
La ragione della primazia del Palatino è nota: sulla sua sommità, anzi su una delle sue tre sommità, si affacciò al mondo, con tutta probabilità, la prima Roma. Teniamoci pure Romolo e diciamo pure la Roma romulea. Le fonti ci hanno trasmesso la notizia che l’abitato originario avrebbe avuto una forma abbastanza regolare, quadrata o quadrangolare; e per questo esse parlano di una Roma quadrata alla quale ancora Augusto mostra di credere. Quando egli costruisce la sua casa sul Palatino, vi inserisce un monumento di forma quadrata in memoria della Roma delle origini; e include, al di sotto dell’edificio eretto quasi a precipizio, un antro assumendo che fosse il Lupercale, la grotta dove la lupa avrebbe allattato i gemelli. E Augusto volle che la sua dimora fosse nei pressi della capanna di Romolo che, continuamente rifatta, fu conservata per secoli e secoli.
Ora Augusto sfruttò abilmente una leggenda o, piuttosto, una memoria storica? La seconda alternativa ha dalla sua qualcosa di più di una somma (notevole) di indizi. La casa di Augusto è sull’altura occidentale del colle (che, si è detto, di alture ne aveva tre): siamo sul Germalus, nell’angolo sud occidentale e questa posizione non sembra affatto casuale perché è strategica. Strategica nel senso che da quell’angolo una compagnia di guerrieri forti, consapevoli e determinati avrebbe potuto esercitare il controllo e la guardiania sull’ansa del Tevere e sull’Isola Tiberina. Là in basso era vivo e operoso un grande emporio di scambio di prodotti e, particolarmente, di commercio del sale estratto dalle saline alla foce del Tevere; là conveniva gente dal nord e dal sud, Latini, Etruschi, Greci e Fenici. Ad est il Germalus si apriva verso le altre due alture, verso il Palatium e, dunque, verso la valle dove sorgerà il Foro; e verso la Velia (oggi non più esistente), una sella che conduceva all’Esquilino e al Quirinale.
Una posizione strategica è facile che sia occupata. Che ciò sia avvenuto, tra il X e il VII secolo a. C., è provato dal villaggio capannicolo insistente proprio in quel punto del Germalus (un abitato a torto da taluno sottovalutato): le tracce di questo villaggio – fosse dove impiantare i pali e tutt’attorno canalette per lo scolo delle acque – sono state portate alla luce dagli scavi novecenteschi. Sappiamo anche che, intorno all’VIII secolo a. C., si formarono nella zona di Roma varie aristocrazie guerriere bene armate, come dimostrano i corredi funerari rinvenuti nelle tombe: la deduzione più ovvia, confortata dalla lettura delle fonti, è che queste aristocrazie dominassero le comunità di villaggio allocate sui colli romani. Ora, i guerrieri del Germalus avevano una rendita di posizione da sfruttare e dobbiamo pensare che l’abbiano sfruttata prendendo l’iniziativa di aggregare le comunità più prossime per poi spandersi oltre. Ma potremmo continuare dicendo che il Germalus è un pianoro tufaceo sul quale era possibile chiudere l’abitato con confini, forse mura, formanti un quadrato: una geometria che favorisce la maggiore difendibilità che quest’altura comunque otteneva anche, e soprattutto, dalle pareti particolarmente scoscese del colle. Ovvio che, in quei tempi, era quasi impossibile ipotizzare un abitato a valle perché il frequente irrompere delle acque del Tevere creava un ambiente ostile, particolarmente insalubre e paludoso.
La valenza del Palatino, la sua primazia, è tutta in questa storia; e si intuisce che, in epoca repubblicana, nobili e potenti volessero abitare sulle alture palatine. Il colle, dove era nato il potere di Roma, divenne un luogo di potere e di esibizione del potere. Fu così anche in età imperiale a partire, si è visto, da Augusto che volle vivere sul Germalus, vicino alla capanna di Romolo, lui che si riteneva, e si presentava, quale secondo fondatore o ri-fondatore di Roma. E qui avveniva l’investitura dei nuovi imperatori: la salutatio Caesaris. Se oggi si continua a scavare e a teorizzare sul Palatino, è anche perché una scoperta importante in questo luogo ormai mitico conferirebbe magicamente fama e notorietà in tutto il mondo; e anche questo è potere.
Quali vicende ne hanno segnato gli scavi?
La grande stagione degli scavi comincia con l’acquisto degli Orti Farnesiani da parte di Napoleone III, imperatore di Francia: i Farnese, che pur hanno il merito di aver realizzato quel giardino magnifico sulla sommità del Palatino, avevano maldestramente avviato alcuni scavi, cagionando non pochi danni. Napoleone si affida a Pietro Rosa, un architetto, topografo e archeologo romano, un garibaldino che nel 1849 aveva partecipato alla difesa della risorta Repubblica romana proprio contro l’armata del generale Oudinot che l’imperatore aveva inviato a Roma per por fine all’esperienza repubblicana e mazziniana e restituire il trono al papa. Rosa dedicherà tutto sé stesso agli scavi palatini e scoprirà molto. Nel 1870 Napoleone è sconfitto a Sedan e ha bisogno di soldi: gli Orti sono un pezzo pregiatissimo del suo patrimonio. L’Italia appena unita non poteva farsi scappare un’occasione così splendida e fu anche grazie Rosa che l’acquisto poté realizzarsi. Fu così che cominciò la costruzione di un Parco archeologico nazionale. Pietro Rosa era un patriota e scavò da Italiano. La cifra patriottica accomuna anche chi scavò dopo di lui sul Palatino: un filone nobile che giunge ai nostri giorni e a cui non sembra estraneo nemmeno un regista come Matteo Rovere, l’autore de Il primo re. Per questo ho ritenuto di dedicare un capitoletto al suo film.
