
Quali sono i principali disturbi olfattivi e quali le loro conseguenze sulla nostra percezione del mondo?
Meno conosciute dei deficit visivi e uditivi, le anosmie – termine con cui si etichettano le diverse alterazione della sensibilità olfattiva, per eccesso (iperosmia) o per difetto (iposmia), fino alla perdita totale (anosmia) o alla sua distorsione (disosmia, parosmia) – sono turbe sensoriali meno “appariscenti” della cecità o della sordità e con un ridotto impatto sociale. I loro effetti agiscono soprattutto a livello soggettivo, modificando in modo significativo la qualità della vita delle persone colpite. Al di là di un serie di disturbi di natura neuro e psicologica (ansia, cefalea, nausea, prostrazione, depressione, perdita dell’appetito, ecc.), le anosmie influenzano negativamente l’amore per la vita, determinando una riduzione dell’energia vitale. Soffrire di queste patologie significa vivere in un mondo inodore e quindi anche insapore – se pensiamo a quanto il piacere di gustare un cibo e un vino dipenda dall’olfatto (in particolare dall’olfatto retronasale) –, perdere in parte il gusto e l’interesse per la vita, che diventa “monotona” e “anonima”, come racconta una persona anosmica. Ma significa anche perdere la possibilità di godere del profumo della persona amata, dell’odore del caffè o del profumo dei fiori, avere una riduzione del desiderio sessuale, essere esposto a una serie di pericoli, oppure, nei casi di iperosmia, provare fastidio e accusare un grande malessere per gli odori più comuni (dai detersivi, ai gas di scarico, agli odori della cucina, all’odore dei giornali), percepiti in modo eccessivo, al punto da risultare talora insopportabili e da rendere complicate persino le azioni più quotidiane come cucinare, dormire tra le lenzuola fresche di bucato, farsi una doccia o sfogliare un quotidiano. E le testimonianze dei soggetti anosmici ci aiutano a comprendere quanto questo senso, al quale non diamo quasi nessuna importanza, dando per scontate molte delle esperienze che lo vedono protagonista, incida sulla qualità dell’esistenza di una persona, sulla sfera affettiva, sui rapporti interpersonali, sui piaceri sensoriali e sul piacere di vivere in generale che, non dimentichiamolo, è anche una “questione di naso”.
Quanto i nostri comportamenti sono influenzati dagli odori?
Sebbene non vi prestiamo attenzione, durante tutta la vita noi umani stabiliamo legami e avversioni anche attraverso il naso: dai legami d’amicizia ai legami di coppia, ai rapporti professionali, fino a quelli con persone di un’altra categoria sociale (per es., il povero, la prostituta, l’omosessuale) o di un’altra etnia. Benché fugace ed evanescente, l’odore è infatti una scia chimica onnipresente nelle relazioni umane e capace di condizionare i nostri rapporti socio-emozionali: permette alle persone di riconoscersi, di incontrarsi, di innamorarsi ma anche di allontanarsi, di evitarsi, di respingersi, ed è anche un segno importante per valutare lo stato di salute o di malattia di una persona, l’età e il sesso, la qualità di un cibo o di un vino, la scelta di un luogo di acquisto o di un prodotto commerciale. Anche se non ne siamo consapevoli, quando incontriamo una persona la annusiamo come fanno gli animali: non a caso in genere giudichiamo gradevole l’odore delle persone amiche e sgradevole o indesiderato quello di persone sconosciute o che a pelle non ci piacciono, probabilmente anche per il loro odore. Per non parlare poi della funzione semiotica dell’odore personale nei rapporti amorosi, dove appunto l’odore diventa un ingrediente fondamentale del desiderio e dell’attrazione sessuale. E dopotutto non c’è bisogno di scomodare la scienza per sapere che il partner si sceglie anche sulla base di un’affinità stabilita attraverso il naso e che gli odori sono agenti essenziali del gioco seduttivo e della vita sessuale: insomma, la compatibilità tra