“Il nuovo Umanesimo” di Michele Ciliberto

Prof. Michele Ciliberto, Lei è l’autore del libro Il nuovo Umanesimo edito da Laterza: da più parti lo si invoca, ma è possibile oggi un nuovo Umanesimo, un nuovo Rinascimento?
Il nuovo Umanesimo di Michele CilibertoCredo che oggi sia possibile un nuovo umanesimo perché, come ho cercato di dire nel libro, una riflessione di questo tipo diventa attuale ogni volta che si riapre il problema della condizione umana; aggiungo, diventa attuale, specialmente quando questo accade come oggi in termini drammatici. È il punto che ha colto con grande acutezza Papa Francesco il quale si è reso conto che le fondamenta di un intero mondo sono ormai finite e che oggi sta nascendo in modo faticoso e talvolta tragico una nuova realtà, per molti aspetti sconosciuta. Basta pensare, per fare solamente un caso, a ciò che significano, per il destino dell’Europa, le ondate di immigrati che si rovesciano senza sosta sul nuovo continente. Da qui a pochi decenni il nostro sarà un mondo compiutamente multiculturale, multireligioso, multi etnico. Questa è la realtà e non serve pensare che si possa contrastarla costruendo steccati o addirittura, come pure è avvenuto, reticolati. Sono destinati a saltare. Quella che sta dunque nascendo è una nuova umanità assai differente, per molti versi, da quella che ha occupato e interpretato l’Europa per molti secoli. Questo è il dato di fondo con il quale dobbiamo misurarci ed è qui che si riapre quindi il problema di un nuovo umanesimo e anche di un nuovo rinascimento, come accade ogni qual volta ridiventa attuale la questione della condizione umana e del suo destino.

L’Umanesimo originò dalla riscoperta dell’antichità classica; su quali basi dovrebbe rifondarsi un Umanesimo dei giorni nostri?
L’umanesimo è nato senza dubbio dalla riscoperta dell’antichità classica ripensata in modo autonomo ed originale; non siamo “scimmie degli antichi”, dicevano i più importanti degli umanisti italiani ed europei. Il ritorno dei filosofi antichi fu la condizione della costruzione della nuova immagine dell’uomo e della storia. Come dice Nicolò Machiavelli concludendo l’Arte della guerra furono “resuscitate le cose morte” rifacendo nascere poesia pittura e scultura. È chiaro che oggi un nuovo umanesimo non può nascere in questo modo né questo significa che un nuovo umanesimo non possa nascere. Credo che oggi esso debba impiantarsi in una nuova visione dell’uomo che dissolva antiche barriere, antichi confini di razza, di religione, di visioni del mondo, di antichi sensi comuni. Esso può e deve nascere da un radicale riconoscimento della differenza e del suo valore – nella qual cosa consiste per altro uno degli insegnamenti più alti dell’umanesimo storico, cioè quello che si è affermato in Italia ed Europa tra Quattrocento e Cinquecento. Da questo punto di vista sono persuaso che un nuovo umanesimo debba andare al di là della stessa idea di tolleranza che pure è uno dei contributi più importanti della cultura e della coscienza europea, uno dei fondamenti della sua identità etico-politica e culturale. La tolleranza è stata storicamente fondamentale ma è connessa all’idea di una differenza che è riconosciuta nel suo valore, ma è tenuta al tempo stesso per così dire a distanza: come avviene quando si incontrano due forze che non riescono a intrecciarsi in modo solidale. Oggi bisogna lavorare alla costruzione di una nuova umanità, della quale profonde e pure importanti differenze siano sostanza fondamentale, vincolo – religione avrebbe detto Machiavelli – nella quale tutti possono riconoscersi pur provenendo da storie e vicende diverse, talvolta in modo profondo. Da questo punto di vista sono personalmente convinto che proprio l’Europa debba essere il luogo di questo nuovo umanesimo oltrepassando le vecchie barriere statali e diventando la patria comune di tutti coloro che ci vivono, dei nativi, come degli immigrati. Per me il nesso tra Europa ed umanesimo è inscindibile, ieri ma anche oggi, ed è perciò che vedo con straordinaria preoccupazione le difficoltà che sta oggi attraversando la formazione degli Stati Uniti di Europa con un venire avanti di vecchie dinamiche statuali alimentate da populismo di tipo nuovo che sono, il contrario esatto del nuovo umanesimo che bisogna costruire.

