di Sandro Carocci
Viella
Con il termine nepotismo si indica «quel radicato atteggiamento di tutela e di favore verso i parenti comune a tutti i pontefici e ai grandi prelati.» che ha rappresentato «una costante» nella storia della Chiesa.
«Alla sua origine, però, il termine ha una connotazione più precisa e spoglia di valenze negative. È una parola romana, o meglio curiale e papale. È nata all’inizio del XVII secolo per indicare una pratica che ormai da tempo veniva seguita da tutti i papi, al punto di trasformarsi in una istituzione: il cardinal nipote. Il papa neoeletto promuoveva al cardinalato un parente stretto, di solito appunto un nipote, al quale venivano conferite funzioni fondamentali, di natura tanto istituzionale, come la carica di “Sovrintendente allo Stato Ecclesiastico”, quanto informale, di massimo referente del tessuto clientelare.»
«Per gli studiosi della Chiesa duecentesca e dei primi sviluppi dello Stato Pontificio, prevale ora un’interpretazione potremmo dire politico-amministrativa del nepotismo. È visto come uno strumento di governo, come una prassi talora controproducente, ma organicamente connessa al tipo di organizzazione curiale e statale creato dai papi.»
È tuttavia possibile tracciare delle differenze tra nepotismo medievale e nepotismo rinascimentale: «Dal tardo Quattrocento almeno, le pratiche nepotistiche finirono infatti per comporsi in un fenomeno già in partenza ben individuato. Dal 1538, con la nascita della figura del cardinal nipote, assunsero addirittura una precisa fisionomia istituzionale: ma già nei decenni precedenti lo sviluppo dei comportamenti nepotistici e i loro clamorosi effetti sull’evoluzione storica della Chiesa avevano fatto del nepotismo una realtà ben percepita dagli stessi contemporanei, e di rimbalzo dagli storici. Per gran parte del medioevo, viceversa, il nepotismo restò latente, in stato di embrione. Quando poi, nel XIII secolo, conobbe il suo primo, grandioso sviluppo, ebbe una fisionomia composita, variata, poco definibile. Anche ai livelli più alti, non era un’esclusiva dei pontefici, ma la pratica di un vasto gruppo di cardinali. A seconda dei papi e della contingenza politica, si appalesava o scompariva.»
Le domande alle quli il libro fornisce risposta sono molteplici: «Quali codici normativi, quali valori morali potevano sostenere comportamenti che le ideologie oggi dominanti tendono a liquidare come corruzione e debolezza? Che significato politico, sociale e morale dobbiamo dare alla clientela e alla parentela in un’epoca in cui gli assetti politici e la struttura sociale si fondavano in primo luogo non su istituzioni, ma su una rete di relazioni personali? E in che misura questa debolezza di rapporti istituzionali e formalizzati, comune a tutti gli organismi statali del tempo, era accentuata dalla peculiare situazione dell’istituzione pontificia? Anche le famiglie di re e principi hanno “sfruttato” lo stato, appropriandosi di potere e ricchezze: in cosa differisce, allora, il nepotismo dei papi da queste pratiche domestiche che ovunque in Europa hanno accompagnato e sostenuto la costruzione di organismi statali?»
Queste riflessioni aiutano ad inquadrare storicamente la complessità del fenomeno che si è via via prestato ad interpretazioni differenti.
Per Daniel Waley, «il maggiore storico dello Stato della Chiesa due-trecentesco», «il forte incremento delle pratiche nepotistiche registrato nel Duecento può essere spiegato, e al tempo stesso giustificato, con le specifiche necessità del tipo di organizzazione statale allora creato dai papi.»
Secondo Wolfgang Reinhard, il nepotismo risponderebbe a «due fondamentali funzioni sociali: la «funzione di appoggio» o «assistenza» (Versorgungsfunktion), cioè l’aiuto fornito dal titolare di un ufficio ecclesiastico (il papa, ma anche cardinali, vescovi, ecc.) al potenziamento economico e politico della famiglia, e la «funzione di dominio» (Herrschaftsfunktion), cioè il contributo dei parenti allo svolgimento dell’ufficio ecclesiastico.»
«Nella nostra società, fondata su ideali come il merito e l’eguaglianza delle possibilità, e nella nostra epoca caratterizzata dall’individualismo, è difficile comprendere che, in altre culture, la famiglia rappresenta un valore più importante dell’individuo».
In epoca rinascimentale, le pratiche nepotistiche dei papi conosceranno «uno sviluppo ancor più formidabile. Per il periodo compreso fra la metà circa del XV secolo e il pontificato di Paolo IV (1555-1559), è stata non a caso coniata la definizione di “grande nepotismo”.»
La principale differenza tra le due forme di nepotismo risiede nel fatto che «Dalla metà del Quattrocento, i pontefici controllano in modo sempre più efficace i loro dominii temporali, ne traggono risorse fiscali crescenti, riescono a contenere i particolarismi locali, dispongono di strutture di governo ben organizzate, hanno un potere militare di rilievo. Sono veri e propri sovrani del Rinascimento. Il nepotismo, così, perde in primo luogo quel carattere per così dire collegiale, cardinalizio, che lo connotava nel Duecento».
«Parallelamente – ed è questa una seconda differenza rispetto al XIII secolo – le capacità nepotistiche dei pontefici rinascimentali sono ormai tali da garantire ai congiunti non una semplice ascesa sociale, ma un balzo verso il principato. Poco importa, ora, se prima del pontificato la famiglia è di condizione modesta. Purché vi siano parenti laici di una qualche intraprendenza, la potenza papale basta, da sola, ad assicurare il successo. Così, gli stupefacenti risultati ottenuti da Bonifacio VIII nel promuovere le fortune dei Caetani cessano di essere un’eccezione, e divengono la norma. Prima di Callisto III e Alessandro VI, i Borgia sono solo modesti nobili della zona di Valenza; i Della Rovere, piccoli commercianti di tessuti di Savona, debbono interamente a Sisto IV la loro ascesa, culminata nel 1508 sul trono di Urbino; e via dicendo fino ai Farnese, che rappresentano l’ultimo caso di una famiglia (in questo caso già in precedenza abbastanza fornita) portata da un papa fino al trono principesco.»
«Se nel XIII secolo il nepotismo appare egualmente connesso al potere come alla debolezza dei papi, in età moderna è invece divenuto un elemento strutturale della potenza papale. Ma l’evolversi di questa stessa potenza ne ha determinato progressivamente lo svuotamento, ed infine l’abolizione. […] Al di là delle cariche e dei compiti a lui conferiti, il ruolo del cardinal nipote è sempre più esclusivamente quello di garantire l’arricchimento e l’ascesa sociale della famiglia del papa. Secondo alcuni calcoli, durante il XVII secolo oltre trenta milioni di scudi sono passati dalle casse della Chiesa ai nipoti dei papi. L’immenso costo economico di quest’antica pratica, ora priva di funzioni positive ma nel contempo resa della massima evidenza dall’istituzione del cardinal nipote, è avvertito come un peso insostenibile per le finanze. A queste preoccupazioni di bilancio, si aggiungono poi, in una minoranza di casi, critiche di natura etica ed ideologica. Così, dopo alcuni tentativi infruttuosi, Innocenzo XII matura infine, nel 1692, la decisione di abolire la figura del cardinal nipote e di vietare per il futuro tutte le altre consuete concessioni in favore dei parenti.»