Quali uomini hanno intrecciato le loro vite con i luoghi delle loro ricerche?
Sono tanti, italiani e stranieri, archeologi e storici. Nel libro se ne ricordano alcuni e a quattro di loro sono dedicati altrettanti capitoli. Non è seguito l’ordine cronologico perché il primo di questi capitoli è dedicato ad Andrea Carandini che, negli ultimi decenni, ha effettuato varie campagne di scavo alle pendici settentrionali del Palatino; i successivi capitoli concernono il già ricordato Pietro Rosa, Giacomo Boni e Dante Vaglieri (nel cui capitolo compaiono anche Pietro Romanelli e Salvatore M. Puglisi). Sono tutti studiosi di gran valore, tutti, direi, rapiti dalla romanità delle origini, desiderosi di mettere il Palatino al centro degli studi antichistici, tutti, in modi diversi, innamorati dell’Italia e della sua straordinaria storia di cui avrebbero voluto (e Carandini, vivente, vorrebbe) che anche gli Italiani acquisissero consapevolezza. Soprattutto vi è che questi archeologi ci appaiono tutti tesi alla scoperta delle tracce della Roma degli esordi; e per questo nel libro si è scelto di parlare di loro. L’oggetto delle loro ricerche in questa prospettiva non è stato il medesimo: la Roma quadrata per Rosa, le mura romulee per Carandini, il Mundus palatino per Boni, le capanne romulee scoperte (ma non ben identificate) da Vaglieri e poi acquisite da Romanelli e Puglisi. Qui non è il luogo per introdurre valutazioni critiche. Ma il veneziano Giacomo Boni – carismatico, fuori dal comune – è certamente il più noto, anche fuori d’Italia: riposa presso le Uccelliere degli Orti, nel mezzo del roseto da lui impiantato e che da lui prende il nome.
In che modo questi luoghi rappresentano il cuore della nostra cultura politica?
Sul Palatino sorge un archetipo: un potere non dispotico ma pluralistico e tuttavia capace di conquistare, e avviare a una prima civilizzazione, buona parte del mondo antico. Il primo re, i primi re, non sono monarchi assoluti e non sono re perché di sangue reale. Il re è eletto dal consiglio dei capi dei gruppi familiari più potenti e deve governare consultando questi aristocratici e ha anche bisogno che il popolo in armi, l’esercito, non gli sia ostile. In più esistono vari collegi sacerdotali con cui il re deve confrontarsi prima di agire. Tutto ciò è attestato dalle fonti la cui attendibilità è stata contestata, con vari argomenti, da non pochi studiosi. Però, al di là dei dettagli, sopravvivono in età storica, durante la Repubblica, riti, discipline, istituzioni risalenti alla monarchia da cui ci viene la testimonianza, piuttosto concorde e credo abbastanza fondata, che già nella prima Roma il potere pubblico dovesse essere diviso ed esercitato da una pluralità, oggi diremmo, di soggetti costituzionali.
Dietro il rex, se vogliamo dietro Romolo, vi era quell’aristocrazia guerriera che deve aver assunto l’iniziativa, dal Germalus, di creare un abitato via più esteso, includendo le comunità vicine. È ragionevole pensare che quest’aristocrazia investisse il re a cominciare dal primo: un re, dunque, che sembrerebbe essere stato piuttosto un delegato degli aristocratici all’esercizio di quelle funzioni che non si esaurivano all’interno dei singoli villaggi, come la difesa dai nemici comuni. Possiamo dire, rubando il termine a Vico, che vi sono alcuni ‘rottami’ giunti in età storica dall’età più antica: tra questi l’interregnum per il quale, morto il re-delegato, il potere era restituito agli aristocratici, che ne erano i titolari; e questi individuano e investivano il successore.
Sarà l’aristocrazia a garantire che il rex non si sarebbe fatto tiranno. Una leggenda narra che Romolo sarebbe stato ucciso dai capi aristocratici in quanto aveva abusato del potere a lui delegato. Certo con i monarchi etruschi – siamo tra VII e VI secolo a.C. – il regnum sviluppò tendenze autocratiche e l’ultimo re etrusco cominciò a far tutto da solo. Come un tiranno contro il quale l’aristocrazia insorse e fu la Repubblica che sostituì il monarca con i due consoli eletti dal popolo e in carica per un solo anno. Ecco l’archetipo divenuto un paradigma della cultura istituzionale dell’Occidente: non la concentrazione del potere, ma la sua discriptio, la sua divisione in una pluralità di poteri e di titolari. Questo, a ben guardare, è il primo, e il più autentico, valore dell’Occidente: l’idea coltivata nel libro è che questa discriptio sia stata inaugurata dall’aristocrazia guerriera, là sopra, sul Germalus, intorno all’VIII secolo a.C.
Umberto Vincenti è professore ordinario nell’Università di Padova, dove insegna Modelli costituzionali dell’Occidente ed Etica pubblica. Tra i suoi libri: Diritto senza identità. La crisi delle categorie giuridiche tradizionali (Laterza, 2007); Diritti e dignità umana (Laterza, 2009); I fondamenti del diritto occidentale. Un’introduzione storica (Laterza, 2010); La repubblica virtuosa. Una proposta per l’Italia (Bruno Mondadori, 2011); Di chi è la colpa. Sette possibili cause del dissesto italiano (Donzelli, 2013); La Costituzione di Roma antica (Laterza, 2017); Categorie del diritto romano. L’ordine quadrato (Jovene, 20194); Lo studente che sfidò il papa. Inquisizione e supplizio di Pomponio de Algerio (Laterza 2020).