
Sebbene anche predecessori e successori, come Alessandro VI Borgia o Leone X Medici, avessero fatto ampio ricorso alle armi nel perseguire i propri scopi temporali, è la fisionomia guerriera di Giuliano Della Rovere quella rimasta maggiormente impressa nell’immaginario collettivo. L’immagine di un papa che compare in armatura sul campo di battaglia e partecipa all’assedio di una cittadina fortificata -come accadde a Mirandola nel rigido inverno del 1510- è la massima rappresentazione di una Chiesa di Roma del tutto invischiata in vicende del tutto terrene.
Giulio II è senza dubbio una figura dominante nel panorama politico, religioso e culturale della prima età moderna. Dai giudizi che su di lui diedero alcuni illustri contemporanei emerge la statura e la contraddittorietà del personaggio storico. Per Machiavelli, ad esempio, Giulio II mostrava gli attributi del principe ideale: ambizioso e aggressivo, ma anche parsimonioso e prudente, favorito dalla ‘fortuna’ e dall’accordarsi delle sue imprese con la contingenza storica. Il pensatore fiorentino ne rimase affascinato. Per Francesco Guicciardini, Giulio sarebbe stato un valente condottiero, se la sorte lo avesse destinato ad esercitare il mestiere delle armi, anziché condurlo a reggere il soglio di Pietro. D’altro canto, secondo Guicciardini, egli non aveva del pontefice che l’abito e il nome. Erasmo da Rotterdam, invece, pronunciò una condanna senza appelli per colui che più di ogni altro aveva macchiato di sangue il manto papale: in un incendiario dialogo satirico, che divenne rapidamente un successo editoriale europeo, ne raccontò la cacciata dal Paradiso da parte di San Pietro in persona.
Quale fu l’immagine di papa Giulio II che ne ebbero i contemporanei?
Sovrano pontefice, politico spregiudicato e sommo mecenate, Giulio II è uno dei personaggi che, tuttora, maggiormente condizionano il nostro immaginario collettivo del Rinascimento. Ma la domanda a cui ho cercato di rispondere nel libro è un’altra: quale fu l’immagine di un papa tanto controverso e contraddittorio -almeno ai nostri occhi di osservatori del XXI secolo- nell’opinione pubblica del tempo? Quali furono i giudizi dei suoi contemporanei? Non solo quelli circolanti nelle corti o nelle cancellerie, ma anche nelle strade, nei mercati o nelle piazze. Non solo negli scritti degli umanisti, ma anche nelle canzoni popolari recitate nelle piazze dai cantastorie. Si tratta delle opinioni più difficili da cogliere per lo storico dell’età moderna.
La risposta a tale domanda può apparire, per certi versi, sorprendente. Possiamo senz’altro dire che, all’interno dello Stato Pontificio, la sua immagine fu assolutamente positiva. Alcuni racconti ci aiutano a misurarne l’impatto sull’opinione pubblica. Dopo la morte, quando il corpo del papa fu esposto nella basilica di San Pietro, una folla eccezionale si recò a porgere a questo controverso pontefice l’ultimo saluto. Donne, vecchi, bambini si accalcavano per baciare i piedi del defunto, trattenuti a stento dalle guardie. Un omaggio tutt’altro che scontato. Dieci anni prima, infatti, ben altri onori erano stati riservati al cadavere di Alessandro VI Borgia, fatto oggetto di scherno, maltrattamenti e che nessuno voleva nemmeno sfiorare. Nemmeno nei mesi successivi l’eco della fama di Giulio accennò a spegnersi. Tanto che, quando il 12 settembre del 1513 il famoso ritratto di Giulio II dipinto da Raffaello fu esposto sull’altare della chiesa di Santa Maria in Popolo, il successo di folla fu enorme: per otto giorni il popolo romano fece la fila per tributare il proprio omaggio al papa Della Rovere.
Le possibilità offerte dalla nascita della stampa a caratteri mobili favorirono il diffondersi di libelli antipapali.
