“Il mistero del tempio. La rivolta ebraica sotto Traiano” di Livia Capponi

Prof.ssa Livia Capponi, Lei è autrice del libro Il mistero del tempio. La rivolta ebraica sotto Traiano edito da Salerno: come si sviluppa la vicenda del tentativo di ricostruzione del Tempio di Gerusalemme distrutto da Tito?
Il mistero del tempio. La rivolta ebraica sotto Traiano, Livia CapponiAttraverso una reinterpretazione di documenti e fonti letterarie e storiografiche sulla vicenda, il mio libro ipotizza che Traiano, nel corso dei preparativi strategici alla vigilia della campagna militare contro i Parti del 113-116 d.C., abbia cercato l’aiuto delle comunità ebraiche di Armenia e Mesopotamia, la cui non belligeranza era fondamentale sia per poter entrare vittorioso nell’impero partico sia per poi esercitare un controllo sulle vie carovaniere – fra cui la via della seta – controllate dalle ricche comunità giudaiche in Armenia, Mesopotamia, Babilonia. Che la campagna militare fosse motivata dal desiderio di Traiano di emulare Alessandro era solo uno slogan creato dall’imperatore stesso per l’opinione pubblica, che non capiva le motivazioni di un’impresa in regioni così lontane.

Sappiamo che intorno al 112 Traiano completò le operazioni che gli portarono il controllo dell’Arabia (intesa come striscia fra Palestina e Egitto, Gaza e Sinai) e nello stesso anno, nel corso dei festeggiamenti per il quindicesimo anno di regno, incontrò a Roma delegazioni straniere e rappresentanti di diversi popoli, convocati in preparazione alle campagne partiche. è in questo frangente che, secondo la mia ipotesi, egli incontrò i rappresentanti dei Giudei di Alessandria e d’Egitto, stringendo patti e reclutando come alleati quei contingenti ebrei che, fin dall’epoca ellenistica, presidiavano le vie d’acqua e le rotte carovaniere fra Alessandria, Delta del Nilo, Medio e Alto Egitto e Mar Rosso.

In cambio di quest’aiuto, Traiano, che nella scia del suo predecessore Cocceio Nerva aveva perseguito una politica di moderazione e tolleranza in campo religioso, promise agli ebrei di ricostruire per loro il Tempio di Gerusalemme, distrutto da Tito nel 70. Inoltre pare che la ricostruzione del Tempio fosse associata in qualche modo all’allestimento di banche lungo una rotta, o una strada militare, che doveva permettere agli ebrei esuli (in Mesopotamia, ma anche in altre regioni) di ritornare in patria. Questo grande progetto era affidato a due personaggi dai contorni leggendari, Pappo e Luliano, da me identificati con Antioco Filopappo e Tiberio Giulio Alessandro Giuliano, il primo, un principe di Commagene, discendente da Antioco Epifane di Siria, profanatore del Tempio nel 167 a.C., il secondo, luogotenente di Traiano già figlio di quel Tiberio Giulio Alessandro che aveva spalleggiato Tito durante l’assedio di Gerusalemme e l’incendio del Secondo Tempio nel 70. Si configurava così una situazione quasi paradossale, che certo ebbe un impatto emotivo sull’opinione pubblica giudaica dell’epoca: il Tempio sarebbe stato ricostruito dai discendenti dei suoi distruttori. Questo è quello che ci tramandano le parole di Barnaba, un cristiano che si dimostra tuttavia solidale con i Giudei, e speranzoso nell’auspicio comune di riavere il Tempio. Documenti egiziani, e monete da Sefforis in Galilea dimostrano un’iniziale atteggiamento filogiudaico di Traiano e della moglie Plotina, durissimi nel reprimere tutti gli attacchi antigiudaici che spesso scoppiavano nelle metropoli cosmopolite come Alessandria, Cirene o Antiochia. Le fonti rabbiniche e cristiane segnalano una grande speranza fra i giudei, e pure il famoso carteggio fra Plinio e Traiano (Ep. X) sul comportamento da tenere con i cristiani fa intuire che intorno al 112 Traiano fece cessare ogni persecuzione.

