In definitiva appoggiare lo scrittore inglese fu un gesto intelligente da parte del Vaticano, ma arrivò troppo tardi, quando la vulgata del complotto e dell’eliminazione del pontefice si era ormai radicata. Anche perché nel 1978 le strutture della Santa sede, di fronte a una situazione peraltro difficilissima, avevano reagito in modo disastroso: diffondendo particolari falsi sul ritrovamento del corpo del papa, poi smentiti, e rifiutando di effettuarne l’autopsia.
E a proposito della triplice corona che nella vignetta di «Le Monde» schiaccia Luciani, bisogna ricordare che paradossalmente il pontefice non indossò mai questo antico simbolo del potere papale. Al triregno peraltro il suo predecessore Paolo VI aveva rinunciato nel 1964, dopo esserne stato incoronato all’inizio del pontificato, come da secoli avveniva. Da qui il titolo del nostro libro, Il papa senza corona, appunto.
Come è stato rappresentato papa Luciani nel cinema?
La morte improvvisa di Giovanni Paolo I, soggetto ideale di film e romanzi, è trattata nel libro dal critico cinematografico Emilio Ranzato e da Juan Manuel de Prada. Il celebre scrittore spagnolo ha colto l’occasione per rileggere appassionatamente oltre un secolo di letteratura, dove si susseguono complotti ambientati in Vaticano e papi immaginari: da quello di Baron Corvo (pseudonimo di Frederick Rolfe) con il suo Adriano VII (Longanesi), pubblicato nel 1904, a La donna cardinale (Marsilio) di Lucetta Scaraffia, del 2020, passando per l’obbligatorio Roma senza papa (Adelphi) di Guido Morselli, scritto tra il 1966 e il 1967 ma edito postumo nel 1974. Accanto alle riletture di Prada, decisiva nell’intelligente ricostruzione di Ranzato risulta la rappresentazione di Luciani nei film e nelle serie televisive, perché l’ipotesi del suo assassinio finisce per cambiare l’immagine del Vaticano nel cinema, e dunque nell’immaginario collettivo. Il critico parte dal poco conosciuto Morte in Vaticano di Marcello Aliprandi, del 1982, e dal celeberrimo film di Coppola Il Padrino – Parte III, che è del 1990, per arrivare agli Angeli e demoni di Howard, nel 2009, e alle due fortunatissime serie di Sorrentino: The Young Pope, del 2016, e The New Pope, del 2020. Dove, sullo sfondo di scenari non così lontani dalla realtà, accanto a Luciani s’identificano con facilità i profili di Wojtyła, Ratzinger e Bergoglio.
Giovanni Maria Vian insegna Filologia patristica alla Sapienza Università di Roma ed è stato direttore dell’«Osservatore Romano»