Certamente è indubbio che la stampa a caratteri mobili abbia favorito la rapida circolazione di idee e opinioni. E sappiamo tutti quale fu il peso decisivo dell’invenzione di Gutenberg nel diffondere la Riforma in area germanica. Tuttavia, non bisogna esagerare il potere emancipatorio della nuova tecnologia. Spesso, infatti, le critiche più dissacranti sono affidate a mezzi di comunicazione più tradizionali ed effimeri, ma anche più difficili da tracciare, dunque al manoscritto, oppure all’oralità.
D’altro canto, sono invece le autorità politiche o religiose a fare ampio ricorso alla stampa per promuovere la propria immagine. Accanto alle anonime pasquinate che accusavano il papa di omosessualità e ubriachezza, oppure alle operette teatrali che gli imputavano di avere macchiato di sangue il manto di Pietro, esisteva dunque un’abbondante produzione di piazza che inneggiava alle sue imprese. Opuscoli e fogli volanti dipingevano Giulio II come un eroe cavalleresco, un liberatore d’Italia, un difensore dell’unità della Chiesa.
A Bologna si giunse persino a distruggere la statua che lo raffigurava.
Quella di cui parliamo è la magnifica statua bronzea del papa, opera di Michelangelo, che fu issata sulla porta di San Petronio nel febbraio 1508. Si tratta di uno dei maggiori capolavori perduti dell’arte rinascimentale.
L’enorme statua, alta circa tre metri, fu commissionata al celebre artista per celebrare la prima impresa militare di Giulio II: la riconquista della città allo Stato della Chiesa avvenuta nell’autunno del 1506. La sua presenza dominante sul principale spazio pubblico doveva rappresentare il controllo imposto da Giulio II sulla città bolognese.
In occasione del temporaneo rientro al potere della famiglia Bentivoglio, la distruzione del colosso fu ordinata dalle autorità cittadine nel febbraio 1512, come atto di ribellione all’autorità pontificia. La statua venne sradicata con un argano e decapitata; la testa fu fatta ruzzolare dai fanciulli per la Piazza Maggiore. Come beffa aggiuntiva, il bronzo fu poi inviato al duca di Ferrara, allora acerrimo nemico del papa, che lo utilizzò per costruire un cannone, causticamente ribattezzato «la Giulia».
In realtà, pare che Alfonso d’Este, ammiratore dell’arte di Michelangelo, abbia conservato nei magazzini estensi la testa bronzea di cui poi nei secoli si persero le tracce. Possiamo comunque dire che il capolavoro michelangiolesco sia da annoverare tra le vittime delle guerre scatenate da Giulio II.
Quale bilancio storiografico è possibile trarre della figura di papa Giulio II?
A distanza di cinque secoli, la storia ha fatto giustizia dell’ambizione teocratica di Giulio II e dimostrato quanto fosse effimero il culto che egli seppe suscitare intorno a sé. Molti dei suoi trionfi politici e militari ebbero vita breve: la libertà d’Italia, la forza militare del papato, la sconfitta degli scismi e l’unità cristiana furono conquiste aleatorie, sciogliendosi come neve al solo dopo la morte del papa ‘guerriero’. Lo scoppio della Riforma, il sacco di Roma e l’egemonia straniera sulla penisola nei secoli successivi ce lo ricordano.
Eppure, nonostante il fallimento dei suoi disegni politici e della sua missione apostolica, Giuliano della Rovere riuscì, grazie allo splendore del suo mecenatismo, a conferire al suo pontificato un’impronta duratura e alla sua visione della Chiesa una memoria perenne, che rimane visibile agli occhi dell’osservatore contemporaneo. Bramante, Michelangelo Raffaello tradussero nel linguaggio figurativo e monumentale un titanico disegno politico-religioso: reintegrare la Roma imperiale-pontificia nel ruolo di potenza egemone in Europa.
La Cappella Sistina, per citare un esempio su tutti, non è soltanto un monumento imperituro del mecenatismo pontificio e la testimonianza di un’ambizione che non conosce confini. É soprattutto la traduzione in un linguaggio universale della coincidenza tra l’Ecclesia triumphans e l’Ecclesia militans che fu la forza trainante di Giulio II e che rappresenta la sua concezione del ruolo papale.