Oltre a guadagnarsi l’epiteto di Optimus Princeps, epiteto che metteva in luce le qualità morali dell’imperatore, Traiano si assicurò la neutralità e addirittura l’aiuto delle comunità ebraiche di Armenia e Mesopotamia, riuscendo a conquistare le due province “senza sangue”, come dice Cassio Dione, fino ad entrare nella capitale partica Ctesifonte nei primi mesi del 116. Qui ricevette il titolo di Parthicus, e, per celebrare il suo trionfo, indisse tre giorni di ludi a Roma e in tutto l’impero.

Quali motivazioni politiche e strategiche spinsero l’imperatore Traiano a finanziare la ricostruzione del Tempio?
In realtà non sappiamo se lo avesse effettivamente finanziato lui, dal suo patrimonio. Probabilmente diede soltanto il permesso ad alcuni rappresentanti di spicco del mondo giudaico e orientale, un mondo che aveva acquisito grande peso politico, e toccava Atene, Antiochia, e Gerusalemme. Forse furono gli stessi Filopappo e Giuliano, entrambi ricchissimi e collegati a famiglie di re e di banchieri, a concedere dei fondi per la ricostruzione. È pure possibile che essi adottarono una tecnica simile a quella che Traiano aveva da poco inaugurato in Italia, con l’institutio alimentaria. Traiano in questo caso concesse dei prestiti tratti dal suo patrimonio ai proprietari terrieri di vari municipi d’Italia, chiedendo un interesse del 5% (basso per un’epoca in cui la norma era il 12%). Il fondo che si creava, garantito da ipoteche sui terreni, serviva per comprare il cibo (gli alimenta, appunto) da distribuire ai bambini bisognosi, garantendo un flusso continuo di denaro necessario a dar loro un futuro. Forse qualcosa di simile avvenne in Giudea, anche se abbiamo soltanto un’enigmatica notizia nelle fonti rabbiniche, cioè che Pappo e Luliano avrebbero istituito banche da Acco (Tolemaide, o S. Giovanni d’Acri) ad Antiochia (Siria) per la ricostruzione del Tempio ed il rientro degli ebrei dall’esilio.

Per quali ragioni naufragò l’impresa?
L’interludio di tolleranza fu breve. Dai papiri egiziani sappiamo che ad Alessandria gli abitanti greci della città mal sopportarono la nuova politica di Traiano, gelosi dei presunti privilegi ebraici. Gli ebrei, d’altro canto, non erano tutti d’accordo sulla linea da tenere con l’impero. Le élites cittadine sostenevano che si dovesse collaborare con l’impero, per avere una propria autonomia religiosa nel rispetto delle richieste legali e fiscali di Roma. Tuttavia, le masse rurali, gli ebrei arruolati nella flotta, erano probabilmente molto più arrabbiati con Roma e con i vicini di casa greci ed egiziani. Mobilitandosi in aiuto di Traiano, queste masse si unirono e si ammutinarono. Esse erano anche animati da speranze messianiche, concomitanti con l’idea di un nuovo Tempio. Per di più. Nel dicembre 115, un terremoto colpì a più riprese Antiochia, ferendo anche l’imperatore; la cosa ulteriormente infiammò gli animi degli ebrei. A far traboccare il vaso arrivò ad un certo punto, probabilmente dopo la presa di Ctesifonte del 116, l’annuncio che non sarebbe stato ricostruito il Tempio. Il mancato mantenimento delle promesse romane, insieme con le offese inflitte dal principale luogotenente di Traiano, Lusio Quieto, diventato procuratore della Giudea, provocarono l’insurrezione di massa. Anche gli ebrei delle regioni appena conquistate si ribellarono, costringendo Traiano a ritornare sui suoi passi e a riconquistare, con assedi e massacri stavolta sanguinosi, le città in cui era già entrato. Sulla via del ritorno verso Roma l’imperatore, malato, morì nell’estate del 117.

La repressione della rivolta, poi continuata anche da Adriano, che si presentò però come un ricostruttore ed evacuò le province appena conquistate, ebbe ripercussioni che durano ancora oggi. Una delle sue maggiori conseguenze fu l’indebolimento delle comunità giudaiche della diaspora, che però ebbero ancora occasione di ribellarsi a Roma, sotto Marco Aurelio e Settimio Severo. L’altra conseguenza su larga scala fu l’espansione e dalla vittoria del cristianesimo, sebbene il rapporto fra le due religioni in questo frangente non sia del tutto chiaro.

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