Edipo: il mito
«La maledizione divina che si abbatté sulla stirpe dei Labdacidi fu originata dalla duplice colpa perpetrata da Laio, figlio di Labdaco. Laio aveva pochi mesi di vita quando il padre morì e ai due fratelli Nitteo e Lico spettò la reggenza del paese. Diventato adulto, il Labdacide si rese conto che la sua presenza cominciava a infastidire i due regnanti e cercò rifugio presso Pelope, re d’Elide. Quest’ultimo era padre di Atreo e Tieste, ma aveva anche un altro figlio illegittimo, Crisippo, nato dalla sua unione con la Ninfa Astioche. Il figlio segreto di Pelope era bellissimo e, per ricambiare l’ospitalità che riceveva a corte, Laio decise di istruire il grazioso fanciullo nella guida del cocchio. L’assiduità dei loro incontri e la straordinaria avvenenza di Crisippo, spinsero Laio a un gesto folle. Egli rapì il fanciullo e giacque con lui che, per la vergogna, si suicidò. La maledizione di Pelope su Laio risuonò anche in Olimpo dove gli immortali rimasero esterrefatti per la perpetrata violazione alla sacra ospitalità. Era, in particolare, fu disgustata dal comportamento di Laio, che aveva introdotto in Grecia l’eros paidikos, e dalla corruzione che aveva introdotto nel regno argivo, a lei caro. Quando Laio divenne re di Tebe, la dea irata inviò contro i Tebani la Sfinge, «la strangolatrice».
Figlia di Echidna e di Tifone, la Sfinge o Fix sedeva accovacciata sulle zampe posteriori sul monte Ficio o su una colonna nel mezzo della piazza del mercato di Tebe. Mostro alato dal corpo leonino e con il busto di donna, ella si divertiva a porre scaltri indovinelli e a uccidere chi falliva la risposta.
Non contento di esser già sgradito agli immortali, Laio s’inimicò terribilmente il dio Apollo, disobbedendo all’oracolo delfico che, per la salvezza di Tebe, gli aveva vietato ogni posterità. Laio aveva sposato Giocasta e, dispiaciuto per la mancanza di figli, si recò a Delfi per l’ennesima volta per avere consigli.
Il responso gli disse che ciò che egli riteneva una disgrazia, era in realtà una fortuna, poiché suo figlio l’avrebbe ucciso. Appena ritornato a casa si cautelò dalla presenza della moglie, ripudiandola. L’infelice Giocasta era tuttavia molto innamorata del suo sposo e, per riaverlo, lo ubriacò. Da questo rapporto nacque un bambino che subito si attirò l’odio paterno. Laio lo strappò alla madre, infierì sul neonato trafiggendogli i piedi e lo espose sul monte Citerone. Qui lo trovò un pastore che custodiva il gregge di Polibo, re di Corinto e, al termine del periodo di transumanza, lo portò a corte offrendolo al suo re. Edipo, il fanciullo «dai piedi rigonfi» crebbe nella reggia corinzia come figlio adottivo del re e della sua sposa Peribea.
Felice e spensierato, egli viveva serenamente a Corinto quando un suo compagno arrogante lo schernì, lo offese e gli rinfacciò di non essere il figlio del re.
Non soddisfatto delle rassicurazioni di Polibo e Peribea che lo tranquillizzarono circa le sue origini, Edipo si recò a Delfi. Qui la Pizia lo trattò in malo modo, e lo allontanò disgustata poiché egli avrebbe ucciso il padre e dormito con sua madre.
Edipo era profondamente disperato: egli amava i suoi genitori e, per non commettere le nefandezze profetizzate, decise di non ritornare mai più a Corinto. Si diresse allora a Tebe e, durante il viaggio, incontrò a un crocicchio Laio che gli impose con rude autorità di cedergli il passo. Edipo stava continuando per la sua strada quando Laio, indispettito, ordinò all’auriga Polifonte di avanzare. All’accesa discussione seguì l’uccisione prima dell’auriga, poi dello stesso re da parte dell’ignaro suo figlio.
Laio stava dirigendosi a Delfi per chiedere all’oracolo provvedimenti contro la terribile Sfinge che assediava Tebe. Questa vergine leonessa era solita proporre un indovinello ai Tebani: «Quale animale ha talvolta due gambe, talvolta tre, talvolta quattro ed è tanto meno veloce quante più ne ha?». Chi non sapeva rispondere veniva ucciso e divorato dalla figlia di Echidna. Quando Edipo in abito da viaggiatore, con mantello e petaso, si vide porre lo strano enigma, gli bastò poco tempo per riflettere e subito rispose: «L’uomo». La Sfinge, umiliata e offesa, si precipitò dalla cima del monte Ficio, sfracellandosi a valle. La vittoria incruenta di Edipo, che sciolse l’enigma della funesta vergine cantante che tante giovani vittime aveva già mietuto, gli valse il riconoscimento del popolo tebano e la sua elezione a re della città.
Quale premio della sua azione di vincitore del mostro, gli fu concessa Giocasta in moglie. Dalla loro disgraziata unione nacquero quattro figli: due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene. All’apice della gloria, Edipo divenne l’involontario strumento di un destino maledetto. Crudelmente e senza alcuna colpa personale, egli si rese colpevole di parricidio e incesto. Amato sovrano dei Cadmei, eroe glorioso e generoso, Edipo si dimostrò un re nobile e premuroso. Quando Tebe fu decimata da una pestilenza, egli si dedicò scrupolosamente alla ricerca dell’assassino di Laio, che, secondo l’oracolo di Delfi, era responsabile della disgrazia che si era abbattuta sulla città.
Allorché Tiresia, il cieco indovino, giunse alla corte di Edipo, la sventura tebana aveva raggiunto dimensioni insostenibili. Egli rivelò allo sfortunato re la volontà degli dei che esigevano un sacrificio umano per riscattare la maledetta città. Menaceo, padre di Giocasta, in un vano tentativo di dimostrazione di coraggio e amore per la patria, si suicidò. Ma non era la vittima designata dai numi. Allora Tiresia rivelò la dura verità: figlio e sposo di sua madre, Edipo era l’uccisore di suo padre Laio. La conferma di questa triste realtà venne da una lettera di Peribea. Era morto Polibo e la regina di Corinto voleva mettere al corrente Edipo delle modalità in cui era stato trovato e poi adottato.
La sciagura si abbatté sulla famiglia reale tebana. Immediatamente Giocasta si suicidiò per la vergogna, mentre Edipo — in un gesto di ribellione alla sua triste sorte — si autoaccecò con una fibbia d’oro, tolta dalla veste della regina. Edipo fu scacciato da Creonte, fratello di Giocasta, ma, prima di lasciare la città egli maledì i suoi due figli, Eteocle e Polinice, rei di averlo trattato con insolenza. Cieco, sofferente e infelice, il vecchio Edipo vagabondò a lungo, accompagnato dalla fedele e giovane figlia Antigone. Lo sfortunato eroe trovò una serena morte a Colono, nell’Attica, sotto la protezione di Teseo, re di Atene.»