due anime e i loro corpi è anche frutto di un’alchimia olfattiva. De resto, ci accorgiamo di amare una persona quando di lei gradiamo gli odori indiscreti e intimi. Quando invece il profumo del partner non ci piace più, questo è l’indizio di un’intesa ormai logora. Nel bene e nel male, gli odori agiscono pertanto sulla nostra vita sessuale rafforzando i legami intimi e favorendo l’abbandono oppure suscitando repulsione e fastidio. Per non parlare poi della relazione odorosa che si instaura tra la madre e il suo piccolo sin dalla vita fetale e che attesta il ruolo decisivo degli indici odorosi nel riconoscimento madre-figlio, nella creazione dei legami di attaccamento e nell’orientamento nella nuova dimensione di vita. Altre evidenze emergono poi dal mondo del marketing olfattivo, che sfruttando il legame privilegiato che l’olfatto intrattiene con le emozioni, tende a influenzare le scelte commerciali del consumatore prendendolo letteralmente “per il naso”. Ultimo, non ultimo, il naso contribuisce ancora più del gusto e degli altri sensi al piacere di assaporare e di apprezzare un cibo o un vino: dai profumi sprigionati dalla cucina, che ci avvertono della bontà e della piacevolezza di un cibo, facendocelo pregustare a distanza, fino al suo sapore percepito grazie all’attivazione dell’olfatto retronasale quando lo mastichiamo e poi lo deglutiamo: non a caso quando siamo raffreddati, pur avvertendo i gusti elementari (dolce, salato, acido e amaro), perdiamo il piacere di assaporare pienamente le pietanze e abbiamo la sensazione di mangiare cotone.
Siamo l’unica specie a fare uso di profumi sintetici per coprire o modificare gli odori naturali, come mai?
Con la diffusione delle pratiche igieniche, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, il nostro universo olfattivo si è fortemente impoverito e con esso anche la nostra attitudine a percepire e a riconoscere gli odori. Avvolto nel “silenzio olfattivo”, l’uomo moderno è l’espressione di una società disinfettata, decontaminata, igienizzata, che agli odori naturali, sempre più temuti e attentamente tenuti sotto controllo, ha sostituito i profumi sintetici appositamente creati. Con il controllo degli odori corporei, e non, si è imposto così un modello di uomo depilato, profumato, deodorato artificialmente, che ha fatto della profumazione artificiale un tratto culturale specifico della nostra specie. Questa e altre reazioni ambigue che gli odori scatenano negli essere umani, gli unici animali peraltro capaci di creare profumi componendo odori diversi, credo siano in qualche misura legate all’ambivalenza del naso, al suo essere da una parte il senso più primitivo ed emozionale, quello che più di ogni altro testimonia la nostra natura animale, dall’altro il senso più raffinato e sofisticato, l’unico che ci permette di penetrare nell’intimità delle persone, delle situazioni, dei luoghi e delle cose. Così, per un verso tendiamo ad annullare il nostro odore personale, la “firma chimica” assolutamente unica che indossiamo e che ci identifica con una certezza non inferiore a quella delle impronte digitali, attraverso un eccesso di pulizia e di pratiche igieniche; per un altro verso, cerchiamo di sostituire o di dissimulare il nostro odore personale, traccia evidente della nostra animalità, con detergenti profumati, deodoranti e profumi artificiali, che tuttavia non riescono mai ad annullarlo. Ecco perché è ingenuo pensare che un profumo, espressione della volontà umana di distinguersi, di lasciare una traccia personale, di farsi ricordare olfattivamente, possa eliminare o coprire il nostro odore naturale: non a caso, lo stesso profumo, indossato da persone diverse, interagendo con lo specifico odore corporeo di ciascun individuo, produce effetti differenti.
Nel Suo testo lei descrive una nuova branca dell’antropologia, l’antropologia sensoriale, e in particolare l’antropologia dell’olfatto.