Quali erano la visione dell’uomo e la concezione del mondo degli umanisti e qual è la loro attualità ai giorni nostri?
La visione dell’uomo elaborata dagli umanisti è ricca e plurale: vi sono quelli che come Giovanni Pico insistono sull’uomo come “grande miracolo”, ente totalmente libero, capace di potersi fare uomo oppure bestia ed altri invece che insistono sul limite della condizione umana mostrando, come avviene ad esempio in Machiavelli, che l’uomo, qualunque uomo, è chiuso in una natura dalla quale non può mai emanciparsi in modo compiuto. Personalmente sono attratto soprattutto da questa seconda linea del pensiero umanistico, quella che coinvolge autori come Alberti, Machiavelli, Guicciardini, Pomponazzi ed anche, sia pure in forme proprie, Bruno e Campanella. È quella linea che ha insistito sulla precarietà dell’uomo fino a considerarlo un giocattolo nelle mani dei dèi. È, questo, un tema antico già sviluppato da Platone nelle Leggi ma esso viene ripreso da grandi autori come Alberti nel Momus, Pomponazzi nel De fato, Campanella nelle Poesie ma anche da Guicciardini nei Ricordi, forse il testo più importante di filosofia morale mai apparso in lingua italiana. Per quanto possa apparire sorprendente se si pensa all’immagine tradizionale dell’umanesimo e del rinascimento italiano questi autori dimostrano con massima chiarezza il carattere drammatico e spesso tragico della cultura umanistica che è, nei suoi punti più alti, sempre e costantemente una riflessione sulla crisi sia storica, dell’Italia, sia individuale, personale. Quello che però caratterizza questi autori e che li rende attualissimi è l’intreccio fra questa concezione disincantata, e addirittura crudele dell’uomo, e l’impulso presente nei maggiori autori di questa epoca a costruire grandi miti, grandi utopie, perfino grandi sogni. Esiste cioè nel cuore di questa cultura una dialettica aperta e mai conclusa fra disincanto e utopia, tra furore e disincanto, come appare ad esempio in una personalità quale Bruno che però riprende e sviluppa con grande forza quello che è un motivo tipico dei maggiori esponenti dell’epoca. Sono convinto che proprio in questa dialettica tra disincanto e utopia sia l’attualità maggiore di questi pensatori – nella loro capacità cioè di guardare all’uomo e alla sua condizione con grande realismo immaginando però sempre progetti che vadano al di là dell’esistente e proiettino l’uomo oltre la situazione in cui egli si trova, sia personalmente che sul piano collettivo. Tra i tanti “miti” elaborati da questa cultura mi limito a sottolinearne solamente due attualissimi oggi: quello della pace, e penso a Giovanni Pico; e quello della filantropia universale, e penso a Giordano Bruno che anche in questo caso riprende, potenzia e sviluppa un motivo centrale di questa cultura. Ritornando a quello che si diceva prima un nuovo umanesimo oggi non può prescindere da queste due grandi idee, innovandole naturalmente in modo profondo e rimettendole all’altezza dei nostri tempi e dei nostri problemi.

Qual è l’autore che più di ogni altro ha incarnato lo spirito rinascimentale?
È difficile dire quale sia l’autore che rappresenta in modo più pieno lo spirito rinascimentale. Ho studiato per molti anni Giordano Bruno e quindi ho una particolare simpatia per la sua esperienza. Se però guardo a quest’epoca da una diversa distanza tendo a dire che i suoi rappresentanti più alti sono in primo luogo Machiavelli e Guicciardini. Chi ha uno sguardo più tragico di loro due? Machiavelli sa che l’uomo è un piccolo uccello da rapina, che la storia degli stati e delle chiese è comunque destinata a finire nonostante gli sforzi che si possono fare per ritirarli ai princìpi, e sa sul piano personale di essere stato uno sconfitto; e si sforza nonostante questo di scrivere il Principe, i Discorsi, le Istorie fiorentine e di risuscitare “cose morte”, come fa nell’Arte della guerra… Guicciardini scrive i Ricordi, un testo veramente tragico nel quale il mondo degli uomini è presentato nella sua totale indecifrabilità, nella sua mancanza di ragionevolezza, nel trionfo incomprensibile dei malvagi, come in una sorta di lamento di Giobbe, anche se era troppo fiorentino per potersi lasciare andare ai lamenti sia sulla condizione umana in generale, che su sé stesso, specie dopo le grandi sconfitte subite sul piano politico che lo spazzarono via dal centro vivo della storia, da lui occupata per tanto tempo. Eppure Guicciardini scrive un grandissimo testo come la Storia d’Italia, utilizzando fin dall’inizio un lessico che esprime in modo diretto la consapevolezza dell’incertezza, dell’inquietudine, del tumulto nella quale si sono trovati sia l’Italia che gli italiani, specialmente dopo la crisi apertasi con la calata di Carlo VIII.

Il nostro Paese è stato la culla del Rinascimento: l’auspicio di un nuovo Umanesimo contiene in sè l’idea di un rinnovato ruolo per l’Italia?
L’Italia è stata il centro del Rinascimento ed anche per questo è stata, più di quanto spesso pensino gli italiani, un grande paese. Senza l’Italia la storia d’Europa sarebbe stata diversa: sono gli italiani che si battono per la libertas philosophandi a prezzo della vita, morendo sui roghi; sono gli italiani i primi che rifiutano in modo radicale la tortura e la pena di morte; sono insomma italiani alcuni dei principali artefici della identità europea, nei suoi punti più alti. L’Italia, riprendendo questa storia e sviluppandola in modi nuovi, può dare, credo, anche oggi un grande contributo misurandosi con i problemi più alti che il nostro tempo ci pone oggi di fronte. Come italiani ne abbiamo la forza per la nostra storia e per quello che anche oggi possiamo fare se riusciamo ad assumerci senza timore tutte le responsabilità che ci spettano.

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