L’antropologia dei sensi è una corrente antropologica fondata negli anni Novanta del secolo scorso dal canadese David Howes con l’obiettivo di comprendere il ruolo esercitato dai condizionamenti culturali sull’organizzazione biologica dei nostri sensi e sul diverso uso che ne fa la nostra specie. Contrapponendosi al “visualismo” del mondo occidentale, quel pregiudizio che vede nella vista la fonte principale delle conoscenze umane, questo interessante àmbito di ricerca ci aiuta a comprendere che non tutte le culture riconoscono l’esistenza dei cinque sensi e non per tutte la vista rappresenta la principale fonte di conoscenza. Esistono infatti società extraoccidentali che attribuiscono importanza diversa all’udito, alla vista, all’olfatto, riconoscendo gerarchie sensoriali differenti, che danno vita a concezioni del mondo e a organizzazioni della realtà dominate da sensi diversi dalla vista. Ancora più recenti sono poi i contributi dell’antropologia olfattiva, una branca dell’antropologia sensoriale rivolta allo studio delle culture “olfattivamente orientate”, quelle culture cioè in cui l’odorato è il senso cognitivamente e simbolicamente più rilevante, anche per necessità ambientali. Un esempio interessante è quello dei Desana, un popolo di cacciatori della foresta amazzonica colombiana. Costretti a sfruttare i segnali odorosi in un ambiente in cui il campo visivo è limitato e l’udito è sopraffatto da una grande quantità e varietà di suoni e di rumori naturali, hanno sviluppato una vera e propria “osmologia”, cioè una rappresentazione del mondo di tipo olfattivo: la loro modalità d’esistenza è dettata dal naso, al quale si affidano per l’identificazione delle prede nella caccia, per l’orientamento nello spazio, per l’individuazione di un nemico o di un altro gruppo sociale, per le incombenze relative a pratiche religiose e a pratiche alimentari, e per molto altro. Esempi come questo dimostrano pertanto quanto la percezione degli odori e l’attenzione olfattiva della specie umana siano frutto dell’incontro tra natura e cultura.
Sempre nel Suo saggio, è illuminante la riflessione sul ruolo dell’olfatto nelle persone sordo-cieche.
Nel Naso intelligente mi sono riferita a un caso in particolare, quello di Helen Keller, la più nota cieco-sorda della letteratura, che tutti ricorderanno almeno per il film Anna dei Miracoli (1962), ispirato alla sua vera storia: privata dei due sensi considerati più cognitivi, aveva imparato a prestare attenzione e a discernere ogni sfumatura odorosa del mondo circostante e a “pensare” con il naso. Nei suoi scritti autobiografici, intessuti di descrizioni odorose, questo “prodigio dell’olfatto” racconta come le informazioni olfattive stimolassero le sue facoltà cognitive, parlandole in modo eloquente del mondo, dei colori, del carattere delle persone, della loro età, dei cambiamenti metereologici, delle sfumature odorose delle stagioni, delle distanze e dei luoghi, caratterizzando persino i suoi sogni, ricchi di odori e di sapori non meno della realtà. Anche le persone cieche hanno una spiccata sensibilità olfattiva, nella misura in cui prestano attenzione agli indizi odorosi. Più inclini a concentrarsi sugli odori e sulle loro caratteristiche, esibiscono infatti capacità olfattive superiori, rispetto ai vedenti, nei compiti di identificazione e di denominazione degli odori, frutto di meccanismi di compensazione percettiva. Tali capacità, insieme agli altri sensi residui, li aiutano a crearsi una rappresentazione della realtà, a orientarsi nello spazio, e specialmente negli spazi aperti, costruendosi mappe mentali olfattive, a comprendere cosa accade attorno a loro, a costruirsi insomma un mondo oggettuale e spaziale sfruttando i preziosi indici odorosi. L’insegnamento che possiamo trarre da questi casi è dunque che ciò che ci differenzia dalle persone cieche non sono i nostri sensi, quanto piuttosto l’uso che ne facciamo. E a riprova del fatto che non esistono sensi inferiori e sensi superiori, è sempre il modo in cui usiamo ciascuno di essi a determinarne la maggiore o minore intelligenza.